La riflessione post voto di Gianluca Pompei
San Benedetto del Tronto | "I risultati delle consultazioni politiche nazionali che si sono svolte Domenica 24 e Lunedì 25 segnano uno spartiacque nella storia politica del nostro Paese".
di Gianluca Pompei
Gianluca Pompei
Ora all'interno di questa riflessione voglio mettere in evidenza un dato che salta agli occhi e che probabilmente è una delle cause di questo responso nelle urne.
Il Partito Democratico, la sua classe dirigente, ha dimostrato non solo di non essere in sintonia con l'opinione pubblica ma anche di essere ormai spaesata ed incapace di individuare quei punti di riferimento concettuali che ci hanno permesso in passato di entrare in sintonia col tessuto sociale.
Ne è dimostrazione il rapporto sviluppato con l'UDC e col centro largamente inteso sia a Roma che sui territori. I continui riferimenti al governo Monti e le ripetute aperture di credito fatte (si diceva a prescindere da quelli che sarebbero stati i risultati elettorali) hanno lasciato intendere che il PD fosse coportatore di quella linea di austerità alla quale l'anno di governo del professore ci aveva costretto facendo scivolare fuori dal campo visivo dell'elettorato la nostra proposta riformista per la quale già da tempo compagni come Stefano Fassina e Matteo Orfini facevano, all'interno, una battaglia di legittimità.
I ripetuti richiami all'importanza del Modello Marche come unica possibilità di stabilità per il Paese fatti dal Governatore Spacca (che in campagna elettorale ammiccava pesantemente a membri della compagine centrista dimenticando forse che il suo partito, il PD, si presentava agli elettori come competitor e non come alleato di quelle forze) hanno prodotto un senso di spaesamento e frustrazione negli elettori che si sono trovati incapacitati a comprendere fino in fondo per quale proposta di Paese gli stessimo chiedendo di andare a votare.
Questo errore, questo tipo di errore, è stato possibile perché la classe dirigente regionale, in massima parte figlia di un mondo e di una stratificazione sociale ormai profondamente mutata, non è mai, di fatto, riuscita a superare quella sindrome che ci vorrebbe incapaci di attrarre il voto moderato. Ci portiamo dietro, da lontano, una cultura politica intrisa di una profonda subalternità al paradigma che ci vorrebbe incapaci di essere forza contemporaneamente riformista e di governo ed abbiamo finito per convincerne pure l'elettorato che, col voto di domenica e lunedì, ci ha dimostrato quanto palesemente percepisca il PD come un partito moderato se non a tratti conservatore.
Infatti, appare del tutto evidente che se c'è un blocco sociale per il quale il PD è stato appetibile è proprio quello dei cosiddetti moderati (dal ceto medio impiegatizio ai dipendenti pubblici fino alla piccola borghesia) che hanno voltato le spalle a Monti relegandolo alla lotta per la sopravvivenza e cancellando l'UDC dal panorama politico.
Mentre è stato proprio il nostro elettorato storico (la classe operaia, ammesso che ce ne sia ancora una, e tutte quelle classi più deboli e in cerca di riscatto), che oggi più che mai si sente lontano dal nostro modo di essere, di agire e dalle nostre proposte politiche e pertanto rifiuta di delegarci come proprio rappresentante finendo persino ad accettare la possibilità di rincorre una protesta ponderata ma anche aggressiva che gli pare l'unico spazio in cui far sopravvivere la propria speranza di cambiamento, a cercare certezze altrove.
Abbiamo fatto il PD per unire il meglio delle più importanti storie riformiste di questo Paese salvo poi iniziare progressivamente a vergognarci di una parte di quello che era il nostro bagaglio culturale in nome di un quieto vivere interno che ha rasserenato le coscienze ma ha anche reso impossibile la formazione e la crescita di una identità unitaria che ci rappresentasse in maniera chiara di fronte all'elettorato.
E allora gli elettori ce lo hanno spiegato col voto qual'è la nostra identità, ed anche quale dovrebbe essere. Hanno seppellito il Modello Marche spiegandoci che non ci è necessario un aiuto al centro, quelle politiche ci riescono benissimo da soli, ma che se volgiamo tornare ad emozionarli dobbiamo presentargli un'altra idea di futuro veramente progressista, riformista davvero. In somma. Per uscire dall'angolo ci serve un grande balzo in diagonale, ovviamente verso sinistra. Perchè il nostro popolo ci aspetta lì, da sempre. Siamo noi che siamo andati nella direzione sbagliata.
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04/03/2013
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