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L’eroismo della “normalità”: il magistrato Raffaele Cantone all’Auditorium di San Benedetto

San Benedetto del Tronto | Il magistrato ha presentato il suo libro “Solo per giustizia”, edito da Mondadori, in cui offre un resoconto appassionato ma lucido, sulla sua esperienza alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.

di Maria Teresa Rosini

Il magistrato Raffaele Cantone

La necessità di comprendere il funzionamento, i contesti, le difficoltà in cui opera la magistratura in Italia in un momento in cui il tema giustizia è costantemente sulle prime pagine dei giornali (e non sempre con giudizi e osservazioni pertinenti rispetto al "cuore" del problema ) ha trovato un contributo di chiarezza e razionalità nella conversazione con il magistrato Raffaele Cantone, ieri sera all'incontro tenutosi all'Auditorium di San Benedetto del Tronto.

Il magistrato ha presentato il suo libro "Solo per giustizia", edito da Mondadori, in cui offre un resoconto appassionato ma lucido, sulla sua esperienza alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli nell'ambito della quale ha condotto molte tra le più importanti indagini sulla camorra casertana contribuendo all'arresto di Michele Zagaria, primula rossa dei casalesi.
L'efficacia e la determinazione del suo contributo professionale alla lotta contro la criminalità organizzata lo ha reso bersaglio di intimidazioni costringendolo ad una vita sotto scorta.

Al termine della sua esperienza nella direzione antimafia, nell'ottobre 2007, Cantone ne ha voluto ripercorrere, attraverso la scrittura, l'itinerario, sollecitato a questo impegno anche dallo scrittore Roberto Saviano al quale molte circostanze e affinità lo accomunano, purtroppo anche quella delle minacce alla propria incolumità fisica, per aver entrambi dedicato alla giustizia e alla verità il proprio impegno.

L'obiettivo del libro è proprio la ricerca di una comunicazione più efficace con l'opinione pubblica, troppo spesso preda, sui temi dell'amministrazione della giustizia, di un'informazione parziale e squilibrata, centrata sugli aspetti più spettacolari e superficiali, se non asservita a teoremi (e interessi) corporativi.
E', questo, un problema sottolineato spesso da magistrati che abbiamo incontrato per la presentazione di altri libri sul tema giustizia.

In realtà comprendere i complessi e, a volte, contorti meccanismi di funzionamento dei percorsi giudiziari, dei gradi del processo, cogliere la diversità di ambienti e contesti, percepire le difficoltà quotidiane e "il punto di vista" di chi opera nella giustizia dall'interno, è un'operazione a cui quasi mai siamo preparati, e, ancor peggio, a cui quasi mai siamo motivati. Più che la ragione, sono spesso le emozioni ( la rabbia, l'impotenza, il sentimento di ingiustizia, la rassegnazione o la ribellione indiscriminata) a dominarci nell'approccio alle "cose di legge".

Il Procuratore Ettore Picardi, nella sua presentazione del libro, sottolinea la significatività dell'esperienza di Cantone per la possibilità che ci offre di comprendere la vita e la quotidianità di un magistrato negli ambienti, fortemente infiltrati e infidi in cui la giustizia opera nei territori del sud dell'Italia.

Si deve all'intelligenza giuridica e investigativa del giudice Falcone e alla sua determinazione la creazione delle Direzioni distrettuali antimafia che inaugurano, agli inizi degli anni novanta, una strategia processuale nuova e più incisiva nella lotta alla criminalità organizzata, permettendo modalità di azione peculiari per fenomeni criminosi che non possono essere, per ampiezza e interconnessioni, equiparabili alle "normali" tipologie di reato.

E la vicenda professionale di Falcone viene rievocata anche da Cantone, su sollecitazione del pubblico, paradigma ineludibile quando si parla di giustizia e ancora riferimento emotivo forte per tutta la pubblica opinione.
Attraverso la storia di Falcone, ripercorsa brevemente dall'autore, il tema che si introduce è quello dei rapporti tra magistrati: il magistrato siciliano dovette subire una sorda diffidenza (quando non espliciti attacchi personali ) proprio all'interno degli ambienti giudiziari.

