La prima puntata de "Il Topo" del Professor Francesco Tranquilli
San Benedetto del Tronto | Da oggi iniziamo la pubblicazione a puntate del racconto che ha vinto l'edizione 2009 del concorso nazionale Giallocarta. Da non leggere a stomaco pieno...
di Francesco Tranquilli

Topo nero
Non è il topo che vi state immaginando. E non per l'insolita concentrazione, l'espressione assorta che mal si associa al muso di un animale.
Per le sue dimensioni, piuttosto. E' enorme. Senza limiti.
Dipenderà dal fatto che non lo posso guardare con tutti e due gli occhi. Forse con una visione completa non mi apparirebbe così... esteso.
Dev'essere solo una pantegana. Un ratto.
Il suo sguardo non mi perde d'occhio un attimo
Il naso molliccio è a pochi millimetri dalla mia pupilla dilatata. Eppure non mi fa schifo, né mi spaventa.
Non provo assolutamente niente.
E questo già dovrebbe farmi paura. Ma la paura l'ho esaurita.
Mi domando che fine abbia fatto il mio altro occhio. O il resto del mio corpo, comunque.
Il pelo del topo è nero petrolio. Il naso è umido. Gli occhi sono color cioccolato. Ne strizza uno, come per salutarmi.
Ci conosciamo?, vorrei chiedergli
***
Ti ha salvato la cintura di sicurezza, bastardo! vorrei dirgli mentre sbatto la portiera del mio Biemmevù appena ripreso dal carrozziere e già tamponato al primo semaforo da questa cazzo di Jeep sporca e decrepita. Quel secondo che ci metto a sciogliere la mia, poco pratico perché non la metto mai, ma c'era una pattuglia a cento metri da qui, mi fa sbollire la rabbia, sennò ti insegnerei io a guidare! Però poi dalla jeep scende lei, allargando le braccia nude, sconvolta, quasi si mette a piangere. Devo piangere io, che la mia macchina ha il culo sfondato, e la sua manco un graffio, invece inghiotto la rabbia e gonfio il petto. Messa bene, messa proprio bene, questa tipa, alta, atletica, col capello selvaggio e nero. Sudata.
"Oddio, che idiota!"
"No, no, non è niente di grave..." Col cazzo, guarda qua che macello... "Lei è assicurata, no? Ci scambiamo i dati, constatazione amichevole..."
"Ma ti sei fatto male? Ti ho dato una botta..."
Mi dà del tu. E mi tocca la fronte.
Bella mano forte. E begli occhi nocciola scuro.
Te la darei io una botta, sorella. Anzi, te la darò. Vedrai.
Eppure...
"Ma noi non ci conosciamo?"
Mi sorride a tutti denti, e dio mio, si accarezza il labbro di sotto con la lingua.
"Eh, no. Te ne ricorderesti!"
Liberiamo la carreggiata, andiamo in un bar a compilare i moduli. Lei non è una di quelle stronze col SUV del marito che non sanno guidare: ho sbirciato nella sua Land Rover, è colma di zaini, fogli, libri, tute. Una macchina fotografica. Una cinepresa.
Ora sto riconoscendo il suo indirizzo.
"Abiti vicino al mare: ecco come mai sei così bella abbronzata già in aprile."
"Oh, non ho molto tempo di andare in spiaggia. Non ci sono quasi mai."
"Che lavoro fai?"
Smette di scrivere.
"Perché vuoi saperlo?"
"Ma, perché... così. Per parlare. Per presentarci. A proposito, io mi chiamo..."
"Lo so già come ti chiami. Me l'hai appena scritto su questo modulo."
Stai sulle tue, vero? Prima m'inculi la macchina, poi fai la sostenuta.
Te ne pentirai, sorella.
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23/07/2009
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