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Aumenta la disoccupazione. Colpa della delocalizzazione e dell’incapacità di rinnovarsi

Ascoli Piceno | Promettono bene però i servizi, il “modello marchigiano” d’impresa e l’attenzione ad uno sviluppo sostenibile

di Anna Laura Biagini


Situazione critica per l’industria del Piceno, che segue la tendenza nazionale del settore. Questo emerge dal Rapporto 2005, sulla Qualità dello Sviluppo nella Provincia di Ascoli Piceno. Il comparto trainante dell’economia locale per oltre 10 anni, registra forti cali, soprattutto occupazionali (meno 14%), dovuti soprattutto alle politiche di delocalizzazione degli stabilimenti, verso la Cina e l’Est Europa. Concorrenza e incapacità di innovarsi i principali ostacoli, che riguardano anche l’arigianato e le produzioni di alta qualità, già dal 2001 sotto la media nazionale.

Fortunatamente, l’occupazione segna un minimo aumento nei servizi, soprattutto in fatto di turismo, risorsa che può competere a livello internazionale, ma che necessita ancora di essere sviluppata. Qualcosa però già si muove. La crescita del numero degli agriturismi e l’istituzione del Parco Marino, fanno del 2005 un anno con bilancio progettuale positivo, priettato verso uno sviluppo sostenibile con particolare riguardo per l’ambiente. A conferma di ciò anche l’istituzione della Filiera corta, progetto provinciale a favore delle colture biologiche, che mette in collegamento i consumatori direttamente con i produttori.

La Provincia è arrivata a contare 378.961 residenti, forse anche perché la speranza di vita è più alta della media nazionale (maschi 76 anni, donne 82,6 anni), ma solo il 4,4% sono stranieri, un numero esiguo, per un gruppo che rappresenta una presenza fondamentale nella nostra economia. Economia che malgrado la crisi, conta un discreto sviluppo imprenditoriale, portando Ascoli al quindicesimo posto nella classifica nazionale di densità imprenditoriale.

40.900 imprese, di cui il 25% agricole con sempre più attenzione al biologico e alla sotenibilità, ma dove l’artigianato segna una presenza che supera la media italiana (32,3% su 28,5%). La piccola e media impresa infatti, è fortemente radicata nel Piceno, tanto da portare Ascoli al secondo posto, poco dopo Arezzo, nalla classifica delle province più artigiane d’Italia. All’interno del settore permangono i distretti clazaturiero, agroalimentare eindustriale vero e proprio, che concorrono a creare quello che oggi va sotto il nome, di modello marchigiano d’economia. Cioè il miglior prodotto del processo di sviluppo industriale italiano, caratterizzato secondo molti, dal meccanismo vincente competitività-collaborazione.

Ma a controbilanciare l’ottimismo, c’è il basso livello di innovazione delle imprese locali, sviluppate maggiromente in settori a basso contenuto tecnologico, che impiega di conseguenza manodopera poco qualificata. Di poco rilievo anche la crescita delle esportazioni, 2,3% contro il 6,1% nazionale, che riguarda per la quasi totalità il settore delle calzature, o comunque del cuoio e delle pelli, seguito con grande distacco da prodotti farmaceutici e articoli in gomma. Un ruolo particolare nell’economia nostrana, va alla pesca, poiché il porto di San Benedetto si conferma il secondo più grande d’Italia, punto di pesca, sbarco e commercializzazione del pescato, sempre meno destinato all’ingrosso e più all’industria. 

Lieve ripresa infine, anche per le presenze turistiche, sempre più italiani e meno stranieri (soprattutto dalla Germania e dalla Rep. Ceca), concentrati nel periodo estivo, con picchi di rilievo a luglio e agosto. Una nota la meritano il terzo settore e l’economia solidale, che con 1846 imprese no-profit, danno lavoro a quasi 2300 persone. Una crescita quella del terzo settore, che riguarda l’assistenza sociale e l’economia solidale (finanza etica, commercio equo solidale, gruppi d’acquisto). Un settore questo, che promette di colmare almeno in parte, l’aumento della disoccupazione (da 5,05% a 5,80%) nella provincia, benchè il tasso di attività sia cresciuto di quasi 2 punti percentuali.  

02/02/2006





        
  



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