"In magistratura", ci dice Cantone, " quasi tutti i magistrati sono onesti, e anche disposti a tollerare gli errori dei colleghi, ma non il loro successo". Questo accenno alle relazioni professionali in ambito giudiziario allarga il discorso sulle caratteristiche "negative" di alcuni di coloro che gestiscono l'amministrazione della giustizia ed ha il pregio di provenire proprio da un magistrato: un cattivo uso dell'indipendenza, che per qualcuno si traduce in un eccesso di autonomia personale nella gestione dei procedimenti, problemi di organizzazione, differenze quanto meno inopportune nella valuazione dei medesimi reati, diffidenza per coloro che appaiono più impegnati, più appassionati e creativi nella ricerca di soluzioni ed accorgimenti che possono migliorare e rendere più efficace l'amministrazione della giustizia.

Col tema delle riforme necessarie perché non si precipiti verso un fondo sempre più irreversibile siamo all'attualità: i provvedimenti indispensabili, ci dice Cantone, non sono certo quelli che campeggiano sulle prime pagine dei giornali (intercettazioni e separazione delle carriere) bensì quelli, urgentissimi, riguardanti l'efficienza dell'amministrazione, di importanza ben più nodale.

La nostra Costituzione affida al ministro della giustizia, l'unico ministro esplicitamente citato nella Carta, la funzione di essere garante dell'efficienza della magistratura: nessun ministro della giustizia sembra essersi impegnato con risolutezza in questa direzione.

Alla paralisi della giustizia contribuiscono anche, secondo Cantone, un eccessivo garantismo (occorre rinunciare ad alcune garanzie in vista del superiore interesse comune alla certezza, alla rapidità, all'efficacia della giustizia); il sovraccarico di procedimenti, alcuni dei quali potrebbero con razionalità essere risolti, almeno nelle prime fasi, in sede amministrativa con procedure più snelle; la questione degli ordini professionali e dei pesanti condizionamenti che categorie come quella strabordante degli avvocati esercitano in senso corporativo. Per non parlare del fallimentare bilancio dell'utilizzo dei giudici di pace con esiti misurati sulla "stramberia" e l'improbabilità di alcune sentenze da essi emesse.

L'autore non si sottrae alle sollecitazioni del pubblico anche sul tema delle ragioni storiche che hanno contribuito a fare del sud (e della Campania in particolare) la realtà che Saviano ha così efficacemente raccontato nel suo libro "Gomorra".
Evidenzia quelle che, secondo il suo parere, sono le responsabilità della borghesia napoletana, per la quale le ragioni storiche del degrado morale del tessuto sociale del territorio hanno spesso costituito un alibi per non vedere e non capire, e che non si sentiva "toccata" dalla camorra, fenomeno plebeo e folcloristico (grazie anche al ritratto offertone dalla stampa), estraneo alla propria superiorità. Nello stesso tempo però, negli anni, si giungeva ad una sempre maggiore contiguità e sovrapposizione tra imprenditoria e malaffare con un utilizzo reciproco sempre più disivolto e incurante delle conseguenze.

Negli ultimi decenni si è ancora voluto non vedere, pensando di risolvere i problemi accreditando di Napoli un'immagine da cartolina senza avere effettivamente messo mano coraggiosamente all'intreccio ormai inestricabile tra politica, camorra, economia.

Una conversazione a 360 gradi, quella con il magistrato, che ha toccato e contribuito a chiarire una molteplicità di argomenti il cui comune denominatore, il filo rosso che ne delinea i tormentati confini, è il ruolo dell'amministrazione della giustizia in Italia.

Il futuro che Raffaele Cantone ci prospetta, dato lo stato dei fatti, è quello di una giustizia sempre più asimmetrica in cui più facile e veloce sarà perseguire i reati che sono alla base della piramide dell'illegalità e sempre più difficile risalerne i vertici ed evidenziare le zone d'ombra in cui parvenza di legalità e illegalità si sfiorano e si toccano senza offrire appigli all'impotenza di una giustizia dalle armi spuntate.

Quello che vorremmo oggi, è che tutti coloro che, come lui, mettono a disposizione il proprio talento operando in modo così incisivo ed efficace per migliorare il nostro paese, non debbano più barattare l'adesione fattiva a convincimenti, morali e professionali, con una limitazione così evidente ed ingiusta della propria libertà personale.

13/02/2009





        
  



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