La comunità di Cafarnao XI puntata (III parte) de "L'eterno e il regno"
San Benedetto del Tronto | Il seguito del racconto del Professor Angelo Filipponi.
di Angelo Filipponi
Il miracolo della resurrezione di Esther era arrivato fino a Gerusalemme e a Cesarea: le voci erano corse più rapide della lettera di Jahir alla sanhedrim, più veloci del corriere militare di Caphernahum, che aveva portato la notizia anche al procuratore Pilato.
La notizia in breve si era sparsa non solo per tutti i paesi del lago coi pescatori, ma viaggiava grazie alle carovane che facevano la spola tra il mare fenicio e Damasco e che congiungevano l'Oriente con l'Egitto.
E dall'Egitto la fama si spandeva lungo il corso del Nilo, dal porto interno di Alessandria fino in Nubia per risalire lungo il mare eritreo e propagarsi in Arabia con i commercianti che, seguendo percorsi interni, arrivavano fino a Seleucia e da lì, superato il Tigri, verso l'interno della Partia, penetravano verso il bacino dell'Indo.
Dal porto maggiore di Alessandria, via mare, le notizie viaggiavano: le navi partivano per tutto il mondo e dappertutto i marinai diffondevano la notizia della resurrezione di una bambina ad opera di Jehoshua.
Il nome di Jehoshua era ormai sulla bocca di tutti: la Galilea aveva trovato una sua unione nel suo nome, in suo nome tutti si affratellavano, non esistevano più rancori in ogni paese, non più lotte interne tra i popolari e le classi abbienti; gli erodiani tremavano e i romani erano preoccupati. La Galilea fino ad allora era stata divisa in due partiti, ostili e politicamente e religiosamente ed economicamente: uno di aristocratici, erodiani, sadducei, costretti a recitare la parte dei socii del potere romano e condizionati dalla fedeltà all'imperium da vantaggi economici e favori politici, era costituito dall'élite di amministratori, di militari e di sacerdoti che reggevano il paese in quanto possedevano la chora, suddivisa, governavano le città maggiori, avevano quote nei commerci dei pubblicani, controllavano le entrate del tempio, prendevano le decime dal popolo, si spartivano i proventi derivati dalle ricorrenti feste gerosolomitane; l'altro invece era antiromano, davidico, essenico e comprendeva il popolo medio, medio-basso, costituito da piccoli possessori di terre, artigiani e nullatenenti, che vivevano in villaggi o che risiedevano in città, essendo uomini che stentavano a riempire la pancia ogni giorno delle loro famiglie, che svolgevano mestieri o si arrangiavano in lavori umili da salariati avventizi.
In quegli ultimi anni i molti si erano fusi in cooperative, che riunivano più mestieri ed avevano contattato anche i possessori di terra, che nicchiavano ad associarsi con i morti di fame dei paesi, anche se vedevano la possibilità di essere difesi, in quanto gli artigiani avevano un corpo militare permanente di zeloti e un gruppo di dirigenti di ispirazione essenica, che aveva creato una certa compattezza e concordia.
Ora il miracolo della resurrezione avvicinava la parte migliore laica farisaica alle masse e la distaccava dall'aristocrazia e favoriva una nuova ideologia popolare, che, partendo dalla resurrezione farisaica, considerata propria di uomini eletti e prediletti da Dio, si allargava ad accogliere anche elementi popolari, in una nuova interpretazione farisaica della vita post mortem, che favoriva un'integrazione fra le classi sociali.
La resurrezione per tutti era diventata una conquista e quindi gli ebionim ed ogni am ha aretz sentivano la predilezione di Dio e diventavano importanti e partecipavano alle adunanze dell'edah, anche se non avevano portato il loro contributo in denaro.
Essi ora erano importanti anche se solo uditori senza titolo e senza diritto di parola: ora la loro condizione sembrava essere un privilegio.
L'interpretazione era stata da una parte farisaica, dei buoni farisei, quelli meno intransigenti, e da una parte essenica, degli esseni, dei pii sacerdoti, celibi, che vivevano in comunità nel deserto di Giuda, non lontano da Yericho (che erano avversari dei Sadducei, ritenuti sacerdoti empi ed illegittimi), che avevano perfino un loro calendario, solare, rispetto a quello lunare.
Essi avevano ora interpretato la torah e così ragionavano: Jehoshua, come inviato di Dio, ha resuscitato una bambina per indicare che non solo gli uomini sono uguali ma anche le donne, pur tanto invise a loro, sono paritarie e che l'uomo, in quanto figlio di Dio, essendo essenzialmente ruach vive in eterno col padre, come nephesh (anima).
La resurrezione era non di una bambina ma di un popolo, unificato e diventava per i giudei emblema di una Nuova alleanza, di una nuova epoca da instaurare a partire dalla Galilea, sotto la guida di Jehoshua.
La Galilea, perciò, dopo la resurrezione si ricompattò in senso popolare e circoscrisse le classi sociali dominanti nelle città di Sephoris e di Tiberiade, mentre in tutte le altre sorsero comunità sul modello di quella di Caphernahum, riformatasi con la metanoia di Matthaios e grazie alla predicazione degli esseni che proclamavano l'arrivo del Messia e lo stato di penitenza perché il Regno dei cieli era vicino.
La resurrezione di Esther ebbe un effetto miracoloso su tutto l'ebraismo: la notizia si diffuse in un lampo in tutta la Palestina e giunse a tutti i fratelli della diaspora, favorendo un clima di rinascita ebraica e di solidarietà in tutto l'impero romano e perfino in quello parto.
Il nome di Jehoshua veniva celebrato in ogni lingua, in ebraico ed aramaico, in greco, in siriaco, in latino e subiva trasformazioni a seconda delle pronunce.
Comunque, specie in terra palestinese un altro miracolo si verificò: i popolari ormai dominavano dovunque e perfino nelle città maggiori, dove l'elemento greco era messo a tacere dal movimento zelotico in ogni manifestazione.
Ogni giudeo ora considerava fratello il galileo, ogni peraita corregionale, ogni idumeo si proclamava giudeo, ogni gaulanita e tutti i sudditi di Filippo riscoprivano parentele coi galilei, ogni cittadino della Decapoli guardava ora con nuova simpatia verso la Galilea, perfino i samaritani invitavano a passare attraverso la loro terra e i fratelli di Babilonia poi avevano una speranza in più, un grido nuovo, un santo da onorare: Asineo aveva inviato una delegazione perché il maestro mandasse suoi discepoli tra loro.
Anania, ministro di Izate, invitava i fratelli a visitare l'Adiabene: il suo re amava avere rapporti con la comunità. Da Alessandria, da Antiochia, da Efeso giungevano ambascerie a chiedere la presenza del fratello Jehoshua nelle loro comunità elleniste: da Roma stessa erano giunti messaggeri che imploravano la visita dell'adir.
