Il vuoto di Neneh Cherry
San Benedetto del Tronto | Neneh Cherry "Blank project"
di
Neneh Cherry
"Blank project"
Dopo 16 anni di silenzio torna sulle scene Neneh Cherry che festeggia i suoi 50 anni con un ritorno discografico, "Blank project" in uscita la prossima settimana. Col nome del padre adottivo, il trombettista jazz Don Cherry compagno di strada di un altro leader del free jazz come Ornette Coleman, la svedese Neneh ha fatto carriera, dapprima tra le file dell'afro punk dei Rip Rig & Panic e con la collaborazione dei The The di Matt Johnson quindi con una carriera solistica che è esplosa con grandi successi internazionali come "Buffalo stance" prima del successivo e clamoroso "7 seconds" a fianco di Youssou N'Dour.
L'avvicinamento all'elettronica con i progetti dei Gorillaz l'hanno definitivamente convinta ad utilizzare una strada inconsueta che accostasse il free jazz all'hip hop, il freestyling all'elettronica rumoristica più sperimentale e selvaggia frequentando americani come Steve Reid (leggendario batterista di Miles Davis e Ornette Coleman) e londinesi Ben e Tom Page i quali, in omaggio ad un brano di Sun Ra ("Rocket number nine take off from Planet Venus") hanno scelto il nome d'arte di RocketNumberNine. Tramite i fratelli Page Neneh Cherry si è affidata alle mani di Kieran Hebden in arte Four Tet, esperto di colte ibridazioni elettroniche e di suoni definiti post rock che hanno affascinato anche la bella testa di Thom Yorke dei Radiohead. E Kieran Hebden/Four Tet prende letteralmente il sopravvento sull'intera produzione devastando l'intero passato dell'artista di "Raw like sushi" e portandola alle estreme conseguenze stimolando le sue forti passioni per il free jazz mescolato con il rap più brutale che difficilmente lascerà soddisfatti gli appassionati dell'uno e dell'altro genere.
Con i riff possenti e ossessivi fino allo spasimo del basso di Alexis Georgopulos e il drumming ipnotico di TJ Maiani, Neneh Cherry affronta i Suicide e gli Stooges mescolandolo al beatbox di Daniel Dumile in arte MF Doom, artista del rap underground di Londra. Il risultato, a mio avviso, non ha nulla di esaltante. La voce di Neneh è schiacciata troppo spesso dal beat elettronico e tende più a declamare una poesia sonora che a cantare linee melodiche apprezzabili. Solo nel brano "Out of the black" le è funzionale il duetto con la platinata "Madonna" svedese Robyn (al secolo Robin Miriam Carlsson) che aveva già collaborato con i Royksopp e con Snoop Dogg e che in concerto è solita fare molte cover di Neneh Cherry. Registrato in soli 5 giorni il lavoro ha un titolo emblematico che riesce a girare intorno al vuoto con una sapienza geniale. Quasi inutile.
Voto 4/10
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19/02/2014
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