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60 milioni di italiani

Roma | Vorrei dare uno sguardo da lontano alla vicenda complessiva vissuta dall'Italia negli ultimi cinquanta-sessant'anni, a beneficio particolare delle generazioni che non hanno vissuto in presa diretta le trasformazioni della seconda metà del Novecento.

di Massimo Teodori

Massimo Teodori

Siamo dunque più di sessanta milioni di italiani residenti, avendo superato del venti per cento la soglia dei cinquanta milioni raggiunta cinquant’anni or sono, nel 1959, durante il boom economico.

Non mi soffermo sul contributo decisivo che gli immigrati hanno dato negli ultimi decenni alla crescita demografica del nostro Paese perché il discorso richiederebbe un’analisi approfondita e specialistica per cui non c’è spazio. Vorrei invece dare uno sguardo da lontano alla vicenda complessiva vissuta dall’Italia nei cinquanta-sessant’anni che ci siamo lasciati alle spalle, a beneficio particolare delle generazioni che non hanno vissuto in presa diretta le trasformazioni della seconda metà del Novecento.

In poco più di mezzo secolo gli italiani hanno visto di tutto. Nel dopoguerra eravamo una nazione stremata, arretrata, e provinciale, e siamo divenuti uno dei Paesi dall’economia più sviluppata, partecipi del largo benessere del mondo civilizzato, e protagonisti essenziali dell’Europa e dell’occidente.

Non è poco, anche se oggi tutto ciò sembra scontato, come il fatto, del tutto inedito, che non c’è stata alcuna di quelle guerre che i nostri genitori e i nostri nonni dovettero subire sulle loro terre e sui loro corpi. Nel corso di due generazioni l’Italia ha superato, bene o male, ogni tipo di mutamenti e di avversità. La politica ha conosciuto combinazioni di tutti i colori, senza mai abbandonare la convivenza pacifica. Il terrorismo è stato vinto non senza un comune sforzo nazionale.

E le istituzioni, per quanto precarie, hanno retto senza eccesive scosse. Malgrado fosse indotta da una maldestra “rivoluzione giudiziaria” che ha fatto più danni che vantaggi, la cosiddetta “prima Repubblica” ha ceduto il passo a un altro assetto che non è ancora entrato a regime, anche se promette di farlo nell’attuale stagione.

E’ vero che molte calamità hanno afflitto il Bel Paese, e continuano ad affliggerlo come il terremoto in Abruzzo, ma ciononostante quasi tutti viviamo in condizioni inimmaginabili cinquant’anni or sono. Abbiamo più case, più automobili, e più beni d’ogni tipo, oltre a rimpinzarci di gadget elettronici. Siamo molto più istruiti, viaggiamo in continuazione, e guardiamo al patrimonio artistico e ambientale con più rispetto del passato.

Certo, oggi che siamo sessanta milioni di culture, di razze e di religioni molto diversificate, non dobbiamo indulgere nella tentazione di ripiegarci sul passato con la retorica e l’orgoglio del cammino percorso. I problemi che assillano l’Italia sono tanti e gravi. Ma la consapevolezza di quel che hanno saputo fare le generazioni precedenti ci deve stimolare a guardare al futuro con quella fiducia che è essenziale per tenere unita una comunità nazionale.

Editoriale de “Il Tempo”, 28 aprile 2009 con il titolo “Fiducia in un Paese cresciuto”

28/04/2009





        
  



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