Insomma il nome di Jehoshua era una bandiera per tutti, pur nelle zone più sperdute occidentali ed orientali, dove il nome giudaico fino ad allora era stato sinonimo solo di uomo oscuro, dove la razza giudaica, odiosa, era considerata taeterrima: anche i gentili accettavano il culto di un uomo che vinceva la morte ed erano pronti a divinizzarlo, fondendolo col mito di Osiride.
A Cafarnao la vita non poteva scorrere più come prima: la presenza di un uomo soter ed evergetes unita a quella della beneficata e della risorta impediva una normalità di vita: tutti guardavano il rabbi tecton alonato di santità e lo consideravano il giusto e quindi lo veneravano, mentre spiavano ogni movimento della bambina, che diventava l'oggetto di ammirazione, ma anche di misteriosi timori.
Inoltre i pagani, vedendo il mastro, lo esaminavano come una creatura divina e, temendolo, temevano anche i correligionari, suoi amici: spesso dimostravano la loro venerazione alla bambina stessa, che diventava oggetto di culto ed alcuni loro artigiani avevano modellato la figura del rabbi e quella della bambina e ne facevano commercio.
Il villaggio si era trasformato perché ora il gruppo giudaico dettava legge avendo una superiorità non solo culturale, ma anche religiosa, aumentata dalla presenza stessa del Rabbi, che riceveva l'omaggio e dei giudei e dei pagani, senza disdegnare nessuno, con molta semplicità e con un sorriso. Anche se nessuno si sapeva abituare a vedere una morta-viva, la vita riprendeva: anche se la piccola Esther era toccata, palpata, pizzicata ogni giorno, da persone venute a visitarla, Caphernahum, nonostante i pellegrini, gli ispettori erodiani, gli inviati della sanhedrim, la presenza di milites curiosi, cercava di riaversi dallo sbalordimento.
Certo la ragazza era soffocata dalle paesane, che la pregavano di grazie, come se lei fosse un angelo e da malati, che affluivano da ogni parte che chiedevano di essere guariti tramite lei.
Jehoshua non si lasciava condizionare: con fermezza, dopo il sorriso di accoglimento, scostava tutti e li invitava a lodare Dio e a seguire i suoi comandamenti, ad essere pacifici e a lavorare.
Egli voleva vivere la solita vita accanto ai fratelli di Caphernahum, ed abitando nella casa di Shimon cercava di scomparire come membro aggregato della sua famiglia ed invitava Tzebedeh a considerarlo come un mastro e facilitare la sua opera nella costruzione del deposito: si serviva solo di Yohanan, che insieme ad Andreas doveva far rispettare il lavoro del rabbi.
La comunità aveva già un luogo per la conservazione del pesce salato, ma aveva bisogno di ampliarlo come deposito del pesce affumicato ed essiccato, oltre che luogo di conservazione delle derrate alimentari, utili per il fabbisogno comunitario.
L'edificio sorgeva, un po' rialzato, verso la collinetta, non lontano dal porticciolo ed aveva una struttura rettangolare, di 20 cubiti per 34.
L'architetto era stato convocato, giorni prima, dai 12 ispettori, che avevano voluto vedere il disegno della costruzione ampliata. Jehoshua aveva allargato la pianta ed aveva mostrato il disegno a Tau greco, maiuscolo, evidenziando con la mano, l'asta orizzontale, che la faceva somigliare ad una basilica romana.
Questa parte, su progetto di Jehoshua, era in fase di realizzazione: gli oicodomoi avevano già alzato le mura ai lati e la parete, costituente un rettangolo di 20 x 30 cubiti, che ora stava come corpo isolato rispetto al rettangolo del magazzino, a cui doveva essere collegato.
I fabbri ora aspettavano di entrare in azione ed avevano preparato travi di 20 cubiti, che servivano per collegare le pareti, appena i tectones avessero terminato il collegamento tra le due ali del rettangolo costruito con il rettangolo, già esistente del deposito, ed avessero lasciato due aperture simmetriche. Certo ora la costruzione era armoniosa: sembrava che i due rettangoli ora fossero in buon rapporto quello a nord orizzontale si incastrava con quello verticale più grande.
I pescatori, tornando a casa dal mare, vedevano da lontano il deposito e ne erano orgogliosi.
Jehoshua era intento ad ordinare il collocamento delle travi tra la parete esterna est e quella nuova, a partire dall'angolo, là dove si incastrava con il muro preesistente: era un'operazione delicata perché bisognava fare il lavoro contemporaneamente sui due lati del rettangolo più grande e da lì disporre sette travi di cedro pesanti, dall'una e dall'altra parte, in modo da iniziare la copertura.
Di grande utilità era Lazar, un oicodomos di Betania, amico di Jehoshua fin dall'infanzia: era un sansone, di altezza eccezionale, di 7 cubiti, un gigante poderoso, che sollevava le travi come se maneggiasse un fuscello.
Lazar era un fedelissimo di Jehoshua, come le sue sorelle Marta e Myriam: eseguiva ogni ordine con precisione senza mai discutere: lavorava e sorrideva un po' ebetamente, ma era preciso nelle operazioni ed attendeva sempre e solo l'ordine dell'amico.
Grazie a Lazar la positura delle travi fu uno scherzo, nonostante l'altezza.
Si era costruita una torre al centro con una machina tractura (uno strumento simile ad una grù), mentre lunghe scale, poggiate ai lati, servivano ad uomini che da ambedue le parti portavano su le travi, che, poi, prese al centro da Lazar, venivano fissate e collocate.
Il mastro aveva disegnato che la parte centrale riprendesse lo schema di copertura del capannone esistente, che consisteva in due travi di 20 cubiti, disposti in modo da incastrarsi orizzontalmente a quelli già predisposti ai lati e che fossero paralleli alla parete finale.
Ora, mentre Jehoshua era impegnato nel lavoro, arrivò un corriere, che invitava il maestro a casa di Matthaios a mangiare il pasto della cena del venerdì e ad essere suo ospite per il sabato insieme ai capi della comunità.
Il messaggero aggiunse che il padrone sarebbe venuto personalmente per la risposta e per parlare dell'affare in corso. Shimon subito si inviperì: è insensato e pazzesco che un apostata chieda di andare nella sua casa ad un giusto, per contaminarlo! Tzebedeh, appena seppe la cosa andò anche lui su tutte le furie: un luogo di profanazione è la casa di Matthaios; un santo la disdegna.
Jahir, che stava guardando la costruzione, affermava: è necessario che la grande scomunica si sospenda perché si possa stare nella casa di un peccatore.
I giovani erano poi tutti indignati, meno Johanan che diceva: ogni cosa viene da Dio ed è pazzo chi contrasta Dio: noi dobbiamo solo leggere la volontà di Dio ed obbedire.
