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“I cretini non sono più quelli di un tempo”:viaggio nelle memorie di Enrico Vaime.

San Benedetto del Tronto | L’autore, è stato ospite ieri sera della manifestazione “Incontri con l’autore”. Mare di folla, molti turisti.

di Maria Teresa Rosini

Enrico Vaime

" ...di Terzoli e Vaime" queste le parole che spesso ascoltavo durante le presentazioni delle memorabili trasmissioni di cui ero allora appassionata spettatrice, con le quali cotonate annunciatrici Rai, con una cortesia d'altri tempi, ci introducevano in un mondo che allora mi pareva bellissimo e perfetto: quello della televisione.

E io non capivo bene chi fossero questi signori né quale ruolo potessero mai svolgere nel mondo magico e affascinante che si materializzava dentro lo spazio circoscritto della scatola del televisore: meravigliose donne luccicanti e disinvolte, ballerini, attori che ci trascinavano in risate liberanti senza retrogusto amaro e, su tutto, il senso di un futuro percepito ancora come luogo rassicurante e pieno di promesse.

Ora che non guardo quasi più la televisione e che per l'età e lo spirito del tempo sono molto meno incline alla meraviglia (quella positiva ed eccitante), avere l'occasione di ascoltare uno degli artefici del mio stupore di allora mi ha offerto l'opportunità di confrontare ancora una volta quel mondo, quello della mia infanzia e degli esordi della televisione, con l'oggi e con quello che tra l'allora e l'oggi c'è stato in mezzo.

Ed Enrico Vaime, le sue parole, il suo sarcasmo e la sua ironia meno corrosivi e più rassegnati, rappresentano nella sua stessa storia, nei suoi ricordi, la personificazione, il veicolo di questo viaggio.
L'autore, ospite della manifestazione "Incontri con l'autore" organizzata dall'Amministrazione comunale con la libreria "La Bibliofila", accolto dall'assessore alla Cultura Margherita Sorge,dal giornalista Sandro Paci, dal dirigente industriale Filippo Massacci (nella sua veste di appassionato lettore), da Mimmo Minuto e da una straordinaria presenza di pubblico, inizia subito a parlarci di sé e della sua generazione.

Una generazione quella di Vaime, come lui stesso la descrive, che "ha fatto poco e male e vergognandosene un po'": non ha fatto la guerra nè la Resistenza perchè troppo giovane, nè il sessantotto perchè già troppo vecchia e, in quell'anno memorabile, già  alle prese con il lavoro. Nello stesso anno l'autore assisteva sconsolato, proprio dalle finestre della Rai, alla "gloriosa" fine della sua prima auto sportiva (tutti indulgono prima poi a questa debolezza) rovesciata e utilizzata dai giovani contestatori come barricata in uno scontro di piazza.

Sembra che quello della televisione di allora fosse proprio un altro mondo se erano Pasolini, Moravia, Bertolucci, Ungaretti, Fabbri a coadiuvare la Rai nel selezionare nuovi talenti (con l'ultima selezione per concorso della sua storia nel 1960, quella con la qualel'autore fece il suo ingresso in Rai).

Questo durò ben poco però, ci dice Vaime, ma allora ancora si riusciva a credere che la televisione potesse essere il mezzo per coniugare cultura "alta" e cultura popolare e in questo modo innalzare il livello di consapevolezza e modernità di un paese sottoposto dal boom economico ad un'accelerazione talmente rapida da condurre con sé inevitabilmente contraddizioni e distorsioni.

Il nostro paese di allora e le distanze sociali e culturali che lo attraversavano, si misurano agevolmente dagli episodi raccontati con un'impassibilità esilarante da Vaime: gli annunciatori selezionati dalla Rai che univano alle bellissime voci una misteriosa vocazione all'inabilità fisica o alla stranezza psicologica; i notiziari radio che diffondevano notizie improbabili spesso in lingue altrettanto stravaganti o forse inesistenti, compresi gli idiomi delle perdute ex colonie italiane nei quali un intraprendente napoletano  si offrì di tradurre le notizie finendo coll' annunciare via radio sequele di parolacce ed insulti (gli unici che conosceva).

A proposito di raccomandazioni, risulta assolutamente paradossale come l'unica raccomandazione della sua vita Vaime dovette procurarsela per essere licenziato: non riusciva infatti a farsi ricevere dal direttore del personale per averne l'accettazione delle dimissioni e dopo anticamere infruttuose e umilianti riuscì solo attraverso un intervento "dall'alto" ad ottenere il sospirato incontro durante il quale venne suadentemente e quasi servilmente accolto, suscitando ansie e retropensieri infiniti nel suo interlocutore all'annuncio del suo desiderio di andarsene dall'azienda. 

Anche l'episodio del funerale di Cino Del Duca, editore per il quale lavorò dopo aver lasciato la Rai, con un imprevisto ed esilarante scambio di salme e il conseguente frettoloso rientrare della pomposa cerimonia a Parigi (presenti Pompidou e consorte) con tanto di tappeto rosso all'aeroporto, ci lascia estasiati.

Il rapporto con Flaiano, genio e maestro, è tratteggiato in un episodio, quello del ferragosto del '64, in cui in una Roma vuota e assolata, si incontrarono nel giardino dello scrittore per tentare di improvvisare un copione che doveva essere consegnato a  breve scadenza. Invece si trascinarono in un perdere tempo evidentemente gradevole ( la pigrizia di Flaiano viene definita un segno della sua genialità) fino ad essere fatti oggetto, da alcuni ragazzini del sottoproletariato urbano che li osservavano da un po' di tempo, di un'esclamazione che, nel loro codice linguistico immediato e colorito, voleva indicarne con disprezzo le  "diverse" preferenze sessuali.

Di maestri Vaime ne cita altri: oltre a Flaiano, Bianciardi, Marchesi. Maestri che insegnavano senza averne l'aria portandoti a tirar fuori il meglio e contagiandoti con l'acutezza della loro genialità. Oggi non si cercano maestri, ma se pure si cercassero non si potrebbero trovare, osserva l'autore, e i giovani sono preda di riferimenti inconsistenti: sanno tutto di "tronisti" e veline, ma davvero nulla della vita e di se stessi.

Sull'oggi Vaime ritorna impietoso e corrosivo. Vero è il contenuto delle intercettazioni "televisive", ignobile il costume che denunciano, ma per una sorta di "coda di paglia ideologica" che ci porta tutti a minimizzare e scusare, a soprassedere ed evadere dalla realtà, nulla sembra più impressionarci e condurci ad un sussulto di dignità e di responsabilità: cosa è vero, cosa è giusto sono domande che non ci piace più rivolgerci e ciò conduce inevitabilmente ad un'indefinitezza morale dalla quale non si intravedono vie d'uscita.

E i "cretini" del titolo del libro? Oggi si mimetizzano: sono informati, navigano su internet, si specializzano (nell'arte della cretineria?) e sono indubbiamente più dannosi e meno teneri di un tempo, per coglierne la portata devi vederli all'opera e contarne i danni.

E i non cretini? Chiede ancora una signora, chi sono? Non si sa, ma l'unica cosa certa, ci conferma l'autore, è che nessuno, come è logico, ha l'opportunità di scegliersi la categoria alla quale appartenere.

14/08/2008





        
  



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