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Il processo per i fatti di Ustica: basta con le illusioni!

San Benedetto del Tronto | Mi sono occupato per 26 anni del processo « Ustica » come difensore di parte civile della madre, della nonna e dello zio materni della piccola Giuliana Superchi, dispersa in mare il 27 giugno 1980, che all’epoca aveva 9 anni...

di Avv. Gianfranco Paris*


...Non è mio costume criticare l’operato del nostro sistema « giustizia » che ho sempre accettato come il risultato di un lavoro in buona fede anche quando poteva esserci qualche dubbio in proposito. Né desidero farlo in questo caso.

Sono stato testimone di un lavoro svolto con impegno e zelo dalla magistratura che nel caso specifico si è scontrata con il boicottaggio di un altro spezzone delle istituzioni : la gerarchia militare.
Il giudice Priore, di fronte alla mancanza di qualsiasi collaborazione degli addetti al servizio di controllo delle rotte aeree, ha voluto rimediare cercando di addossare a presunti ( dal punto di vista giuduziario) boicottatori la responsabilità del fallimento delle indagini sulle cause della strage.
Evidentemente il suo ragionamento non ha retto al vaglio delle prove e dei riscontri processuali, e non v’è motivo di dubitare che i magistrati ed i giurati della Corte d’Assise abbiano deciso con cognizione di causa.

Ora che è stata posta la parola fine alla vicenda giudiziaria è bene che i nostri governanti facciano alcune riflessioni sulla vicenda.
E’ apparso chiaro in questi 26 anni che l’omertà di coloro che non potevano non sapere è stata dettata da ragioni di politica internazionale. L’Italia fa parte di un sistema difensivo che coinvolge tutti i paesi del mondo occidentale.

Quel giorno nei cieli di Ustica è accaduto qualcosa che somiglia ad un’azione di guerra in piena regola il cui obiettivo fu per fatalità il DC 9 dell’Itavia, anziché un obiettivo militare. Solo chi è in aperta mala fede puo’ negare una tale evidenza che emerge dalla istruttoria.
Ma tutto questo non poteva essere confessato per ragioni politiche, non è certo la prima volta che una cosa del genere si verifica.

Se pero’ una cosa del genere fosse accaduta agli USA, ad esempio, come alcuni recenti avvenimenti hanno dimostrato ( vedi i fatti del Cermis) i comandanti avrebbero subito dichiarato che si trattava di cose che riguardavano la sicurezza nazionale, avrebbero chiamato i familiari delle vittime, il presidente avrebbe chiesto loro scusa a nome del popolo americano e li avvrebbero indennizzati adeguatamente consentendo alla famiglie di continuare a vivere almeno senza angosce di natura economica.

Da noi invece si è preferita la via dello accertamento giudiziario della verità che, come sanno tutti coloro che frequentano le aule giudiziarie, quasi mai raggiunge l’obiettivo. E cosi’ è avvenuto anche in questo caso.

Subito dopo il verdetto della Cassazione, che ha messo la parola fine alla vicenda giudiziaria, ho ascoltato dichiarazioni invocare il Governo italiano che ora dovrebbe pretendere dagli alleati, perché di questi si tratta, di farci sapere cio’ che i giudici non hanno potuto accertare.
Una bella pretesa che non servirà a niente perché, se gli alleati non lo hanno fatto nel corso di 26 anni, figuratevi se lo faranno quando gli e lo chiederanno Prodi o D’Alema !

E’ giunta l’ora di mettere una pietra tombale sulle velleità e magari di pretendere, se occorre anche a mezzo di azioni eclatanti, che lo stato italiano chieda scusa ai familiari delle vittime per non essere stato capace di rendere loro giustizia nelle forme istituzionali e, poiché fino ad oggi si è limitato ad elargire elemosine ai familiari danneggiati, provveda ad indennizzare adeguatamente queste persone senza ulteriore indugio secondo una valutazione fatta in via amministrativa che tenga conto delle singole situazioni al momento del verificarsi dell’evento.

Continuare ad illudere le famiglie che il Governo italiano possa ancora accertare la verità sulle modalità e sulle responsabilità significa solo alimentare la sfiducia nelle istiutuzioni, e questo per decenza andrebbe almeno evitato.

Forse, anzi quasi certamente senza alcun dubbio alcuno, tra 50 anni, quando sarà possibile consultarte tutti i documenti di quel 27 giugno, e non solo quelli italiani, si saprà quello che è realmente accaduto e quei fatti verranno consegnati alla storia con tutti i giudizi che ne conseguiranno.

Intanto oggi, nella impossibilità di sapere, si faccia per serietà almeno il proprio dovere nei confronti di coloro che non solo hanno perduto i loro congiunti, ma soffrono da 26 anni a causa delle conseguenze per indigenza materiale ( ci sono dei casi come quello di una giovane moglie che ha perduto il marito con due figli piccoli a carico e che per sopravvivere ha dovuto inventarsi un lavoro), e per indignazione morale.

*Del Foro di Rieti
Con studio in via delle ortensie n. 8

22/01/2007





        
  



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