Ma Jacob proponeva che non era il caso di star a discutere all'aperto, ma che bisognava votare in comunità quella decisione, se Jehoshua era d'accordo.
Il rabbi non parlava, ma seguitava a fare i suoi calcoli e a dare ordini circa l'esecuzione del lavoro e diceva: a tempo opportuno, ogni cosa trova il suo giusto posto.
Tutti interpretavano la frase come di assenso.
Perciò si stabiliva di riunirsi in seduta plenaria in sinagoga e si auguravano che tra breve la riunione potesse tenersi nel magazzino, vista la grandezza del luogo.
L' assemblea
Jahir, non avendo tempo di consultarsi coi colleghi gerosolomitani, a casa, si era studiato il caso e si era preparato per essere conforme a legge.
Essa contemplava che l'apostata, in caso di reintroduzione nella comunità, dovesse prima purificarsi mediante la flagellazione e poi espiasse con il pagamento di denaro, in relazione al male fatto.
La torah era precisa in ogni punto e la casistica era chiara per un fariseo.
Jahir era un fariseo vero, di quelli buoni non di quelli formali o di quelli che operavano con l'occhio rivolto verso possibili spettatori o di quelli inflessibili, tutto zelo: non per nulla era chiamato dal popolo uomo di pietà. Ed aveva inoltre come amico Josip di Arimatea, un consigliere del Sinedrio, a cui spesso si rivolgeva nell'incertezza: egli sempre era stato remissivo e flessibile, ma dopo la resurrezione della figlia, niente gli era chiaro, anche la lettera più chiara della legge gli diventava oscura; perciò decise di chiamare l'amico, anche perché sapeva che sarebbero venuti uomini, inviati dalla comunità Essena e da Gerusalemme. Lui, quale rappresentante di Caphernauhm doveva apparire sicuro, preciso, funzionale.
Josip si disse disposto a venire in giornata, nonostante la vecchiaia e la cecità, facendo sapere che ogni loro deliberazione, comunque, aveva valore se ratificata dalla Sanhedrim di Gerusalemme, che era l'organo, che poi doveva garantire la remissione dei peccati e la reintegrazione dell'apostata nella comunità.
Il fariseo capiva però che la conversione di Matthaios con la resurrezione di sua figlia cambiava tante cose nella zona: Dio era proprio con loro: il regno era proprio vicino, la libertà era prossima.
Lui ora sapeva solo pregare: non sapeva fare altro: Adonai muoveva i fili di ogni cosa e Adonai ora volgeva il suo sguardo su Israel: JHWH era con Jehoshua.
Jahir andò all'assemblea abbastanza sereno e pensò di collegare la conversione di un'apostata e la morte come un segno di Dio, come volontà di Shaddai di favorire la formazione di una grande edah. L'assemblea dei capifamiglia di Caphernahum era plenaria, ci fu ressa inizialmente per la disposizione dei posti, poi ci fu la calma dell'attesa: tutti conoscevano il motivo della riunione, ma si capiva da una infinità di segni che quella non era una seduta normale.
La presenza di Jehoshua, quella del maestro di Arimatea e di alcuni di Gerusalemme, quella di due esseni cambiavano la discussione comunitaria in un dibattito non più assembleare locale, di interesse galilaico, ma giudaico e di interesse nazionale.
Jehoshua attorniato da Shimon e dal suo gruppo di pescatori, era certamente l'osservato speciale, l'uomo che doveva parlare: la sua parola aveva un reale potere e c'era attesa della sua parola.
Perciò Jahir si alzò, come sempre, per aprire la seduta, ma davanti a tanti illustri correligionari, tra cui in prima fila spiccavano nobilissimi uomini, tra i quali si distingueva Agrippa ben Aristobulo, sembrava perfino più insicuro e titubante: fratelli, a che parlare? Le nostre parole sono solo parole, ascoltiamo il maestro: le sue parole hanno potere: esse operano, cambiano la storia, sono resurrezione e vita. A che parliamo noi?
Poi aggiunse quanto aveva stabilito con il vecchio di Arimatea e di nuovo invitò Jehoshua.
Questi si schermiva: non voleva parlare perché uomo che non apparteneva alla comunità e perché egli operava, come tecton.
Tutti chiedevano con insistenza il suo parere.
Tutti avevano chiara la missione di Jehoshua, ora: tutti capivano la funzione della propria comunità, ingigantita dalla presenza del santo guaritore.
Ora la loro comunità era il centro di Israel: ogni azione diventava paradigmatica per tutta la nazione e per i fratelli della diaspora: bisognava agire in conformità alla legge, seguendo la parola operativa del santo di Dio: tutti ormai chiamavano Jehoshua il santo di Dio, l'eletto, il figlio di David.
Jehoshua, dopo lunghe preghiere, si alzò, guardò in alto, come se dall'alto gli venisse la parola e fece solo una domanda, che turbò tutti: chi credete che io sia?
Nessuno fiatava: un silenzio, profondo, era piombato nell'assemblea.
Poi i presenti cominciarono a bisbigliare tra loro rispondendo emotivamente: essi vedevano il mastro, ma lo ritenevano il santo di Israel, il nuovo Elia, il profeta sorto in mezzo a loro, l'inviato.
E nessuno si alzava: tutti stavano silenziosi, incerti sul dichiararsi, convinti che altri potevano dare la risposta: magari i fratelli esseni presenti, Melazar e il giovane a lui vicino, che tanto somigliava al loro santo maestro (dicevano alcuni che era Jaqob, suo fratello esseno) oppure il maestro di Arimatea o un nobile o un loro mebaqer.
Melazar, un esseno venuto da Damash si presentò e presentò a tutti Jaqob, fratello di Jehoshua, e disse pacatamente e da uomo che sapeva dominare le masse, abituato al comando: La mia parola non è mia, ma dei 12 padri, dei tre sacerdoti e del Maestro di giustizia, che guidano la comunità dei quattromila esseni.
Loro tutti, dopo lungo studio, sono arrivati alla conclusione e concordi hanno interpretato la legge e i profeti ed hanno così sintetizzato il loro midrash(ricerca): un santo inviato da Dio è tra noi, il suo nome è Emmanuel, che noi tutti ora conosciamo come Jehoshua ben Josip.
La sua parola è santa. Lui, Jehoshua ben Josip è l'unto del signore, Il Meshiah, il Christòs.
Non lui ma le sue opere parlano di lui e lo proclamano come l'eletto di JHWH: chi noi abbiamo aspettato da secoli ora è tra noi: il Regno dei cieli è prossimo. Halleluiah.
Dopo lo stupore iniziale, il grido di Halleluiah risuonò dovunque e tutti si abbracciavano: ora erano liberi, ora bisognava seguire la parola del santo, la parola di Jahweh Sabaoth.
