Quando si legge di una disgrazia come questa, così drammaticamente triste, nel lettore possono balenare mille reazioni: sul fatto che in quanto sprovvista di permesso di soggiorno non sarebbe dovuta stare in Italia, sullo sfruttamento di chi si macchia del reato di favoreggiamento della clandestinità, sulle maledette leggi di questo spietato mercato globale, sulla dannata Cina antidemocratica che costringe i propri figli a svendersi per sopravvivere.

La mia unica reazione è una gran pena per questa povera donna. Mi tormentano le domande che faccio a me stesso pensando alla sua vita, alle sue storie, ai suoi sogni in un luogo così lontano dal suo paese di origine.

E la pena che provo diventa ancor più grave leggendo come i giornali liquidino la vicenda con una approssimazione a dir poco vergognosa.
Un giornale riporta che ha 35 anni, un altro che ne ha 43.

Uno che sostiene che oltre a lei nell'opificio "lavoravano altri clandestini" in procinto di essere espulsi, un altro che descrive l'opificio regolarmente autorizzato e con il "personale complessivamente regolarmente residente in Italia".

La Procura sta indagando e quindi lasciamo che lavorino in pace.