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Claudio Speranza, reporter di guerra

| Intervista al reporter ascolano che per più di quarant'anni ha filmato per la RAI i più tragici conflitti nel mondo.

di Antonella Roncarolo

Claudio Speranza, ascolano, quarantuno anni passati in RAI come cameramen e reporter di guerra.

Quali guerre hai conosciuto?
Ho filmato dalla fine della guerra del Vietnam, alle ultime immagini del Kossovo. Nel luglio scorso ho lasciato la RAI. Torno adesso dal Burundi dove sto realizzando insieme con un collega un reportage sui bambini soldato che rappresenta una delle tante piaghe del mondo di cui poco si parla.

Tu vivi a Roma, dopo tanti anni all'estero, quali sono i suoi legami con il Piceno?  Sono nato ad Ascoli, i miei fratelli vivono ancora lì e torno spesso. Amo San Benedetto perché fin da ragazzo ci venivo d'estate al mare. Ho da poco acquistato una piccola casa ad Ascoli, un mio rifugio nel Piceno.

Puoi raccontare qualcosa della tua esperienza nella guerra del Kossovo?
La tragedia del Kossovo è stata molto pesante. Non certo per i giornalisti e gli operatori, non voglio assolutamente fare l'eroe. La guerra è una tragedia per chi la soffre veramente. In Kossovo hanno sofferto soprattutto bambini ed anziani, donne private di tutto, della casa, degli abiti, della loro stessa identità perché  ignorati e maltrattati da tutti. Non più serbi, né albanesi, né kossovari non erano più nulla.

Come vive un reporter di guerra nei luoghi dei conflitti?
Dipende dai casi. A Sarajevo vivevamo all'Holiday Inn, un albergo lussuoso, ma pericoloso perchè è stato subito bombardato e siamo vissuti per tante settimane nel sottoscala dell'albergo. In altre situazioni siamo vissuti in tenda, nei containers, dentro le macchine. Quando si è fortunati si può vivere in una casa con ancora i vetri alle finestre.

Come fate a muovervi nelle città o nei territori di guerra?
Innanzi tutto bisogna procurarsi un accredito che è concesso dai rappresentanti del regime vigente in quel momento, con le guide ed i permessi di visitare zone che naturalmente fanno comodo al potere. E' chiaro che se si esce fuori delle zone permesse per conoscere la verità nascosta comincia il pericolo. Si rischia fisicamente per le zone minate, ma soprattutto di essere arrestati com'è successo ai miei sette colleghi in questi giorni in Iraq. Per fortuna in questo caso sembra che si sia tutto risolto per il meglio. 

29/03/2003





        
  



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