LA GROTTA DELLA SIBILLA: DA LUOGO DI CULTO A MATERIA LETTERARIA
Montemonaco | La figura della Sibilla Appenninica, ritratta anche in un dipinto eseguito dal pittore ha da sempre attratto e affascinato scrittori e viaggiatori.
di Elvira Apone
La figura della Sibilla Appenninica, ritratta anche in un dipinto eseguito dal pittore Adolfo De Carolis tra il 1907 e il 1908 ha da sempre attratto e affascinato scrittori e viaggiatori.
La prima testimonianza scritta della sua esistenza risale allo scrittore latino Svetonio che, intorno al 100 d. C., nel suo testo "Vita di Vitellio", parlò di un centro oracolare in cui una sacerdotessa, condannata da Dio a vivere all'interno di una montagna fino al giorno del giudizio universale, forniva responsi a chi andava a interrogarla, come accadde, appunto, all'imperatore romano Aulo Vitellio.
Bisognerà poi aspettare il 1410, quando apparve il romanzo cavalleresco "il Guerrin Meschino", scritto dal trovatore toscano Andrea da Barberino. In questa narrazione, a metà tra la favola e il romanzo, un cavaliere si reca sui monti Sibillini presso la grotta della Sibilla, per conoscere l'identità dei suoi genitori, ma, costretto a rinnegare Dio, viene trattenuto nell'antro della sacerdotessa per un anno intero. In questo testo, a differenza della tradizione locale che la vuole una fata buona e ammaliatrice, la Sibilla è un personaggio quasi demoniaco, ma, proprio grazie ad esso, e alle sue numerose traduzioni, si risvegliò l'interesse per la Sibilla e per il suo fantastico regno sotterraneo.
Circa dieci anni dopo, infatti, un cavaliere provenzale di nome Antoine de la Sale, incaricato dalla duchessa Agnese di Borbone, giunse a Montemonaco e da lì salì fino alla mitica caverna della Sibilla, attraversando il versante marchigiano dell'Appennino. Da questa esplorazione, nacque un resoconto dettagliato e puntuale dei luoghi leggendariamente popolati dalla maga e dalle sue ancelle, compreso il lago di Pilato che, secondo la tradizione, fu scelto proprio dal governatore Ponzio Pilato, condannato a morte dall'imperatore Tito Vespasiano, come tomba per il proprio corpo.
Questo diario di viaggio scritto dal de la Sale, che si intitola "Il Paradiso della regina Sibilla", si rivelò un importante documento sia sul piano geografico, sia su quello storico, sia su quello sociale, perché fino ad allora le informazioni relative al monte Sibilla, alla zona circostante e ai suoi abitanti erano state tramandate soltanto oralmente. In effetti, sebbene il de la Sale non visitò completamente la grotta, ma ne descrisse solo l'ingresso come una stanza quadrata dalla quale partiva un cunicolo che poi si addentrava nella montagna, riuscì tuttavia a raccogliere testimonianze di persone che sostenevano di averla visitata e descrisse anche abitudini, usi e costumi della popolazione locale nel XV secolo.
Nel 1938, Fernand Desonay, un docente universitario belga, scrisse un racconto dal titolo "Da Montemonaco nel regno della Sibilla Appenninica", in cui narrava i suoi due viaggi verso la grotta della sacerdotessa, sulle orme di quello realizzato da Antoine de la Salle diversi secoli prima.
Durante la sua prima escursione, Desonay racconta di aver raggiunto la grotta che, da quanto scoprì durante la sua seconda salita sul monte, era stata misteriosamente distrutta, avendo trovato al suo posto una semplice voragine a forma di imbuto, sul cui fondo giacevano enormi pietre. Ripromettendosi un terzo viaggio, Desonay giunse comunque alla conclusione che anche questa grotta doveva avere una funzione sacra, proprio come quelle rinvenute in altre parti d'Italia con caratteristiche simili.
In ogni caso, che sia stata o no oggetto di culto e di venerazione, che sia avvolta dal mistero o sia materia nota di cronache di valorosi esploratori, la grotta della Sibilla Appenninica resta un luogo magico e incantato, nascosto tra le pendici dei monti e circondato da un paesaggio di straordinaria bellezza, in cui la natura ha saputo manifestarsi in tutta la sua ricchezza.