Tutti ringraziavano Adonai che aveva loro fatto vedere quel giorno e aveva permesso di vedere il suo santo. Tutti i presenti, incitati da Jahir intonarono il canto del ringraziamento e l'assemblea fu tutta una festa: un galileo era l'unto, riconosciuto dopo secoli dagli Esseni, i monaci comunitari, casti, separati. Shimon non si poté trattenere e a nome dei suoi concittadini si era alzato, scavalcando lo stesso Zebedeh.
Guardando fisso il suo maestro, aveva preso la parola e ripeté per tutti la frase essena di investitura, proclamò Jehoshua santo per evidenziare il pensiero di tutta la collettività di Caphernahum, come atto di fede: tu sei il Christos, l'inviato, venuto a redimerci; tu sei la nostra guida.
Allora finalmente Jehoshua parlò, alzando gli occhi al cielo: un nuovo tempo è sorto in Israel, una vita nuova pulsa, il peccatore sarà con il giusto, il lupo con l'agnello, la casa di un peccatore sarà ora come quella di un giusto.
Ci fu un silenzio, tanto più profondo per quanto era stato caloroso il canto prima e intensa la gioia; e al silenzio successe un brusio.
Jahir subito disse, per dissipare il clima di farisaica incertezza e per alleviare il peso dell'ultima frase, non gradita dalla maggioranza: facciamo ciò che dice il maestro: noi scriviamo quanto avviene alla Sanhedrim, faremo la relazione e mostreremo il nuovo corso iniziato a Caphernahum: il nostro costruttore santo costruisce una casa per sempre, utilizza la pietra scartata e ne fa testata d'angolo. Sia lode a Dio.
La frase di Jahir con la metafora era stata da tutti accettata e compreso esattamente il riferimento a Matthaios.
Si alzò Josip di Armatea, tremante, forse più per l'emozione che per la vecchiaia: tutti lo veneravano ed erano pronti all'ascolto: fratelli, Dio è con noi: ci ha mostrato la via della vita, tramite la resurrezione: seguiamo Jehoshua, l'unto: le sue parole non sono come le nostre: noi conosciamo la legge e l'applichiamo, lui la supera: sentiamo la sua voce e meditiamola.
Io riferirò con i due venuti da Gerusalemme per vedere e controllare i fatti, quanto è stato detto e soprattutto la verità della resurrezione.
Jehoshua è il prediletto di Dio: lui sia la nostra luce, sia la nostra via.
Fece poi una pausa come per prendere respiro e aggiunse sommessamente, assumendo un'espressione di tristezza.
Un uomo, un eletto, un santo non è più tra noi : non potrà gioire della nostra stessa gioia!
Ricordiamolo e celebriamolo proprio ora quando noi siamo felici per la venuta del messia: Lui per primo ce lo aveva indicato ce lo aveva manifestato
Parlo di Johanan ben Zakarjeh, il battista
E cominciò a piangere . Poi s i riprese e disse: egli è morto! È stato ucciso da Erode Antipa. A Macheronte.
Ci fu un lamento comune nella sala e poi ci furono urla contro il tetrarca, minacce di morte; ci furono giovani che si offrirono come martiri, decisi a morire come vendicatori del profeta.
Calmò il pubblico Josip con la sua autorità ed aggiunse:
Non ci rattristiamo: Adonai ha così voluto e permesso: il malvagio pagherà, mentre il giusto è nella sua luce e gode il premio della sua santa vita: il signore da una gioia e un dolore, mescola vita e morte, congiunge il principio e la fine.
Johanan il Battista è morto:, la sua testa è stata portata al tetrarca, su un piatto d'argento da Salome e il nostro fratello Agrippa ben Aristobulo lo può confermare.
La sua voce non muore: noi tutti saremo la sua voce, se Jehoshua ci guida e saremo invincibili.
Il Battista vivrà la nostra stessa vittoria, anzi sarà la nostra bandiera con Jehoshua.
La sua voce e quella nostra si possano moltiplicare per cento e diventino un rombo più potente del tuono, che atterrisca il mondo.
Jehoshua faccia tremare, come la magrefà, l'aria: tutti i nemici tremino! Israel è vivo!
Fece una pausa. Poi disse:
Una grande notizia vi porto: io porto il consenso della sanhedrim.
Il voto dei settantuno fu unanime: il Mashiah è tra noi!
Jehoshua sia noi tutti, lui davanti, noi dietro, lui risplenda come luce sul candelabro, che illumini la nostra notte: la nostra attesa è finita.
La notizia della morte del Battista era già conosciuta, ma la conferma di un esponente gerosolomitano dava il segno dell'ufficialità.
Non era conosciuta l'adesione della Sanhedrim al Maestro.
Perciò, appena fu detta l'ultima frase, si scatenò un'euforia che contagiò tutti: ci si abbracciava, ci si baciava e molti piangevano perché il Regno dei cieli era vicino e perché presto sarebbero stati liberi. Jahir nell'occasione, dimostrò la sua freddezza farisaica, fece fare silenzio.
Poi raffreddò tutti con la scusa di pregare per l'anima santa di Johanan: si recitò la preghiera ufficiale dei morti e si indisse il lutto per i giusti.
La seduta, però, doveva continuare i suoi lavori e perciò Jahir, considerata la gioia che l'unto del signore era in Israel e compreso che i cuori di tutti erano fiduciosi in YHWH, dopo interventi così illustri, come presidente, riportò l'assemblea a deliberare se andare a casa di Matthaios o se farlo venire, supplice, davanti ai capi, per stabilire la pena.
Incerto, volle sentire prima le accuse degli accusatori (alcuni di Caphernahum ed altri di Gerusalemme) ascoltare i truffati che erano molti e che inveivano contro di lui.
Si alzò allora Tzebedeh che rilevò che nessuno aveva patito per colpa di Matthaios né la prigione né la fustigazione e tanto meno la morte e concluse che il pubblicano non si era, perciò, macchiato del sangue del fratello, anche se le sue colpe erano infinite.
Insomma Tzebedeh sembrava un altro: i tempi nuovi già l'avevano cambiato: faceva quasi il difensore di Matthaios: eppure lui doveva aver avuto in passato rancori profondi ed odio contro Matthaios, responsabile di tanti affari sfumati.
Il presidente chiedeva se c'era qualcuno che aveva da difendere il pubblicano; nessuno si presentò: soltanto sorse un mormorio di commiserazione e di perdono nella folla.
Allora si passò a decidere la pena per purificarsi davanti a Dio: Shimon parlò della tradizionale fustigazione e concluse che 40 scudisciate, meno una, avrebbero potuto purificare la carne di un apostata, che chiedeva di essere riammesso nella comunità dei fratelli.
Tzebedeh riprese un consiglio di Shammai: sia il penitente, che ha abiurato, messo come tappeto all'entrata della sinagoga e ognuno lo passi e lo ripassi in senso di disprezzo prima di accettarlo come fratello per l'ingiuria fatta al signore e ai suoi fratelli.
