L'Appennino trema ancora. Tre eventi sismici lievi in poche ore nell'Ascolano. La situazione.
Teramo | Terremoti avvertiti anche in provincia di Teramo. Intervista al Direttore della Sezione INGV MI-PV, il dott. Fabrizio Galadini. "Nessun allarmismo inutile: puntiamo sulla conoscenza del fenomeno e sulla prevenzione".
di Nicola Facciolini
L'Appennino trema ancora. A meno di ventiquattro ore una nuova scossa di terremoto è stata registrata nel settore settentrionale della Provincia di Teramo, alle falde dei Monti della Laga, precisamente a due passi dal confine nord con Ascoli Piceno. Secondo la sala operativa della Protezione civile regionale, l'entità del movimento tellurico è stata di magnitudo 2.5, con una profondità focale di 6.4 Km. La zona interessata dagli ultimi tre eventi è compresa tra Ascoli Piceno, Folignano e Le Casette.
Una scossa di magnitudo 3.2, con epicentro vicino alla stessa zona, era stata registrata alle 12:35, avvertita dalla popolazione, ma non ha provocato danni. I cittadini non devono allarmarsi, come spiegano gli esperti: è del tutto normale che si verifichino eventi simili. Per far luce sul più naturale dei fenomeni della Natura, parliamo delle dinamiche nel terremoto di Ascoli Piceno (magnitudo stimata 3.2 e profondità focale 24.3 km) del 22 gennaio 2008: il terremoto è stato localizzato con i dati di 20 stazioni della Rete Sismica Nazionale e della Rete MedNet dell'INGV. Nel parliamo con il dott. Fabrizio Galadini, direttore della Sezione MI-PV dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Quali zone geologiche sono state interessate dall'evento sismico? "Il settore interessato dalle scosse sismiche si trova, dal punto di vista geologico, in posizione intermedia tra l'area piu' interna alla catena appenninica, caratterizzata dalla presenza di faglie attive responsabili di alcuni dei terremoti piu' distruttivi della storia sismica del territorio italiano (es. terremoti di Amatrice del 1639, di Norcia del 14 gennaio 1703, di L'Aquila del 2 febbraio 1703) e l'area costiera, pure caratterizzata dalla presenza di faglie potenzialmente responsabili di terremoti al di sopra della soglia del danno, anche se meno distruttivi di quelli appenninici (es. Grottammare, 1882 e, piu' all'interno, Offida 1943).
Nel settore appenninico, i terremoti sono dovuti all'attivazione di faglie normali, cioe' faglie il cui movimento e' responsabile nel tempo geologico della formazione dei grandi bacini intermontani come la conca di Norcia, la piana di Sulmona o la piana del Fucino, tali bacini sono il risultato di distensione del settore crostale interessato dalle faglie. Nell'area adriatica, invece, i terremoti sono generati da faglie inverse, il cui movimento implica raccorciamento dei settori crostali interessati e, quindi, assenza di bacini come quelli menzionati. Il terremoto del 22 gennaio si trova, per cosi' dire, a meta' strada tra i due settori.
Probabilmente esso non risulta dall'attivazione di una faglia normale appenninica o di una faglia inversa del tipo peri-adriatico. In effetti, queste faglie generano terremoti di solito piu' superficiali di quello del 22 gennaio. Il processo che ha originato questo terremoto, ha origine apparentemente piu' profonda e, se si guarda ai terremoti storici che hanno interessato l'area, viene in mente l'evento di Montefortino del 1972.
Questo terremoto, decisamente piu' forte di quello del 22 gennaio, avendo causato danni su un'area piuttosto vasta sembrerebbe piuttosto profondo e ha avuto certamente origine in questo settore intermedio. La causa di questi terremoti potrebbe essere legata ai processi di sottoscorrimento della placca litosferica adriatica rispetto alla catena appenninica, oppure all'attivazione di faglie profonde ancora non individuate".
Quanta energia è stata liberata: possiamo fare un esempio per i lettori? "Il terremoto del 22 gennaio e' un evento poco rilevante dal punto di vista energetico. Eventi sismici di questo tipo possono considerarsi all'ordine del giorno in un territorio sismicamente attivo come quello italiano. Per intenderci, l'energia rilasciata nell'evento del 22 gennaio e' pari all'esplosione di circa 30 tonnellate di tritolo (ricordo che una forte esplosione in una cava potrebbe implicare l'uso di ca. una tonnellata di tritolo). Il terremoto dell'Umbria-Marche del 1997 (26 settembre, Magnitudo 6.0) ha liberato un'energia pari a un milione di tonnellate di tritolo".
Da un punto di vista scientifico, vi sono dati che indichino fenomeni precursori all'evento? "Come detto, terremoti cosi' piccoli avvengono quotidianamente sul territorio italiano. Non si e' in grado di individuare fenomeni precursori, ne' avrebbe senso fare ricerche per individuarli. Un conto investire e lavorare per capire i processi che sono alla base dei grandi terremoti distruttivi, cercare di prevenirne gli effetti - e, chissa', in futuro arrivare a prevederli - un conto avere a che fare con fenomeni di cosi' piccola energia che testimoniano della innocua vitalità del nostro pianeta".
