Alla grande sinagoga VI puntata de"L'eterno e il Regno"
San Benedetto del Tronto | Continua con un grosso interesse da parte dei lettori il romanzo del professor Angelo Filipponi.
di Angelo Filipponi

Il Professor Angelo Filipponi
Essi furono portati in lettiga da schiavi: potevano ammirare, verso l'ora terza, l'animazione della città: carri, carrozze, lettighe e pedoni andavano compostamente nelle due direzioni, in modo chiassoso e festoso.
Poco prima della grande sinagoga c'era un grande ponte che tagliava un canale che, lungo un centinaio di stadi, univa Alessandria a Canopos.
Lungo il canale si vedevano molte barche, con vele alessandrine, uniche al mondo per il sipharos mentre sulle due sponde si susseguivano taberne, termopoli, ristoranti, che erano un continuo invito a mangiare e a bere e a pensare solo all'oggi.
Il tragitto dalla casa, domicilio dell'alabarca, alla sinagoga era breve: bisognava percorrere una via larga e dritta che confluiva insieme ad altra ad una piazza rettangolare, al cui centro c'era la grande sinagoga, che si presentava imponente con la facciata preceduta da una triplice fila di colonne corinzie. Ai due lati essa era circondata da una triplice fila di cedri ed anche nella facciata posteriore verso cui scorrevano due grandi odoi, che si allungavano quasi all'infinito, parallelamente.
La grande sinagoga costituiva il cuore del rione Delta, che, comunque, aveva altre 10 sinagoghe, mentre negli altri ce n'erano quaranta.
Yehoshua ed Agrippa non potendo partire perché era sabato, avevano fatto insieme il breve tragitto fino alla sinagoga, dopo aver letto il messaggio dell'alabarca.
Ora erano arrivati nella piazza ed insieme ad una folla immensa, vestita a festa,variopinta a seconda della condizione sociale, della setta, delle professioni: tutti però, come loro, con lo scialle da preghiera (talith) molti con filatteri farisaici.
Nella maestosità della costruzione di grande rilievo erano il portone centrale, immenso e le due porte laterali, normali, ma di straordinaria fattura.
Ora se ne attendeva l'apertura automatica: la folla era col fiato sospeso, come di fronte ad un miracolo. Il portone improvvisamente ebbe come un brivido e poi uno scossone, come se una mano celeste spingesse verso l'interno le due ante.
Jehoshua spiegò ad Agrippa: é la scienza che muove il portone, è un miracolo della scienza. Tu ben lo sai: Alessandria è la patria della scienza: centinaia di studiosi a carico dello stato vivono e mangiano insieme nel Museo.
Certo. Lo so, ma come avviene una cosa così mirabile? Fece Agrippa, che aspettava trepidamente l'evento.
Il tecton spiegò che c'era un congegno ideato da Erone 21, che permetteva di aprire la porta con la forza del vapore: essi avevano costruito sotto il tempio un upocausto che, acceso, sprigionava forza meccanica capace di tirare verso l'interno le ante.
Beh! Disse Agrippa, in questo modo gli alessandrini sanno sfruttare la scienza a fini spettacolari, che influenzano la psiche delle masse e le condiziona in senso religioso.
E rimase cogitabondo, mentre Jehoshua guardava attentamente la costruzione, ricordandone le tappe di edificazione e risentendo i dolci ammonimenti paterni.
La grande sinagoga era veramente una meraviglia sia per le proporzioni che per le applicazioni tecniche operate dai migliori scienziati dell'epoca.
Alessandria era davvero la patria della scienza!
La struttura della sinagoga era apparentemente semplice come una capanna, ma grandiosa e monumentale nella sua concezione architettonica in quanto doveva dare l'idea della semplicità e immensità di Dio.
Una grande navata centrale, alta una novantina di cubiti, con due altre laterali, più basse copriva un rettangolo di 264 cubiti22 per 154 diviso in due parti: quella anteriore era un rettangolo di 154 cubiti per 88, adibito a sala consiliare e conteneva 71 scranni d'oro, disposti su una fila semicircolare; dietro agli scranni c'era un anello di colonne ioniche, che distava dalle pareti laterali 33 cubiti e da quella estrema 22 con uno spazio tra l'una e l'altra di 11 cubiti.