Jaqob, suo figlio, fu più blando, come l'insegnamento di Hillel: il penitente paghi il pegno del suo tradimento e torni come era al momento dell'apostasia.
Era una condanna implicita che risparmiava solo l'umiliazione fisica, senza dimostrare debolezza nei confronti di Matthaios.
Jahir pensava che doveva chiedere ancora la parola di Jehoshua per convincere gli altri ed accogliere il pubblicano: Il maestro sicuramente lo avrebbe accolto e perciò la sua parola sarebbe stata definitiva e decisiva.
Allora Jehoshua disse: Voi volete punire un peccatore, ma siamo tutti peccatori: le nostre opere sono sempre sbagliate: solo Dio è gadosh ( buono).
Noi non meritiamo mai niente, ma è Dio che rimette i nostri peccati e ci purifica mediante l'errore: io sono venuto per stare con i peccatori: i pochi giusti, sono già giusti e non hanno bisogno di aiuto: il padre mi ha mandato per i peccatori, a verificare quanto ognuno di noi ha ricevuto e come l'ha speso.
Il regno dei cieli è simile ad un padrone che, dovendo andare lontano, chiamò i suoi servi e consegnò i suoi averi.
Ad uno consegnò cinque talenti, ad un altro due, ad un terzo uno, a ciascuno secondo le sue capacità ed andò via.
Immediatamente colui che aveva ricevuto cinque talenti si mise a trafficare con essi e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo quello che ne aveva ricevuto due, ne guadagnò anch'egli altri due. Colui invece che ne aveva ricevuto uno, se ne andò, scavò sotto terra e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare il conto con essi. Venuto colui che aveva ricevuto cinque talenti, gli portò altri cinque talenti dicendo: signore, mi consegnasti cinque talenti; ecco ho guadagnato altri cinque talenti. Gli disse il suo signor: ben hai fatto servo buono e fedele poiché sei stato fedele nel poco ti porrò sopra a molte cose, entra nella gioia del tuo signore!
Venuto quello che aveva ricevuto due talenti disse come il primo e ricevette lo stesso premio perché aveva raddoppiato.
Venuto poi anche quello che aveva ricevuto un solo talento disse: "signore, io so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso". Perciò, avendo timore, andai e nascosi il tuo talento sotto terra: "Ecco ora hai ciò che è tuo". Ma il suo signore gli rispose:"servo malvagio e neghittoso, sapevi che io mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso, quindi bisognava che almeno tu portassi il mio denaro ai banchieri affinché io venendo potessi riscuotere il mio ed insieme l'interesse".
Toglietegli, dunque, il talento e consegnatelo a quello che ha dieci talenti poiché a chi ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha, gli sarà tolto anche quello che ha.
Il servo inetto, gettatelo nelle tenebre di fuori, dove sarà pianto e stridore di denti.
Jehoshua così concluse: Il suo peccato, Matthaios se lo porta con sé e se lo espia ogni giorno: una pena grande, se vissuta con animo contrito, sarà fruttifera come un albero concimato da letame: i suoi cinque talenti li saprà far fruttare anche davanti a Dio: accettiamo il suo invito: il Padre ci chiama tramite lui peccatore.
Nessuno replicò e l'assemblea fu sciolta.
In casa di Matthaios
Finita l'assemblea i due fratelli, Jehoshua ed Jaqob si erano appartati per un abbraccio, in una casa di Agrippa dove poter avere l'intimità di un incontro dopo tanti anni.
Ed erano rimasti a lungo, tutta la notte, a parlare, a rievocare la casa, il padre, la madre, i parenti: non si vedevano da dieci anni, avevano bisogno di parlarsi, di colmare quel vuoto e conoscere il disegno di Dio su ognuno di loro.
Jehoshua era il fratello maggiore, Jaqob il minore: Josip era stato padre ottimo per ambedue: due modi di essere padre, diversi anche perché diversi erano i periodi e della vita e della storia.
L'uno, nato nei torbidi della prima apographè, in un clima di rivoluzione, negli ultimi anni del regno di Erode il Grande, l'altro dopo la esautorazione di Archelao nella seconda apographè, imposta da Quirinio, erano stati amati ed educati differentemente da un tecton, davidico, che costretto ad andare in Egitto anche per lavoro, era ritornato, si era comprato una casa, un fondo agricolo ed aveva condotto una vita dignitosa con la sua numerosa famiglia.
Dei cinque figli maschi, due erano i prediletti, Jehoshua il primogenito e Jaqob l'ultimo: due ragazzi diversi, l'uno desideroso di imparare, di crescere presto, di vedere nuovi popoli, sognante ed a volte assente, come se sentisse voci lontane, solitario, come se avesse bisogno di appartarsi per capire e riflettere e come se avesse un misterioso interlocutore, analitico come ogni artigiano, era diventato un artista nel lavoro perché creativo, divergente, introverso, ma generoso; l'altro di tredici anni più giovane, socievole, comunicativo ma duro, a volte inflessibile, un vero giudeo, un altro Josip.
Tempi diversi di nascita e di povertà per il primo, a seguito della guerra furiosa in Galilea contro gli erodiani e i Romani di Varo, di benessere per il secondo, di lavoro ben retribuito a Sephoris e nelle vicinanze e di agiatezza a seguito del nuovo viaggio in Egitto.
Alla morte di Josip, Jehoshua aveva fatto da padre, memore dell'ultimo sguardo d'amore per il piccolo Jaqob, non ancora bar onesh, della lacrima muta, ricca di tanti significati per uno attento come Jehoshua.
Jehoshua ricordava l'incontro, un cinque anni dopo, tra lui e Melazar esseno, che, avendo visto Jaqob, aveva chiesto di poterlo iscrivere tra i novizi, con la consegna di una simbolica quota di denaro, come partecipazione alla comunità e come dono della famiglia.
Jaqob rievocava il trasporto e lo slancio con cui aveva accettato: tu, come capo famiglia, dicesti di Melazar e della sua proposta: tutti tacevano, nostra madre, i nostri fratelli e le nostre sorelle, che guardavano me: mi amavate tutti e nessuno mi voleva forzare: io mi alzai su e dissi: l'Altissimo mi chiama ed io devo andare!
Quanto doloroso fu poi il distacco! Rivedo ancora il volto di mia madre che piangeva e le sue mani che mi accompagnavano nella partenza; ricordo le tue parole: segui la via del Signore, fratello, ed ama il prossimo come te stesso!
Jaqob ora guardava il fratello maggiore, gli baciava le mani e diceva: Ed ora ti ritrovo indicato da tutti e proclamato come unto del signore, come l'uomo che compie ogni profezia, come il punto di demarcazione della storia di Israel, come Meshiah, Christòs venuto a riscattare il suo popolo e a liberarlo dalla schiavitù, ad iniziare un'epoca nuova: la nostra famiglia, davidica, aveva questa funzione, dare il santo di Dio, formare te, Jehoshua.
