Immaginate se iniziassimo un articolo così: “Vongiorno, ogghi lu facimo stranu st'accriccu”. Apriti cielo! Stanno arrivando i marziani? No: è solo dialetto, che sta sparendo. Le parole sono difficili da scrivere ma anche non immediatamente comprensibili. Soprattutto per i più giovani. Il dialetto è stato spazzato via. La scuola di massa lo ha bandito dalle sue aule: l’italiano doveva unire lo Stivale. Le bacchettate dei maestri anni 50 e 60 hanno fatto il resto. Leggere oggi un testo in vernacolo di quel grande poeta che fu Ntunì de Tavarrò da Montegiorgio, alias Antonio Angelelli, è un’impresa estremamente difficoltosa.

Eppure certi termini, che mai si troveranno nei vocabolari scolastici, colgono alla perfezione gli stati d’animo più profondi e forse altrimenti inesprimibili. Ne sa qualcosa un altro grande poeta, Agostino Scaloni, o meglio, Gustì de Ciriolu. Immortali le sue poesie, che continuano ad incantare nonostante abbia smesso di pubblicare da decenni. L’uso attuale del dialetto – vedi certe compagnie teatrali - è più legato alla battuta salace e alla volgarità piuttosto che all’intensità delle emozioni. Non più lingua, com’era un tempo, ma mezzo per la battuta grassa.

Per difendere una “lingua” in estinzione è nata “Dialettando”, la rubrica su Radio Fermo Uno che periodicamente, a partire da lunedì prossimo, offrirà uno spazio al dialetto come lingua parlata. Non una rubrica sul dialetto, ma in dialetto, dove Agostino Scaloni racconterà le sue storie, leggerà le sue poesie, ma commenterà anche i fatti di cronaca. E tutto rigorosamente in vernacolo.