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Lettera aperta al Sindaco, una nota sulle aperture dei negozi durante i giorni festivi

San Benedetto del Tronto | Giuseppe Zappasodi: "I lavoratori del settore commercio, dipendenti e datori di lavoro, sono e saranno sempre più esclusi dalla possibilità di vivere la domenica e le festività".

di Redazione

(foto archivio)

Riceviamo e pubblichiamo da Giuseppe Zappasodi, titolere di un esercizio commerciale del centro città sambenedettese, una lettera aperta rivolta al Sindaco Gaspari in merito alle nuove ordinanze che regolano le aperture dei negozi nei giorni festivi.

Il riposo dal lavoro nei giorni di festa ha trovato nei secoli la sua ragione d'essere nell'affermazione di un "tempo liberato", necessario all'uomo per prendere coscienza che egli ha un orizzonte ben più ampio di quello dato dal solo lavoro e anche per vivere meglio il tempo stesso del lavoro. Siamo dipendenti, datori di lavoro e semplici cittadini uniti in un comune giudizio sul senso e sul valore del riposo festivo e chiediamo il sostegno e la personale adesione a quanti vi si riconoscono. Questo anche in vista di un'eventuale futura forma organizzativa per affermare concretamente tale posizione nelle sedi opportune.

La recente ordinanza del sindaco per l'anno 2009 che indica i giorni festivi in cui i negozi possono restare aperti contribuisce in maniera decisa all'abolizione della domenica quale giorno di riposo comune. In particolare i lavoratori del settore commercio, dipendenti e datori di lavoro, sono e saranno sempre più esclusi dalla possibilità di vivere la domenica e le festività.

Non vogliamo subire supinamente questa concezione disumana del lavoro e affermiamo l'urgenza e la necessità di salvaguardare, per quanto sia ragionevolmente possibile, la naturale esigenza di preservare i lavoratori dal lavoro nei giorni che la comunità nella sua tradizione ha stabilito come festivi.
A scanso di equivoci: la nostra non è la solita richiesta di lavorare meno, ma di lavorare meglio.

Ci muoviamo per difendere il diritto, nostro e dei nostri famigliari, di tutti, di godere del tempo festivo come di un'opportunità per vivere anche noi quelle relazioni famigliari e di amicizia che sono imprescindibili e danno spessore e senso alla vita di tutti e che in maniera privilegiata possono essere tessute nei periodi in cui tutta la comunità vive i giorni di riposo festivi.

Invece, in mancanza di una tutela in tal senso nel diritto del lavoro, un dipendente, e in genere anche il suo titolare, può essere chiamato a lavorare tutte le 42 domeniche stabilite dall'ordinanza. A ciò si aggiungano le seguenti festività: il giorno dopo Pasqua, il 25 aprile festa della Liberazione, il 2 giugno festa della Repubblica, Ferragosto, l'8 dicembre festa dell'Immacolata.
Ma non finisce qui: è ormai prassi che nel corso dell'anno i pochi giorni festivi residui possano subire ulteriori deroghe alla chiusura; e questo avviene a ridosso di quei giorni e senza adeguato preavviso.

Nel 2008, 12 giorni prima del 25 aprile, venne emanata l'ordinanza per quella festività e per il 1 maggio. Il 30 dicembre 2008 è stata replicata le medesima iniziativa per derogare alla chiusura per domenica 11 gennaio 2009.
Ciò avviene con una superficialità disarmante, senza alcuna comunicazione adeguata, (il passaparola!) cosicché all'ultimo minuto aziende e dipendenti devono riorganizzarsi per fare fronte alla nuova situazione con gravissimi disagi per titolari e dipendenti. Ciò avviene considerando gli addetti del settore commercio come "carne da macello", senza vita privata, messi nella condizione di non potersi seriamente programmare.

Non si vuole comprendere che stare in negozio tutti i giorni di festa comporta un grande impoverimento della qualità della vita. Riposare ad esempio il mercoledì, quando moglie , mariti, figli, amici, sono a scuola o al lavoro, non è come farlo la domenica. Perché nei giorni di riposo feriali si è i soli a non lavorare. E il ritrovarsi in famiglia o con gli amici, quando potrà essere favorito? E per quanto un'azienda si voglia e possa organizzare, in negozio stanno necessariamente sempre gli stessi.
Si vorrebbe poi far passare l'idea che nessun esercizio commerciale è obbligato ad aprire nei festivi, come se per un'azienda fosse facile e indolore derogare alle elementari regole della concorrenza.

Non si creda che il problema riguardi solo pochi addetti ai lavori. Esso investe costoro e tutte quelle persone che vivono con essi relazioni profonde e significative: figli, coniugi, fidanzati, parenti e amici. Riguarda dunque un gran numero di persone e genera esigenze a catena che minano alla radice l'intero tessuto sociale e non possono essere ignorate. Una mamma single, ad esempio, dove "collocherà" suo figlio se deve lavorare quando scuola o asilo sono chiusi?

Con l'illusione di combattere e superare la crisi economica in atto si vedono le aperture festive come la manna dal cielo. Ma è veramente così? E quali sono le conseguenze di una simile politica?
Il miraggio di alcuni giorni in più di incasso inducono a credere che ciò equivalga automaticamente ad un aumento dei guadagni. Ma questo non è sempre vero. Certamente non lo è oltre l'immediato, poiché la continua stimolazione del consumatore non genera automaticamente una crescita della domanda. In ogni caso il commercio e l'economia in generale per crescere realmente necessitano di un clima di serenità e ottimismo diffuso. Stimolare continuamente il consumatore e minare contemporaneamente il tessuto sociale è un'operazione assai pericolosa; forse non subito ma certamente lo è nel medio e lungo periodo.

Riteniamo, soprattutto in questo tempo di crisi economica incipiente, che sia intelligente, vantaggioso e necessario per tutti rimettere al centro l'uomo. L'uomo come persona e non solo l'uomo-consumatore. L'uomo che lavora e non l'uomo-macchina. Non si può ridurre il lavoro ad una sorta di schiavitù retribuita per cui pagando si può chiedere anche ciò che va oltre il necessario, giusto, ragionevole sacrificio.

In conclusione, alla luce di questa "nuova cultura" dominante occorre domandarsi: che modello di società stiamo favorendo ora? Quale società vogliamo contribuire a costruire per noi e per i nostri figli? È possibile che nei giorni di festa le famiglie non abbiano niente di meglio da fare che affogare nello "shopping ergo sum"? È possibile che chi ha responsabilità politiche non abbia niente di più interessante da favorire?

Non vogliamo certamente indicare il Sindaco come responsabile ultimo di questa situazione. Tuttavia vorremmo porci quali suoi interlocutori affinché prenda coscienza del grande potere che egli ha di rendere più umana o più disumana la vita di molti. È per lui un'opportunità di esercitare in questo ambito la sua facoltà di difendere i suoi cittadini e di contribuire alla promozione di una vera cultura per l'uomo. Volentieri apriremmo un dialogo anche con le altre associazioni di categoria coinvolte.Se condividi il nostro giudizio, sostieni la nostra iniziativa.

Per informazioni e contatti: iltempoliberato@alice.it

19/01/2009





        
  



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