Ed abbracciava il fratello, piangendo di gioia.
Anche Jehoshua ricordava il saluto lacrimoso del fratello che rivedeva con la mano alzata, che andava a seguire la via comunitaria con purezza di animo, a diventare, mediante il sacrificio, un giusto, amato dal Padre.
Ora lo rivedeva esseno con la tunica bianca e lo trovava tra i suoi investitori e tra i suoi elettori.
I due fratelli si salutarono: Melazar sarebbe partito per andare in terra parta a diffondere la buona notizia con Jaqob: Il Regno dei cieli è prossimo, Jehoshua è il nabi soter di Israel.
Anche Agrippa era venuto a salutare Jehoshua: l'aveva abbracciato con affetto: la stretta parlava più di un discorso: ormai si conoscevano bene: sarebbe andato a Yerushalaim, come consigliere aggiunto; Sila, lo avrebbe rappresentato nella comunità, sarebbe rimasto a disposizione, avrebbe tenuto i rapporti con l'Alabarca, anche lui desideroso di essere tra i figli della luce, avrebbe messo a disposizione ogni cosa.
E Sila era un buon pagano, rimasto colpito dalla resurrezione di Esther, euforicamente innamorato di Jehoshua, desideroso di testimoniare la sua fede, anche se i discepoli glielo impedivano, perché goy, bramoso di raccontare enfaticamente come una dramma, con le pause e le formule proprie della tragedia, il miracolo: scusassero e perdonassero la sua mania catartica e la sua lingua lunga: anche con lui Sila faceva il profeta con strani ma: per regnare Dio ti ha fatto nascere, ma....
E' un goy linguacciuto! scherzò Agrippa.
Jehoshua, dunque, era tornato dai suoi amici pescatori, ma trovò una amara sorpresa: nessuno voleva venire da Matthaios, l'impuro.
Eppure era quello il giorno fissato per andare dal pubblicano e perfino Shimon e Jahir si tiravano indietro, non volevano andare.
Essi erano stati convinti dai farisei di Jerushalaim che avevano mostrato la legge ed avevano spiegato che il maestro infrangeva la legge.
Il loro ragionamento era perfetto anche secondo i suoi discepoli, che dovevano invitare il maestro a recedere dalla sua decisione e dall'impegno preso.
Essi così avevano parlato a detta di Shimon: la casa di un apostata è impura e tutti i suoi abitanti sono impuri e sotto la possessione diabolica: bisognava prima purificare la casa, far confessare i peccati, pubblicamente e fare penitenza, accettare la punizione dei sacerdoti, rimanere trenta giorni in solitudine, aspergere ogni cosa profanata e donne e figli, poi rientrare in casa dopo le offerte liturgiche, la restituzione del denaro ai defraudati: neanche il suo denaro poteva essere accettato né la sua roba: la comunità non poteva accettare l'impuro!
Mosé così aveva stabilito: aveva ordinato perfino di non accogliere la mercede delle prostitute. Certo Jehoshua era l'unto, ma non era Mosè: neanche lui poteva andare contro la legge di Mosè.
Il discorso era stato fatto non in presenza del maestro e i suoi discepoli si erano convinti della rigorosa applicazione: tutti amavano, rispettavano Jehoshua, ma nessuno voleva andare contro la legge: c'era la minaccia di un'ispezione, che sarebbe partita da Jerushalaim e che avrebbe condannato sicuramente chiunque fosse stato a contatto col peccatore Matthaios: nessuno poteva rimettere la scomunica se non l'ente che l'avesse emessa.
Jehoshua si infuriò:
Ipocriti,ben profetò di voi Isaia:
questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me
Inutilmente mi rende culto
insegnando delle dottrine, che sono precetti di uomini.
Lasciateli andare: sono ciechi e guide di ciechi; se un cieco guida un cieco, ambedue cadranno nella fossa.
Voi, scribi e farisei vi siete posti sulla cattedra di Mosè: fate ed osservate quanto vi dicono ma non fate secondo le loro opere perché dicono e non fanno.
Legano carichi pesanti ed insopportabili e li impongono sulle spalle degli uomini, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito: fanno tutte le loro opere per essere ammirati dagli uomini.
Allargano, infatti, le loro filatterie, ingrandiscono le frange ed amano il primo posto nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, l'essere salutati nelle piazze e l'essere chiamati rabbi dagli uomini.
Guai a voi scribi e farisei ipocriti perché chiudete in faccia agli uomini il Regno dei cieli:voi infatti, non vi entrate e non permettete che vi entrino coloro che vorrebbero entrarvi.
Guai a voi scribi e farisei ipocriti perché girate per mare e per terra per fare anche un solo proselito e dopo che l'avete fatto, lo fate un figlio della geenna, due volte più di voi.
Guai a voi scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati,i quali all'esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondezza: voi sembrate giusti agli uomini esternamente, ma dentro siete pieni di iniquità.
Jehoshua si calmò e il suo tono, pur ancora tagliente, era tornato sereno, quasi confidenziale:
non hanno bisogno del medico quelli che stanno bene, ma i malati; riferite agli scribi ed ai farisei che imparino a leggere il significato di Voglio la misericordia e non il sacrificio e sappiano che io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori.
Jehoshua s'incamminò verso la casa del pubblicano, che invero aveva mandato i suoi servi a prenderlo e disse: Chi vuole seguirmi, mi segua; io vado dove vuole il padre mio, che è nei cieli.
Molti lo seguirono e Shimon per primo.
Matthaios in persona lo accolse, gli si inginocchiò, lo ringraziò per essere venuto nella sua casa, convinto che sarebbe stata purificata dalla sua stessa presenza: il santo di Dio rende pura ogni cosa.
Fece lavare i piedi, ai suoi ospiti, e far loro ogni dovuta abluzione e poi disse: la mia casa è la tua, signore, e dei tuoi amici; la mia famiglia è la tua: disponi di me come meglio credi: io peccatore non sono degno di accoglierti, ma se tu mi onori della tua visita, io non ho ricchezza per pagarti: posso solo essere degno della tua grazia e della tua elezione.
Non c'era niente di quel Matthaios di un tempo: non guardava più con gli occhi da pubblicano, sembrava che i giorni di attesa li avesse passati in digiuno e in penitenza: era dimagrito; la sua faccia più scavata, la sua barba non curata: la calma era la stessa, ma un leggero tremito nella voce e una certa agitazione davano l'idea di insicurezza e di paura di non essere degno di un Santo come Jehoshua. L'aveva sognato Matthaios-Levi, quella stessa notte: si trovava al suo banco centrale di Caphernahum mentre i suoi sullobistai cambiavano le valute dei babilonesi di passaggio e lui controllava come sempre: Jehoshua stava passando con i suoi discepoli e gli aveva detto. Seguimi! E lui si era alzato e l'aveva seguito.