Al centro del semicerchio c'era la teba con accanto un armadio in legno contenente le sacre pergamene.
Questa parte era stata scavata per dieci cubiti in modo che rimanesse in basso ed era delimitata da balaustra di marmo tasio a destra e a sinistra, da cui partivano due file di colonne ioniche distanti
tra loro 66 cubiti, mentre la distanza tra le colonne e le mura era di 44 cubiti.
Le colonne era distanti tra loro un sette cubiti ed erano 27 da una parte e 27 dall'altra, mantenevano un cordolo di laterizi, sorretto da grossi travi di legno di cedro che congiungevano le colonne.
Il cordolo andava per tutta la sinagoga ed era fatto in modo che gradatamente si ampliasse in alto così da formare un trapezio rovesciato.
Questa parte del rettangolo declinava lentamente tanto da arrivare a ricongiungersi in piano con la base della balaustra marmorea.
Era stata così studiata in modo che tutti gli spettatori, fedeli potessero vedere, e, possibilmente sentire il cohen e che ci fossero due schiere separate per sesso.
Il tecton diceva che, però, data la capienza di 100000 persone, difficilmente gli ultimi, potevano vedere bene e sentire: perciò si era stabilito che per dire amen sincronicamente, un levita alzasse una bandierina verde.
Jehoshua e Agrippa trovarono un posto quasi al centro della sinagoga, fortunatamente: avevano una posizione splendida per seguire la cerimonia.
I settanta seniori e l'alabarca era seduti, secondo la loro condizione e setta, nei loro scranni che risplendevano per la luce che li colpiva dalle ampie finestre, dai vetri trasparenti e colorati, delle pareti.
I leviti cantori, in piedi, disposti dietro gli scranni d'oro, con le loro tuniche di lino bianche, erano schierati, pronti per cantare i salmi.
Ora il cohen si avvicinava alla teba dove il Hazan aveva posto la parashah del giorno, dopo averla presa dall'armadio.
La parashah quel Sabato era tratta da Isaia.
Nell'anno della morte del re Ozia, io vidi YHWH seduto sopra un trono sublime ed elevato, così che le sue frange riempivano il tempio: serafim gli stavano sopra, ognuno con sei ali: con due copriva la propria faccia, con due copriva i propri piedi e con due si librava in volo. Si parlavano l'un l'altro con queste parole e dicevano:
Santo, santo, santo è JHWH Sabaoth
la sua gloria riempie tutta la terra.
E tremarono le fondamenta delle soglie per la voce di coloro che acclamavano e il tempio si riempì di fumo . E dissi: ohimè sono perduto poiché io sono un uomo dalle labbra immonde ed abito in mezzo ad un popolo dalle labbra immonde e i miei occhi hanno visto il re, JHWH Sebaoth.
Allora volò a me uno dei serafim e nella sua mano era una pietra ardente, che aveva preso con le molle dall'altare.
L'avvicinò alla mia bocca e disse: ecco questa ha sfiorato le tue labbra ed è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è cancellato.
Ed udii la voce del signore che diceva: Chi manderò e chi andrà per noi?
Ed io dissi: Eccomi, manda me. ed egli mi ingiunse . va e dì a questo popolo:
sempre ascolterete, ma non intenderete
sempre vedrete, ma non comprenderete
Fa ottusa la mente di questo popolo
e ne indura l'udito
affinché non veda con i suoi occhi,
né oda con le sue orecchie
né con la sua mente intenda né si converta
e gliene venga salvezza.
E domandai: Fino a quando o signore? Ed egli rispose:
finché le città cadano, così che non vi sia abitante; e le case siano vuote;
e la campagna sia ridotta desolata.
E YHWH allontani la popolazione
e grande sia la desolazione in mezzo al paese.
Che se ancora in essa ne rimanesse una decima parte
anch'essa di nuovo andrebbe in rovina
come il terebinto e la quercia,
nell'atterramento delle quali ne resta una radice;
seme santo è quella radice
Il cohen fece rapidamente il sunto.
L'alabarca era sempre rapido nelle relazioni, come se avesse fretta di concludere.
Ora tirando la sua conclusione era come se volesse subito benedire il suo popolo di fedeli, senza perdersi in lunghe controversie, indicando una via di lettura semplice.