I Teramani sono preoccupati: toccherà prima o poi anche a Teramo? "La zona di Teramo e' caratterizzata da terremoti storici al di sopra della soglia del danno. Un esempio e' rappresentato dall'evento del 1950 - che certamente i meno giovani ricordano - che fu responsabile di danni in un'ampia area tra la costa teramana, i monti della Laga e la provincia di Rieti. I teramani sono certamente consapevoli di vivere in un territorio sismicamente attivo, per fortuna caratterizzato da eventi sismici non paragonabili a quelli che interessano le parti piu' interne della catena appenninica. A prescindere da quando si avra' in quest'area un evento sismico con danni, non è possibile stabilire alcun legame tra la sismicità teramana e l'evento di bassa magnitudo del 22 gennaio".
Vi aspettavate nella zona un evento simile così superficiale? "In realta', la profondita' dell'evento e', come detto, abbastanza elevata. Il fatto che la popolazione abbia avvertito la scossa in un territorio ampio e' la prova, considerando la scarsa energia rilasciata, del fatto che l'evento e' avvenuto ad una certa profondità. Poiché eventi di questo tipo possono avvenire praticamente ovunque sul territorio italiano, il terremoto del 22 gennaio non ha destato sorpresa nella comunita' dei sismologi".
La microzonazione del territorio tra Ascoli Piceno e Teramo, quanto può essere utile per prevenire gli effetti di un prossimo forte terremoto nell'area? "La microzonazione sismica di un territorio, poiche' definisce le caratteristiche della risposta sismica locale, e' uno degli strumenti piu' utili nell'ambito delle azioni volte alla mitigazione del rischio sismico. Ricordo, tuttavia, che non e' l'unico strumento con funzioni preventive nella difesa dai terremoti".
Cosa si può fare materialmente, senza spendere tanti soldi, per mettere in sicurezza subito gli edifici pubblici e privati nelle nostre città, per evitare che i muri si abbattano sulle vie pubbliche in caso di forte sisma? "Mettere in sicurezza edifici, ad esempio edifici storici, magari monumentali, ha necessariamente dei costi elevati. Non credo ci siano alternative e, chiaramente, l'intervento e' legato a scelte strategiche in materia di prevenzione operate dalle Regioni. Una domanda di questo tipo sarebbe da inoltrare ai responsabili della Regione Abruzzo".
I "criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone", contenuti nelle Ordinanze ministeriali degli anni 2003-2006, sono stati sufficienti a rendere noto il problema presso gli Enti locali? Tutte le Regioni, tutti i Comuni, le hanno recepite? "Solo poche Regioni hanno recepito l'Ordinanza 3519, ma siamo in attesa di una nuova versione dei criteri da lei citati, annunciata dal Ministero delle Infrastrutture".
Parliamo del vostro lavoro di scienziati e tecnici: in Italia gli scienziati Ingv sono ascoltati dai politici e dagli amministratori locali? "Sarebbe facile rispondere "no". In realta', spesso in Italia - e qui intendo tutta l'Italia - il suggerimento del "tecnico" si scontra con le esigenze politiche, con la lentezza delle macchine governative nell'applicazione di nuove norme in materia di difesa dalle catastrofi naturali, con scelte gia' prese a livello di pianificazione dell'uso del territorio che assecondano esigenze non fondate sul concetto di "fattibilita'", di studio preventivo. In altri casi lo studio preventivo c'e', ma non puo' considerarsi solido e conclusivo. Spesso si osserva uno scollamento addirittura tra cio' che il semplice buon senso suggerirebbe e cio' che senza criterio viene realmente fatto.
E questo e' un problema culturale, direi di cultura ed educazione anche del semplice cittadino, e certamente del tecnico dell'ente locale. Parlando della provincia di Teramo, il pensiero oltre che al terremoto va al problema del dissesto idrogeologico, ad eventi come quello di Tortoreto dell'ottobre dello scorso anno. E in casi come questo e' giusto ricordare che possono verificarsi eventi naturali eccezionali, pero' le conseguenze del caso possono essere notevolmente amplificate da errati interventi sul territorio.
Questa puo' essere la prassi nei rapporti con politici e amministratori. Ci sono pero' casi che possono essere definiti fuori della norma. In venti anni di attivita' ho avuto rapporti costruttivi con alcuni enti locali. E voglio sottolineare che a questo proposito non ci si deve attendere una dipendenza dalla geografia d'Italia. Ad esempio, proprio in Abruzzo, l'INGV ha collaborato attivamente e proficuamente con la Provincia di Teramo per la redazione di documenti propedeutici alla definizione del piano di emergenza provinciale.
Nella stessa misura, l'Istituto a collaborato con Regioni come l'Umbria e le Marche; sta avviando collaborazioni con la Lombardia. In questi casi noi ricercatori troviamo amministratori e tecnici sensibili al problema dell'uso del territorio, ai problemi ambientali, alla ricerca in materia di difesa dalle catastrofi naturali".
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26/01/2008
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