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Il Procuratore Bruno Tinti ha presentato il suo libro "Toghe rotte" all'Auditorium

San Benedetto del Tronto | Un pubblico attento, tanti i giovani, ha seguito con molta attenzione la" relazione" del Procuratore, introdotto dal collega Ettore Picardi.

di Maria Teresa Rosini

Bruno Tinti

Un pubblico attento e qualificato era presente ieri sera alla presentazione del libro "Toghe rotte", una serie di testimonianze "dall'interno" sul mondo dell'amministrazione della giustizia che ha lo scopo di consentire al cittadino di conoscere le motivazioni, individuate da chi quotidianamente vi opera, del suo disastroso funzionamento.

L'evento è stato organizzato dall'Amministrazione Comunale in collaborazione con la Libreria "La Bibliofila".

Bruno Tinti, Procuratore aggiunto presso la Procura di Torino, ha curato una esauriente casistica che ci permette di conseguire una maggiore consapevolezza dei nodi principali in cui la giustizia italiana resta avviluppata.
Il libro si proponeva anche di offrire un contributo alla realtà di una difficile comunicazione tra magistrati e opinione pubblica e il successo editoriale conseguito testimonia della voglia di capire presente nella società civile.

Il dialogo con l'autore viene introdotto dal Sostituto Procuratore al Tribunale di Ascoli Piceno Ettore Picardi, che sottolinea proprio come la figura del magistrato sia spesso rappresentata in modo poco corrispondente alla realtà nelle numerose fiction televisive, tanto da indurre gli spettatori a poter ritenerlo un "idiota".

Tinti concorda affermando che si tratta di un'immagine in qualche modo volutamente distorta: si vuole portare a credere che la responsabilità di una giustizia al collasso sia dovuta all'insipienza e alla incapacità dei suoi amministratori.

Successivamente il Procuratore Tinti, con una straordinaria chiarezza di pensiero e di linguaggio, ci tratteggia un panorama a 360 gradi delle questioni oggetto della sua indagine, passando da Mani Pulite e da citazione letterarie inaspettate ci porta alle conclusioni per cui una grande parte della responsabilità dell'andamento della Giustizia in Italia è dovuta alla presenza di un Codice di Procedura Penale spesso "impraticabile" e di una normativa risultato di una "legiferazione selvaggia" e spesso tortuosamente garantista (che richiamerebbe il detto popolare "fatta la legge, trovato l'inganno"): entrambe responsabilità di una classe dirigente che, per prima, sembra voglia sfuggire al principio della certezza della pena ed elabora leggi che rendono a volte subdolamente impossibile la loro applicazione.

Gli esempi sono tanti: Tinti ci parla delle leggi sulla prescrizione, sul falso in bilancio, sulle frodi fiscale, sull'aggiotaggio, tutte accomunate dalla caratteristica di essere concepite per non funzionare.

Non manca però di sottolineare anche alcune inefficienze dall'interno: come una propensione della classe togata italiana ad essere, sebbene notevolmente preparata, poco duttile e pragmatica nell'organizzazione e nella gestione del proprio lavoro corrente e una sostanziale carenza organizzativa che a volte si riscontra in coloro che sono responsabili gerarchicamente del lavoro dei magistrati loro sottoposti.

Il discorso poi si sposta, su sollecitazione del pubblico, sulla questione del rapporto tra stampa e Magistratura nei confronti del quale la posizione di Tinti è univoca: non si può impedire alla stampa di fare il suo lavoro cioè quello di pubblicare le notizie di cui viene a conoscenza. Qualunque vincolo in questo campo costituirebbe un grave pregiudizio per l'intera nazione.

Sorge un dibattito con un avvocato presente in sala riguardo al "segreto istruttorio", che, ricorda Tinti, non esiste più sostituito dal "segreto di indagine" che implica che chi diventa oggetto di un'indagine deve averne comunicazione ufficiale prima che la notizia arrivi sulla stampa.

Il dibattito si conclude con l'affermazione del Procuratore che in Italia esiste, prima che un problema della giustizia, un problema di mentalità diffusa per cui, a vari livelli, non si pensa, agisce ed opera secondo il principio di legalità: il rispetto della legge non permea tutti gli aspetti della vita personale e sociale e la classe dirigente non è certo un esempio di responsabilità e chiarezza in questa direzione.

27/01/2008





        
  



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Bruno Tinti
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