Perciò disse, alzando il tono della voce, con un incipit pacato e solenne, quasi sillabando: I.sa.ia si pro.fes sa pec.ca.to.re da.van.ti a Dio e un serafino lo purifica con un carbone acceso per indicare la chiamata di Dio.
Le chiamate di Dio si somigliano e questa di Isaia è molto simile a quella della vocazione di Geremia e a quella di Ezechiele.
La missione di Isaia è quella di predicare al suo popolo, che, pur ostinato nel male, deve essere illuminato e salvato.
Dio, comunque, avverte il profeta che la sua missione non avrà effetto: la storia di Israel è presente in Dio in ogni sua fase.
Allora YHWH mostra come il suo popolo, pur ridotto a un piccolo numero, simile a una radice di una quercia abbattuta, rimane vivo.
Poi l'alabarca alzò ancora il tono ed accelerò il ritmo pronunciando le parole secondo la retorica asiana, marcando l'anafora .
"Seme santo è quella radice"
Da essa inizierà l'irradiamento nel mondo; da essa si formerà, da essa risorgerà un albero, la cui ombra coprirà la terra, secondo la promessa fatta ai nostri Padri, come le frange regali divine coprono il tempio.
E concludeva : Noi siamo quella radice, noi siamo l'inizio di un nuovo processo ed esortava: partecipiamo al disegno di JHWH e siamo grati ad Adonai per la sua elezione
Amen . disse il popolo
Si alzarono vari personaggi, conosciuti per la loro dottrina: essi si alternarono a commentare il brano, poi si lessero altri salmi e tutti cantavano.
Quando Agrippa ed Jehoshua fecero ritorno a casa dell'Alabarca da soli su lettighe affittate, parlarono a lungo della venuta del Regno dei cieli, che avrebbe permesso la crescita del seme santo e la diffusione della verità sulla terra.
Anzi Jehoshua parlò del granello di senape: il Regno dei cieli è simile ad un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma quando è cresciuto è il più grande dei legumi e diventa come un albero così che gli uccelli del cielosi posano tra i suoi rami.
Canopos
Di mattino Jehoshua e i suoi uomini, che erano rimasti a dormire tra i servi dell'alabarca, accompagnati da Agrippa e da un dioichetes avevano preso una delle tante barche dell'emporos e si erano trasferiti nella villa di Kanopos.
Kanopos era giustamente detta da Omero Campi elisi e celebrata da tutti come la stazione balneare migliore dell'impero, superiore perfino a Baia.
Era un luogo incantevole sia per la varietà di piante che per la dolcezza del clima che per le costruzioni degli uomini: ogni ricco alessandrino e romano aveva ai Campi Elisi una villa.
E siccome era la località dei ricchi, lì ci si confrontava sia come arditezza di forme che come impianti idrici, che come parco: i fiori e le piante stravaganti, gli animali meno conosciuti dovevano essere scovati; i marmi più raffinati dovevano essere trovati: non bastavano neppure quelli locali, pur meravigliosi.
Soprattutto la sfida consisteva nell'accaparrarsi i migliori tektones che, guidati da un architekton estroso e geniale doveva armonizzare il lusso, la raffinatezza, la straordinarietà e il confort.
La casa dell'alabarca, posta su una collinetta verde,era di gran lunga la migliore per il panorama. Si vedeva non solo Canopos, il lago Mareotide e il Delta del Nilo, ma anche tutta la città di Alessandria: a sera era uno spettacolo vedere il Faro e il porto grande.
La villa aveva intorno un migliaio di arourai23 di terreno, coltivato da gruppi di giardinieri (toparii) e contadini che curavano le colture e le siepi, che delimitavano i passaggi che scendevano, a gradoni verso il fiume, che abbellivano i viali alberati, puliti da vilici, scopari ed atrienses.
Una moltitudine di servi era addetta alla casa: dispensatores, tabulari, pedissequi lectiari, cubiculari, paedagogia ornatrices, e perfino eunuchi svolgevano diligentemente i loro compiti.
La villa constava di due grandi parti: l'una elevata, in alto su due piani, in forma semicircolare; l'altra costituita da una criptoportico di poco meno di uno stadio24 e mezzo, anch'esso semicircolare alle cui estremità c'erano due costruzioni.
