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L'ora di religione

Falerone | Classi sempre più miste, culture che si parlano, identità da difendere e condividere. Incontro con il prof. Gianluigi Mizia, insegnante di religione cattolica nell'Istituto comprensivo di Falerone.

di Francesca Pasquali

“In fila la Prima A. Dietro la Prima B. Poi gli altri”. 8 ottobre 2009, ore 9.30. Ordinati e sotto lo sguardo vigile degli insegnanti, gli alunni della scuola media di Falerone si dirigono in chiesa per la  messa di inizio anno scolastico. Quelli cattolici. Gli altri restano a scuola. Approfittiamo di quest’ora di calma per fare una chiacchierata con Gianluigi Mizia, diacono e insegnate di religione nell’Istituto comprensivo.

Prima, però, qualche dato. Sono tredici le scuole di cui si compone l’Istituto: sei d’infanzia (Falerone, Massa Fermana, Monte Vidon Corrado, Montappone, Piane di Falerone e Servigliano), quattro primarie – le vecchie scuole elementari – (Falerone, Montappone, Piane di Falerone e Servigliano) e tre secondarie di primo grado – ex scuole medie – (Falerone, Montappone e Servigliano). Gli alunni complessivamente iscritti sono 1.145, 118 (il 10,3%) dei quali non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica (33 su 252 nelle scuole d’infanzia, 13%; 56 su 415 nelle primarie, 13,5%; 29 su 478 nelle secondarie di primo grado, 6,1%).

Prof. Mizia, perché a scuola viene insegnata solo la religione cattolica? “L’insegnamento della religione cattolica è un insegnamento pattizio, frutto del Concordato tra Stato e Chiesa del 1929, revisionato l’ultima volta nel 1984. In esso si stabilisce l’insegnamento, nelle scuole, della religione cattolica come religione di Stato”.

Chi decide se i ragazzi si avvarranno o meno di questo insegnamento?                “La legge italiana fissa a sedici anni l’età in cui un ragazzo può decidere personalmente se frequentare o no il corso di religione. Prima, a decidere sono i genitori. Comunque, visto che si tratta di un insegnamento confessionale, la scelta può essere modificata di anno in anno”.

Di quali alterative dispone chi non frequenta l’ora di religione?                            “I ragazzi hanno diverse possibilità tra cui scegliere: possono rimanere in classe; frequentare un’ora alternativa, cioè un’altra disciplina al di fuori del piano scolastico; essere assistiti nello studio personale o tornare a casa”.

Qual è l’orientamento prevalente?                                                                   “Le decisioni differiscono molto in base alla provenienza dei ragazzi. I musulmani praticanti, ad esempio, preferiscono uscire, mentre i non praticanti restano in classe. I cinesi, sono prevalentemente atei, quindi il più delle volte restano in classe e si esercitano in altre materie. Gli anglosassoni sono contrari al cattolicesimo ed escono”.

Cosa pensa della recente sentenza del Tar del Lazio, che ha accolto il ricorso di alcuni studenti che, non frequentando l’ora di religione si sono sentiti penalizzati rispetto agli altri nel conteggio dei crediti per l’ammissione all’esame di maturità?                                                                                                                       “Mi sembra un non problema. Stiamo parlando dello 0,2% di un credito. Tanto vale questo insegnamento nel conteggio finale. Praticamente irrilevante, quindi, visto che è possibile ottenere crediti, ad esempio, anche attraverso attività di volontariato”.

E della sentenza che vieterebbe agli insegnanti di religione di partecipare agli scrutini, evitando così discriminazioni tra gli studenti?                                      “Di fatto è già così. Gli insegnanti di religione partecipano agli scrutini come gli altri insegnanti. La differenza sostanziale è che, se per un insegnante di religione un alunno dovrebbe essere bocciato, questa decisione deve essere verbalizzata, cioè deve risultare scritto che il giudizio negativo è stato dell’insegnante di religione; mentre per gli altri docenti non succede. Quindi, per evitare questo e aggirare l’ostacolo, è il preside a esprimere un doppio giudizio. Tanto vale escludere gli insegnati di religione dagli scrutini, no”?

Se la tendenza resterà inalterata, presto ci saranno classi formate per metà da studenti di religione non cattolica. Avrà allora ancora senso l’insegnamento esclusivo della religione cattolica?                                                                     “La soluzione migliore sarebbe di riunire, nell’ora in questione, gli studenti per religione. Insegnare tutte le religioni a tutti genererebbe solo confusione, perché ogni religione è il risultato di una cultura e non può essere compresa senza conoscere prima la cultura che ne è alla base. Con il tempo, magari, ci si potrebbe riuscire, ma è un processo molto lungo che necessita di tempo e soprattutto di apertura e disponibilità da parte di tutti”.

Come vivono i ragazzi il loro rapporto con i compagni di altre religioni?                  “Qui siamo in una scuola media, i ragazzi non hanno ancora un pensiero preciso e ragionato in merito. Recepiscono dall’ambiente circostante – famiglia, amici, media – percezioni che adattano alla loro realtà. Nella pratica, qui, non si sono creati per ora problemi di alcun genere, ma a questa età è facile discriminare, anche solo a livello inconscio”.

Non ci si può nascondere dietro un dito, la società italiana sta andando verso la multietnicità. Cosa dovremmo aspettarci da qui a dieci anni?                             “Non bisognerà attendere così tanto tempo. Presto la Turchia entrerà nell’Unione europea e già questo comporterà la presenza, nel Parlamento europeo, di musulmani. Non si deve però fare confusione: multiculturalismo e integrazione sono i due estremi all’interno dei quali bisogna agire. Il dialogo con l’altro è fondamentale, ma devono poterci essere i presupposti. Se questi vengono a mancare, regolare i flussi migratori in base alla religione dei migranti potrebbe essere una soluzione”.

09/10/2009





        
  



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