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La Siciliana Ribelle al Cinema Margherita

Cupra Marittima | Il film, La Siciliana ribelle, storia di coraggio, lotta, giovinezza tradita e sangue, liberamente ispirato alla vera figura di Rita Adria, diretto da Marco Amenta, è stato proiettato al cinema Margherita di Cupramarittima,

di Roberta Capriotti

la siciliana ribelle

Nell'infinita mattanza di mafia, nel mare di dolore che Cosa Nostra ha provocato in Sicilia, la storia di Rita Atria è sicuramente una delle più tristi, più commoventi, più tenere. Rita è una ragazzina di appena 17 anni che decide di denunciare gli assassini di padre e fratello, entrambi uomini d'onore e che instaura un rapporto forte col giudice Paolo Borsellino. La fine è però, è tragica: grazie alla sua collaborazione riesce a far condannare molti degli uomini del clan, ma si suicida sette giorni dopo la strage di via d'Amelio, essendo rimasta sola, dopo la morte del magistrato, vittima dell'odio dei suoi compaesani e perfino di sua madre che arriverà a profanare la sua tomba a martellate.

Il film, La Siciliana ribelle, storia di coraggio, lotta, giovinezza tradita e sangue, liberamente ispirato alla vera figura di Rita Adria, passato con successo all'ultimo Festival di Roma, diretto da un autore emergente il palermitano Marco Amenta,( già autore del Il fantasma di Corleone, fiction su Bernardo Provenzano) è stato proiettato ieri sera al cinema Margherita di Cupramarittima,distribuita dall'Istituto Luce.

La vicenda è ambientata in un paese siciliano immaginario, dove vive una bambina, Rita Mancuso, adorata dal papà, mafioso locale; l'uomo viene ucciso sotto gli occhi della figlia e alcuni anni dopo - nel 1991, quando Rita ha ormai 17 anni - viene ammazzato anche suo fratello Carmelo.

Assetata di vendetta, decisa a vendicarsi del mandante dei due omicidi, il boss Salvo Rimi, decide di rivolgersi ad un magistrato palermitano e, solo a lui, la ragazza consegna i suoi diari, in cui ha annotato tutte le attività criminali svoltesi nel suo paese. Comincia così la sua collaborazione con la giustizia: si trasferisce a Roma sotto falso nome, inserita nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia.

All'inizio, Rita è mossa solo da una furia cieca verso chi ha massacrato i suoi familiari, pur non mettendo in discussione la mafia: il papà e il fratello restano per lei degli eroi. Lentamente la sua visione del mondo cambia, grazie alla figura del giudice: gli uomini non si distinguono più in buoni e cattivi ma fra giusti e non. Durante il processo contro i criminali del suo Paese, in aula, dichiarerà che il suo desiderio non è più la vendetta, ma la giustizia. Dopo l'ennesimo delitto di mafia, l'attentato al giudice che viene fatto saltare in aria col tritolo, a Rita non resta che un gesto estremo di sfida, di lotta: il suicidio.

Rita persegue il proprio scopo, senza preoccuparsi del prezzo da pagare: è il simbolo della resistenza all'oppressione , della lotta contro un destino crudele, contro un potere maschile al quale sembra impossibile opporsi, ribellarsi. Anzi ribellarsi è una colpa, un disonore, un tradimento.

Sconvolgente è l'assenza del concetto di giustizia e la totale irriverenza verso la giustizia dello stato, il diritto positivo. L'unica realtà da rispettare e quella degli uomini d'onore, o del disonore! Contro tutto questo Rita, una ragazzina, una donna, osa ribellarsi con tutto il coraggio che le viene dalla sua rabbia, dal suo odio, dal suo desiderio di libertà dall'ipocrisia, dall'ignavia, dalla mediocrità della consuetudine.

Bella, intensa, l'interpretazione della protagonista di Veronica D'Agostino, realistica e cruda la rappresentazione di Cosa Nostra che il regista Amenta ha ispirato, non all'iconografia classica dei film di mafia, ma alla realtà concreta, avendo egli avuto esperienza diretta come fotoreporter e regista di documentari, di uomini di mafia, magistrati, poliziotti.

Il film è stato visto ed è piaciuto alla moglie di Borsellino, mentre i parenti rimasti vivi della Atria - la cognata e la nipote, anche loro collaboratrici di giustizia - hanno fatto sapere di non apprezzare l'idea di trasformare la storia in un film.

La visione del film colpisce profondamente, addolora ma induce a riflettere su questa nostra storia, sull'urgenza del cambiamento e sulla speranza nei giovani, nelle giovani donne, madri, mogli sorelle di vittime e degli eroi di mafia, che dovrebbero essere così coraggiose da mutare la propria pena, la propria sofferenza in un grido di ribellione a quelle norme sociali, a quelle tacite leggi della consuetudine dell'orrore.

28/03/2009





        
  



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