Ora, secondo il progetto dato dall'alabarca a Jehoshua, bisognava abbattere le due insignificanti costruzioni esistenti e sostituirle con due torri, a forma di tholos,(edificio circolare) circondate da colonne e aprire ogni cinque piedi il criptoportico, che era scavato sotto la collina e che faceva da base alla villa, in modo che si eliminasse il buio e che si godesse anche dell'incantevole paesaggio, pur sotto le viscere della terra.
Tutto lo spazio tra il porticciolo, disposto sotto la prima tholos, e l'allevamento di pesci rari, posto sotto l'altra, era un perfetto arco sferico che aveva il suo centro nella villa, la cui lunghezza circolare ai piedi della collina, sulla battigia, era di quattro stadi, che scendeva a gradoni verso
l'acqua, creando un insieme maestoso.
Jehoshua andava e veniva, ora da una parte ora da un'altra, lavorava lui stesso da carpentiere e da muratore talora, organizzava la sua squadra di operai, leggeva il progetto, intento alla realizzazione.
Agrippa invece oziava.
Egli amava la botanica ed andava ammirando le piante rare, ma spesso si fermava al porticciolo a parlare con i pescatori o sostava alla parte opposta, alla piscina delle murene, che era una rarità o si
soffermava ad una costruzione semicircolare posta al centro del criptoportico, alla sua base, ai cui lati scendevano due piccoli torrenti.
Questi erano stati condottati appositamente dal fiume e convogliati da direzioni diverse alla villa così da riunirsi e formare una cascata, che andava a collegarsi col canale, costituendo un bacino d'acqua contenuto da un arco in pietra della stessa dimensione della costruzione semicircolare, opposto, di circa mezzo stadio di raggio.
Non lavorava Agrippa, ma non aveva da annoiarsi: aveva il compito di supervisore dei lavori, fungeva da padrone, mentre la casa veniva guidata dal dioichetes per le sue attività normali: quindi la sua responsabilità era solo nominale, non reale, più onorifica, in quanto parente.
Agrippa era libero di girare e di ammirare Jehoshua e la sua opera: ormai quell'uomo lo aveva stregato:ne sentiva non l'amicizia, ma il fascino o qualcosa di più intimo, profondo, come un
legame interiore, quasi una sudditanza spirituale che diventava esigenza di cercarlo, di chiedere, di sentire la sua voce anche per cose vane.
Avvertiva in lui qualcosa di misterioso e di divino, come un'altra presenza superiore, una luce mai vista in altri esseri.
Non era un legame culturale, certo: ne aveva avuto altri con uomini, vecchi come Teodoro di Gadara, di cui aveva amato sentire le sue lezioni retoriche e che aveva plasmato la sua anima in senso letterario.
Non era amore per le belle forme del galileo: lui, pur avendo fatto la sue esperienze pederastiche, era sostanzialmente un eterosessuale,come ogni giudeo
Non era neanche una dipendenza paterna che si ha per uno anziano, più moderato e saggio, come Teudione.
La sua era una soggezione, quella che prova l'occidentale per l'orientale, quella che provò Alessandro per il gimnosofista Calano.
La sua, però, era volontà di ricercare, che diventava ansia, come quella che provava circa il suo destino di uomo e la sua funzione regale, ma ora più complessa perché era diventata una ricerca di parola nuova, di paradigmi nuovi, di metodi alternativi.
Egli non capiva bene ma intuiva che in Jehoshua era stranamente racchiuso un daimon superiore, non per cultura o per formazione, ma per natura.
Egli capiva che quel giovane tecton aveva non una sua visione del mondo, ma la sintesi di ogni contraddizione giudaica e che la sua verità era una acquisizione non personale, non derivata, ma congenita e connaturata, come se fosse la risultanza di tutta la storia giudaica.
Il Theos aveva creato un essere che fondeva lo zelo religioso giudaico palestinese con la ricerca della verità ellenistico-giudaica e con quella ellenistico-romana, un uomo di mediazione un Methorios25, che trovava nella parabola il suo misterioso messaggio per tutti, i giusti integerrimi, i peccatori e perfino i mezzo pagani come lui e i goyim.
Agrippa credeva che lui, però, aveva in sé i germi per potere comprendere quel mondo composito perché lui era così contraddittoriamente lacerato tra la fede giudaica e l'urgenza passionale pagana e l'avidità alessandrina, ma non sapeva cucire le tre anime.