Ora quel Jehoshua era nella sua casa e perciò era felice, felice perché già lo seguiva: non gli importava che non aveva detto il discorso preparato, in cui lui, malato guarito, grato per la guarigione condonava i debiti alla comunità e metteva la sua ricchezza e la sua mente al servizio degli altri: era contento perché aveva detto ciò che sentiva e il signore l'aveva ascoltato perché aveva letto nel suo cuore ed aveva visto il suo animo pentito.
Ora voleva dire grazie anche a nome di Zaccai e di altri pubblicani, suoi agenti e subagenti che volevano conoscere il maestro e che aderivano al suo pensiero e quindi volevano essere collaboratori della comunità.
Maestro, pregò Matthaios, noi ti ringraziamo che tu mangi con noi amartoloi (peccatori), con noi telonai (pubblicani): tu giusto vieni a stare con noi ingiusti, tu agnello con noi lupi: tu difendi noi ingiusti dai farisei e dai sacerdoti del tempio, che vogliono la nostra punizione: noi chiediamo di poter entrare nella comunità di Caphernahum come tu stabilirai, secondo le regole che tu vorrai imporci e le punizioni che vorrai infliggerci. Io Matthaios ho già fatto diligentemente tutti i miei conti: quelli miei personali, quelli dei miei agenti e quelli in comproprietà con Callisto.
Col romano mi sono già staccato: ho pagato più di quanto dovessi, pur di liberarmi da lui che naturalmente ha tirato come solo noi pubblicani sappiamo fare: ho pagato e sono libero: la libertà non ha prezzo! Con Erode devo ancora avere contatti: con lui tutto si aggiusta: è anche lui un Giudeo, un uomo che vede, un peccatore, ma un circonciso.
Tutto ciò che è mio ora è della comunità: ho scritto, segnato, computato ogni cosa: tutto è a disposizione del vostro diochetes: può verificare, prendere le tabelle che io ho redatto e ho posto su quel tavolo: fin da ora potete inglobare i miei beni se tu vorrai, o maestro.
Due tavole fitte di conti erano sul tavolo: Tzebedeh ed Jehudah di Qeriot, l'oiconomos, subito avidamente, si precipitarono a leggere i conti.
Erano venuti mal volentieri dal telones, ma ora erano eccitati di fronte al denaro: ogni tanto si sentivano le loro esclamazioni: i nostri debiti sono stati cancellati, davvero, maestro! Gridava raggiante Tzebedeh, ed incredulo aggiungeva e 30 milioni di denari, 120 milioni di sesterzi, sono a nostra disposizione! 2240 arourai di ottimo terreno, piantato, ora è nostro, faceva l'uomo di Qeriot, fregandosi le mani ed anche un milione di denari dalla banca di Antiochia e 3 milioni da quella dell'Alabarca, meno 1 milione di trasporto!
Maestro, fece l'oikonomos ora la nostra comunità è ricca e possiamo ingrandirci, commerciare con le ragioni partiche, senza gli intermediari romani, ora noi possiamo....
Il maestro lo fermò: noi dobbiamo propagandare il Regno dei cieli e marciare verso Jerushalaim, dove il figlio dell'uomo dovrà patire (ed un'ombra scese sul suo bel volto). Dovremo andare a Jerushalaim: il nostro regno senza Jerushalaim non ha significato. E si metteva a cantare:
o Yerushalaim
se mi dimenticassi di te,
io dimentichi la mia mano destra!
E la mia lingua mi si incolli
al palato
se non ricordassi più te, se non innalzassi Jerushalaim
al di sopra di ogni mia gioia!
E poi continuò: voi della comunità seguirete Matthaios in ogni sua volontà: Dio lo guiderà nel bene: l'ha guidato anche nel male per fare del bene a noi tutti: lui è un eletto del Signore.
Lacrime di gioia segnarono il volto di Matthaios, che ora di nuovo si inginocchiava e mostrava tutta la sua gratitudine: da tempo non sentiva quella pace interiore che ora aveva, e la sua famiglia gli si stringeva intorno solidale e felice di potere rientrare tra i fratelli alla pari, senza umiliazioni.
Non finiva mai di ringraziare.
La gioia era immensa; ora pregava serenamente e in cuor suo si augurava di essere sempre degno del Maestro ed aggiunse: Sarà mio compito non avere relazioni con i pagani, specie coi Romani: noi saremo degni di essere tra i figli del Regno dei Cieli: tu hai detto che io saprò far fruttare i cinque talenti di Dio: io e i miei collaboratori saremo tuoi servi e servi dei tuoi amici: anche noi vogliamo essere tra i tuoi discepoli ed amici.
Ed Jehoshua sorrise: L'amore cambia l'uomo, non la farisaica osservanza della legge: Voglio la misericordia non il sacrificio.
Al ritorno dalla casa di Matthaios, Jehoshua scelse settantadue discepoli e li inviò due a due davanti a sé in ogni città e luogo, dove egli stesso stava per andare e disse loro: la messe è molta, ma gli operai sono pochi: pregate, dunque, il Signore della messe che mandi operai nella sua messe: Andate, ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Non portate borsa né bisaccia, né sandali e lungo la strada non salutate nessuno. In qualunque casa entriate dite prima di tutto: Shalom.
In quella stessa casa fermatevi, mangiate e bevete di quel che c'è presso di loro perché all'operaio spetta il suo salario. Non passate di casa in casa. E quando entrerete in qualche città e vi sarete accolti, mangiate e bevete quel che vi verrà preparato e guarite gli infermi che vi sono e dite alla gente: Sta per venire a voi il Regno dei Cieli. Se invece entrerete in qualche città e non vorranno ricevervi, uscite sulle piazze e dite: Scuotiamo via anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai piedi. Tuttavia sappiate che il Regno di Dio è vicino.
Poi aggiunse in modo severo: Vi dico che a Sodoma in quel giorno sarà riservata una sorte più tollerabile che non a quella città
Poi ordinò alla comunità di prepararsi per il viaggio: presto sarebbe iniziata la marcia verso Gerusalemme ed essi sarebbero entrati per ogni città, che li avesse voluto accogliere.
Anche da Samaria ora venivano segnali di amicizia: anche là volevano il Maestro!
Note della III parte
1. E' il Simone Pietro dei Vangeli.
2. E' il caposinagoga.
3 Alessandro Iamneo figlio di Giovanni Arcano (103-76 a.C.) fu un re grande, ma crudele, specie con i farisei. Fece un massacro di 6000 giudei, fece crocifiggere 800 farisei, mentre altri 8000 fuggirono nel deserto di Giuda e si stanziarono a Qumran, dove crearono la comunità degli esseni.