Un posto, dunque, da visitare e, sicuramente, da portare nel cuore.
La prima testimonianza scritta della sua esistenza risale allo scrittore latino Svetonio che, intorno al 100 d. C., nel suo testo "Vita di Vitellio", parlò di un centro oracolare in cui una sacerdotessa, condannata da Dio a vivere all'interno di una montagna fino al giorno del giudizio universale, forniva responsi a chi andava a interrogarla, come accadde, appunto, all'imperatore romano Aulo Vitellio.
Bisognerà poi aspettare il 1410, quando apparve il romanzo cavalleresco "il Guerrin Meschino", scritto dal trovatore toscano Andrea da Barberino. In questa narrazione, a metà tra la favola e il romanzo, un cavaliere si reca sui monti Sibillini presso la grotta della Sibilla, per conoscere l'identità dei suoi genitori, ma, costretto a rinnegare Dio, viene trattenuto nell'antro della sacerdotessa per un anno intero. In questo testo, a differenza della tradizione locale che la vuole una fata buona e ammaliatrice, la Sibilla è un personaggio quasi demoniaco, ma, proprio grazie ad esso, e alle sue numerose traduzioni, si risvegliò l'interesse per la Sibilla e per il suo fantastico regno sotterraneo.
Circa dieci anni dopo, infatti, un cavaliere provenzale di nome Antoine de la Sale, incaricato dalla duchessa Agnese di Borbone, giunse a Montemonaco e da lì salì fino alla mitica caverna della Sibilla, attraversando il versante marchigiano dell'Appennino. Da questa esplorazione, nacque un resoconto dettagliato e puntuale dei luoghi leggendariamente popolati dalla maga e dalle sue ancelle, compreso il lago di Pilato che, secondo la tradizione, fu scelto proprio dal governatore Ponzio Pilato, condannato a morte dall'imperatore Tito Vespasiano, come tomba per il proprio corpo.
Questo diario di viaggio scritto dal de la Sale, che si intitola "Il Paradiso della regina Sibilla", si rivelò un importante documento sia sul piano geografico, sia su quello storico, sia su quello sociale, perché fino ad allora le informazioni relative al monte Sibilla, alla zona circostante e ai suoi abitanti erano state tramandate soltanto oralmente. In effetti, sebbene il de la Sale non visitò completamente la grotta, ma ne descrisse solo l'ingresso come una stanza quadrata dalla quale partiva un cunicolo che poi si addentrava nella montagna, riuscì tuttavia a raccogliere testimonianze di persone che sostenevano di averla visitata e descrisse anche abitudini, usi e costumi della popolazione locale nel XV secolo.
Nel 1938, Fernand Desonay, un docente universitario belga, scrisse un racconto dal titolo "Da Montemonaco nel regno della Sibilla Appenninica", in cui narrava i suoi due viaggi verso la grotta della sacerdotessa, sulle orme di quello realizzato da Antoine de la Salle diversi secoli prima.
Durante la sua prima escursione, Desonay racconta di aver raggiunto la grotta che, da quanto scoprì durante la sua seconda salita sul monte, era stata misteriosamente distrutta, avendo trovato al suo posto una semplice voragine a forma di imbuto, sul cui fondo giacevano enormi pietre. Ripromettendosi un terzo viaggio, Desonay giunse comunque alla conclusione che anche questa grotta doveva avere una funzione sacra, proprio come quelle rinvenute in altre parti d'Italia con caratteristiche simili.
In ogni caso, che sia stata o no oggetto di culto e di venerazione, che sia avvolta dal mistero o sia materia nota di cronache di valorosi esploratori, la grotta della Sibilla Appenninica resta un luogo magico e incantato, nascosto tra le pendici dei monti e circondato da un paesaggio di straordinaria bellezza, in cui la natura ha saputo manifestarsi in tutta la sua ricchezza.
Un posto, dunque, da visitare e, sicuramente, da portare nel cuore.
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12/09/2015
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