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"Super size me" e l'allarme cattiva alimentazione in occidente

| SENIGALLIA - Un nuovo Killer minaccia anche noi.

di Andrea Cesanelli


Tutti sanno che il fumo fa male; cosa vera in Italia così come negli U.S.A., patria delle principali multinazionali del tabacco oltre che nazione-guida, nel bene e nel male, della civiltà cosiddetta occidentale. Non tutti sanno però che l'obesità e la cattiva alimentazione, che ne è causa principale, fanno altrettanto male. Bene, secondo recenti studi, da quest'anno negli Stati Uniti, il sovrappeso (ed i problemi ad esso correlati) diventerà probabilmente la prima causa di morte davanti anche alle complicazioni da dipendenza da nicotina.

Un nuovo Killer minaccia l'american way of life e questa emergenza nazionale americana dovrebbe impensierirci visto che a quel modello di vita tendiamo, con un leggero ritardo, ad uniformarci; il che rende probabile che quel che accade laggiù ora, avverrà, nel giro di qualche anno, anche da noi.

L'allarme proviene da uno studio del Centro di Controllo e di Prevenzione delle Malattie pubblicato sul Jama (Journal of the American Medical Association). Nel 2000, all'obesità e alla cattiva alimentazione sono riconducibili 400 mila decessi, a fronte di 435 mila causati dal fumo e ai "soli" 85 mila provocati dall'alcool.

Se oggi le ultime due cause sono in calo, la tendenza alla cattiva alimentazione è in aumento, tanto che gli esperti possono prevedere che entro il 2005 essa diventerà la prima causa di morte. Le organizzazioni dei consumatori puntano il dito sulla fittissima rete di Fast Food presente in ogni angolo del paese che offre pranzi completi a prezzi competitivi e veloci al consumo; un'attrazione spesso irrinunciabile per chi, sempre in lotta con il tempo e spesso lontano da casa, non vuole dilapidare lo stipendio in un ristorante.

Ma queste comodità ed economicità hanno un prezzo: i prodotti sono tanto più appetibili quanto più ricchi di grassi e altre sostanze che, gradevoli al palato nel presente, sono molto dannosi se consumati in quantità e nel tempo. Un giornalista-regista newyorkese, Morgan Spurlock, si è preso la briga di vedere empiricamente quanto l'abuso di fast-food sia dannoso: per un mese intero ha consumato tutti i suoi pasti giornalieri presso le filiali della più grande azienda di fast food americana.

Risultato: è passato da 80 a 93 kg, ha avuto un considerevole aumento del girovita, ha iniziato ad accusare dolori al fegato, nausee con vomito e un considerevole calo della libido; per contro il suo colesterolo è considerevolmente aumentato, ha avuto emicranie e crisi depressive. Il tutto è stato testimoniato dal dottor Daryl Isaac, che ha seguito il giornalista in questo esperimento e che ora ha trasferito l'esperienza in un film documentario dal titolo "super size me" (ingrassami), da aprile al cinema in Italia.

Indagini come questa, pur nella loro semplicità, insieme con sempre più frequenti saggi e inchieste sui fast food e, in genere, sul cibo a basso prezzo che troviamo in vendita nei supermercati, hanno cominciato a sensibilizzare l'opinione pubblica americana e mondiale sull'importanza di una corretta informazione e controllo governativo su un settore importantissimo come quello alimentare, per molto tempo trascurato.

E pur vero che una corretta alimentazione da sola non basta e deve essere accompagnata da moto per evitare il rischio obesità o infarto. Se fare o meno attività fisica lo decidiamo noi, mentre per decidere se mangiare cibi più o meno genuini occorre una corretta informazione.

Per questo, ad esempio, le organizzazioni dei consumatori richiedono più chiarezza nelle etichette dei cibi, dove ancora è permessa l'ambigua dicitura "aromi naturali" che può nascondere impensabili sostanze e si capisce bene il sospetto verso i fast food, sui cui cibi sfusi non sono scritti nemmeno gli altri ingredienti.

L'Italia in generale è abbastanza immune dal fascino eccitante di hamburgers e patatine fritte, perché esiste l'abitudine ad una cultura culinaria plurimillenaria fatta di sapori, odori e genuinità senza pari; speriamo che riescano a resistere anche le nuove generazioni, pur bombardate ripetutamente da pubblicità senza remore, che esaltano cibi precotti e fritti, di tutti i tipi, in salse senza nome. I giovani sono fatalmente attratti dal nuovo e dalle cose alla moda, nostra speranza è che l'abitudine a mangiar sano, almeno da noi, non passi mai di moda e che nel cibo si cerchi comunque sempre più il buono invece del bello.

26/04/2005





        
  



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