4 Si dicono Maccabei i figli del sacerdote Mattatia, che iniziò la rivolta vittoriosa contro la Siria (167 a. C.) Giovanni, Simone, Giuda, detto Maccabeo ( il martello), Eleazar , Gionata. Essi e i loro discendenti ebbero il soprannome del terzogenito .
5 Tzebedeh è il Zebedeo dei vangeli, padre di Giovanni e di Giacomo, ricco armatore della zona.
6 Sono chiamati Asmonei i discendenti di Simone, il secondo figlio di Mattatia, dal nonno Asmoneo. Spesso sono confusi Maccabei ed Asmonei: i primi indicano, in effetti, la prima fase di una rivoluzione antisiriaca, i secondi segnano, invece, una fase stabile di regno indipendente, dal 134 al 63 a. C. Sono re Asmonei :Giovanni Hircano 134-104; Aristobulo I, 104-3; Alessandro Iamneo 103-76; Alessandra 76-67; Hircano II (che regna per tre mesi); Aristobulo II 67-63.
7 Matthaios è l'evangelista Matteo.
8 Callisto è un ricco liberto, destinato ad una grande carriera amministrativa nel periodo di Claudio (41-54 d.C.)
9 Pallante è un ex schiavo di Antonia minor, che, divenuto liberto, è un abile mercante e poi in epoca di Claudio è un potente ministro.
10 Una aroura corrisponde ad un iugerum latino (1 Iugerum vale 288 scripula; il valore di uno scripulum è di 8,75 mq. Perciò lo iugerum vale mq 2520,6. I terreni di Erode Antipa avevano, dunque, una estensione di ettari 741, mentre quelli del tempio erano di ettari 565.
11 Jehudah il Gaulanita, figlio di Ezechia, è un capo zelota e dottore della legge, di cui Flavio tesse le lodi in Guerra Giudaica e in Antichità Giudaiche.
12 Chiamo con questo nome proprio di un servo di Abramo, la località oggi definita Qumran, notissima perché vi sono stati trovati nel 1947 molti rotoli , che trattano della regola e del sistema di vita degli Esseni.
13 Jahir è Giairo il capo sinagoga di Cafarnao (Mt. 9,18-26 Mc. 5,21-42; Lc. 8,40-56)
14. Esse erano i comandamenti della torah, desunti dai farisei con la loro interpretazione orale: 613 (di cui 248 azioni da compiere e 365 divieti indicanti rispettivamente, le prime le membra dell'uomo e i secondi i giorni dell'anno). Nel complesso il giudeo era tenuto ad obbedire ad ogni singola mitzvà regolante o i rapporti tra l'uomo e il prossimo o l'uomo e Dio. Proprio perché praticante, Shimon odia la stirpe di Erode e bolla i figli come idumei, cioè uomini di Idumea, regione di origine degli erodiani, una terra desertica, che di recente era stata colonizzata da sacerdoti giudaici.
15. Salome è sorella di Erode il Grande, madre di Berenice e quindi nonna di Erode Agrippa. E' donna perfida e spietata, bizzosa ed immorale, responsabile di quasi tutte le congiure di corte e di molte morti, specie quelle di Mariamne, di Alessandro e di Aristobulo, suo genero.
16 Sulpicio Quirinio è un amico di Tiberio e come dux, fedele esecutore di ordini di Augusto: fu console e poi divenne governatore di Siria, dopo che era stato praefectus ad census accipiendos intorno al 6 a.C. Morì nel 20 d.C. Il suo compito di censire era stato ripreso nel 6 d.C. da Sabino, durante il periodo del suo governatorato siriano e da Quintilio Varo sconfitto da Arminio nella selva Ercinia nel 9 d. C.
17 Lebbeo è il nome di Jehudah un fratello di Jehoshua, corrispondente al Giuda Taddeo dei Vangeli.
18 Menahem è figlio di Jehudah il Gaulanita, fratello di Shimon e di Jakob, un capo zelota. Dopo la morte dei fratelli, fatti uccidere da Tiberio Alessandro, egli divenne in Gerusalemme un capo riverito con potere quasi regale, ma poi fu ucciso, insieme al un suo fedelissimo, nel quartiere Ofel, da Eleazar ben Mattatia, agli inizi della Guerra antiromana, in un convulso clima di lotte interne giudaiche (Flavio, St. Giud,II, 17.8 sgg).
19.Toledoth è la storia raccontata e quindi se scritta diventa la tradizione. Il termine è plurale in quanto somma di storie.(generazioni)
20. Venga il regno dei Cieli doveva essere un saluto ricorrente nei primi decenni del I secolo, come augurio tra giudei palestinesi e mesopotamici.
21.Signore Sia riverito come santo il tuo nome. La traduzione cristiana Sia santificato il tuo nome non è esatta.
22. Si tratta di Jehudah Il Gaulanita (il fondatore degli Zeloti, primogenito di Ezechia) che con Sadok iniziò nel 6 a. C. una guerriglia contro i romani
23. In Palestina esisteva la monetazione romana e quella ellenistica. L'una basata sull'aureo e sull'argenteo, l'altra sul talento e sulla dramma d'argento. I romani davano il valore di 25 denarii, cioè di 100 sesterzi all'aureo. Perciò il denario valeva 4 sesterzi e il sesterzio era 1/4 di denario. Esistevano in sottordine al sesterzio ,il dipondio I/2 sesterzio, l'asse 1/4 di sesterzio, il quadrante un 1/16: Nel confronto con l'altro sistema bisogna tenere presente che la dracma argentea, equivalente al denario, vale sei oboli.;1 mina vale I00 dracme; 1 talento 60 mine.
24 I romani chiamavano aedicula un piccolo tempio o nicchia, che poteva essere in casa o nei crocicchi, in cui erano poste le immagini dei Lari o penati o, se fuori della domus, di eroi e di dei locali.
25 Si tratta di Giovanni detto il Battista, un profeta che agiva lungo il Giordano in una zona intermedia tra il territorio di Erode Antipa e quello di Areta IV, re di Petra (Cfr Flavio ,Antichità Giudaiche, XVIII, 116-119).
26 Ponzio Pilato giunge in Giudea coem governatore nel 26 d.C. per ordine di Elio Seiano. La sua azione di repressione è ben conosciuta (cfr.Flavio, Antichità giudaiche, XVIII,55-62)
27 Si chiamano leviti i discendenti di Levi, figlio di Giacobbe, che costituiscono la classe dei sacerdoti, esonerata dalle attività lavorative, in quanto dedicata al servizio del tempio. Essi si dividevano in tanti ordini e sottoclassi: solo i sommi sacerdoti e l'alto clero erano ricchi, il medio sacerdozio e gli addetti ai lavori umili (cantori, sacrestani ecc) erano poveri , nonostante le decine riservate a loro.
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09/01/2010
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