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L'anima nuda di Nada

San Benedetto del Tronto | Nada "Occupo poco spazio"

di

Nada

"Occupo poco spazio"

"Sulle vie illuminate, tra la gente distratta, tra le ombre fuggenti, tra le scale che scendono, tra le file della gente, tra i pensieri disturbati, tra le macchine e incidenti ti ho perduto di vista e adesso che faccio? bevo un caffè nella strada 23"... più che l'angolo caotico della metropoli sembra di essere tra le nebbie del porto di Livorno, seduti ad un tavolo davanti a un bicchiere di vino e a Piero Ciampi. E' così che canta Nada in "Occupo poco spazio", disco importante che giunge a tre anni da "Vamp".

Da ingenua, piccola cantante infreddolita a Sanremo, Nadia Malanima è cresciuta fino a diventare autrice di testi, scrittrice di libri e di teatro ("Le mie madri", "Il mio cuore umano", "La grande casa"), interprete teatrale e di immagini (nel recente documentario di Costanza Quatriglio) e punto di riferimento musicale di un'onda underground (o alternativa, secondo le diciture correnti) che sa esprimere in quattro minuti di canzone un disagio dai forti sapori punk. La canzone secondo Nada nasce dallo studio e dall'applicazione della mente, dalla disciplina dello scrivere più che da violente illuminazioni ispiratrici. E tutto questo trova la conferma in "Occupo poco spazio", lavoro creato tra le pause di scrittura di libri e di pièces teatrali che va oltre la parola con l'arricchimento di invenzioni e rivestimenti musicali creati da Enrico Gabrielli, genietto toscano che ha prestato opera con Morgan, Mariposa, Paolo Benvegnù, Andrea Chimenti, Afterhours, Calibro 35. Con le uniche eccezioni di "Sonia" e "Gente così" in cui la forma canzone richiama il classico stile a 45 giri degli anni Sessanta (con tutte le accezioni positive del caso e con sprizzate di cabaret elettrico) tutto il disco macina parole dure e di pietra, in forma colta e ricca, inframezzate da arrangiamenti strumentali, ricchi e variati, fatti di fiati e archi (Rodrigo D'Erasmo, Francesco Bucci, Paolo Rainieri, Daniela Savoldi, Mario Frezzato) mescolati ad arte con cadenze di canzone popolare ("Il tuo Dio") e di sofisticati recitativi che lanciano parole con la forza dei pugni allo stomaco. A volte il canto è declamazione di storie, di piccoli film che lasciano poco spazio alla melodia ma risultano fortemente incisive nel quadro più generale di un'artista che spazia a tutto tondo nelle varie espressioni artistiche.

Qui più che il pop ci sono le visioni di John Cale o di Yoko Ono, di Philip Glass o Alexander Balanescu. C'è un moderno e immaginario Paolo Conte che suggerisce "Questa vità cambierà" (una sorta di "Azzurro" iperspaziale). E' un disco complesso "Occupo poco spazio" che non ha nulla di passato e di tradizionale, che non strizza mai l'occhio alla facilità della canzonetta che non ha il dono dell'immediatezza ma ha bisogno di riflessione sulle parole che proiettano continue storie e racconti sul pentagramma. Si snocciola in dieci canzoni dure e viscerali, incisive e accalorate che cercano l'anima. E scorrono, scorrono, scorrono come l'aqua di un fiume pigro e pesante, scuro e limaccioso.
"Sulle rive di un fiume di sangue non c'è limite all'incertezza e il cerchio si chiude in un dubbio di un passato poco onesto. La vittoria di un pensiero è scritta sopra una bandiera, con una parola sola: FINE" ("Sulle rive del fiume")

Voto 8/10

15/03/2014





        
  



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