Una notte sognò che egli era sul trono e che aveva sulla tiara tre perle di diversa grandezza, che risplendevano ed accecavano i suoi consiglieri, che abbassavano il volto e facevano la proskynesis26.
Quella mattina, perciò, si era diretto verso di lui: lui, aveva dato una personale spiegazione al suo
.sogno, ma cercava di confrontarsi con il maestro che gli faceva scendere le parole, quasi colate nel suo cuore, per meditarle nei tanti momenti liberi della sua oziosa giornata.
Quel sogno della tiara con tre perle, volle sottoporlo al suo Jehoshua, che trovò impegnato in calcoli per la disposizione delle finestre laterali.
Jehoshua gli parlò con dolcezza e si mostrò come persona che già sapesse, pronta a rispondere e a predire il futuro.
Agrippa a volte sognava come un bambino e un nulla lo eccitava e diventava fantasioso; ora si era avvicinato a Jehoshua come forse si avvicinava il grande Alessandro al suo indovino Aristandro di Telmesso, con lo stesso animo di suo nonno, ragazzo, con Menahem, l'esseno.
Il maestro, guardandolo fisso gli disse, spiegando il sogno e con toni profetici.
Dio ha per te il Regno, o Agrippa, quello di tuo nonno: le tre perle sono Giudea, Galilea ed Iturea: in te e per te si riunirà Israel; poi aggiunse: Al regno dei Cieli, però, tutti siamo chiamati, anche tu.
Jehoshua si fece serio e parlò gravemente: Ascolta, Agrippa e medita: Il regno dei cieli è simile ad un padrone che uscì per ingaggiare di primo mattino operai per la sua vigna e pattuì con loro un denaro al giorno e li inviò nella sua vigna. Uscito poi circa l'ora terza, ne vide altri che erano in piazza inoperosi e disse loro: andate anche voi nella mia vigna e vi darò ciò che è giusto.
E quelli andarono. Uscito di nuovo verso la sesta e la nona ora, fece altrettanto.
Uscito poi verso l'undicesima ora, ne trovò altri che stavano in quel medesimo luogo e disse loro: "Perché state qui tutto il giorno inoperosi?" Gli rispondono: "Perché nessuno ci ha ingaggiato".
Dice loro: "andate anche voi nella mia vigna".
Venuta la sera, il padrone della vigna dice al suo fattore: "chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi".
Venuti quelli dell'undicesima ora presero un denaro ciascuno. Quando poi vennero i primi credevano di prendere di più, ma anche essi presero un denaro ciascuno, e nel prenderlo mormoravano contro il padrone dicendo: "questi ultimi hanno lavorato una sola ora e tu li hai messi alla pari con noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo!" Ma egli rispondendo ad uno di loro disse: "Amico, io non ti faccio ingiustizia. Non hai pattuito con me per un solo denaro? Prendi ciò che è tuo e vattene. O forse non posso fare ciò che voglio dei miei beni?
Oppure il tuo occhio è maligno perché io sono buono?".
Così avverrà che anche gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi.
Jehoshua aveva detto così, aveva così parlato e si era accomiatato per riprendere il suo lavoro.
Agrippa, felice per la predizione, si rallegrava nel suo cuore e pensava che lui era come quegli operai dell'ultima ora, divenuto primo da ultimo.
Egli meditava che il Regno dei Cieli, danielico, poteva verificarsi se Jehoshua li guidava: lui, l'alabarca e gli altri lo avrebbero favorito perché Dio era con lui; era con loro quel Dio che santificava loro e che li appaiava ai superbi testimoni del giudaismo palestinesi, convinti assertori della loro primogenitura, fanatici farisei, gelosi di essere gli unici eredi, gli unici figli della luce: era quello il tempo della mediazione; era suonata la sua ora.
Jehoshua dava a tutti la speranza di un Regno, la certezza di una predilezione; a tutti, anche agli ultimi veniva promessa la felicità dell'amplesso col padre celeste: ecco la verità del messaggio del Maestro, ecco da che cosa lui era attratto; ecco chi lo chiamava: lui rispondeva anche se ormai più che quarantenne: Dio aveva accolto la sua preghiera, ora prestava ascolto alla sua disperazione, ora gli era accanto.
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20/12/2009
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