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Il 2 aprile a In Art: letteratura e musica essenza di vita

San Benedetto del Tronto | Domenica 2 aprile a In Art: partecipazione, coinvolgimento, condivisione e, soprattutto, intense emozioni.

di Elvira Apone

un momento dell'evento del 2 aprile

Domenica 2 aprile, presso il ristorante Puerto Baloo di San Benedetto del Tronto, si è svolto il tredicesimo incontro della rassegna letteraria e musicale In Art organizzata dall’associazione culturale Rinascenza con la direzione artistica di Annalisa Frontalini. Un appuntamento questo, che ha più che mai coinvolto ed emozionato il pubblico che, in un’atmosfera intima e familiare e in un contesto conviviale raffinato e rilassante, si è trovato a condividere tutte quelle emozioni che solo la bellezza che si incarna nell’arte sa regalare. Un incontro, quindi, in cui più che mai la letteratura ha sposato la musica e la musica ha fatto da colonna sonora alla letteratura; un appuntamento in cui l’arte ha mostrato il volto più vero e più autentico della vita che, nell’arte, si sublima. Presente anche Antonella Baiocchi, assessore della giunta comunale di San Benedetto del Tronto con deleghe alle Pari Opportunità, alle Politiche dell’integrazione e dell’inclusione sociale e alle Politiche per la Pace, che ha sempre seguito e sostenuto sia l’associazione Rinascenza sia la rassegna In Art.

Paolo Restuccia, regista e conduttore radiofonico, saggista, traduttore e scrittore, oltre che docente della scuola di scrittura Omero di Roma, ha condotto il pubblico di In Art, insieme a Filippo Massacci, uomo di vasta cultura, lettore competente, acuto, intelligente e appassionato, in un emozionante viaggio non solo attraverso il suo libro “Io sono Kurt”, ma anche alla scoperta della pittura, della scultura, della storia, della letteratura e della musica, che, prepotente e dirompente, accompagna tutte le vicende narrate nel libro che, come Filippo Massacci ha rilevato, racconta soprattutto la vita e, della vita, rivela tutta la stupefacente e straordinaria complessità. Istrionico, brillante, ironico, arguto e colto, Paolo Restuccia ha dimostrato che un libro può essere molto di più di una serie di pagine scritte bene, perché un libro è un mondo intero che prende vita, un labirinto di emozioni e di sensazioni nascoste che si svelano, un magma incandescente di sentimenti contrastanti, una porta sempre aperta sulla realtà che la realtà, con onestà e sincerità, testimonia. Uno specchio in cui ognuno può riflettersi, un pozzo in cui ciascuno può attingere e rinnovarsi, un ponte gettato verso l’infinito in cui chiunque, a proprio modo, può perdersi, per poi ritrovarsi. Una fonte inesauribile di energia vitale senza la quale, come anche Filippo Massacci ha ammesso, non potremmo vivere. E poi, sull’onda dei versi dell’ultima canzone di Bob Marley, che chiudono il libro di Paolo Restuccia, sull’eco di parole di libertà e di redenzione, “songs of freedom, redempion songs”, l’autore si è congedato da un pubblico attento, divertito e affascinato dalla sua performance, ricordando a tutti che proprio l’arte, nella sua accezione più pura, è soprattutto redenzione, rinascita, nuova vita.

E con la stessa onestà intellettuale, con lo stesso spirito libero da sovrastrutture e da catene mentali, con l’animo limpido e puro, con le mani e i “piedi nudi”, Pietro Verna, accompagnato dal poliedrico Francesco Galizia, che, con naturalezza e disinvoltura, è passato dal pianoforte alla fisarmonica, ha regalato al pubblico di In Art un concerto pieno di poesia, quella stessa poesia che trasuda dai versi delle sue canzoni, quella stessa poesia che è riuscito, come un abile artigiano che nella sua bottega crea un’opera d’arte plasmando la materia grezza, a mettere in musica. Anche le sue canzoni sapevano di vita, di vita vera, quella fatta di piccole cose quotidiane, ma soprattutto di amore, emozioni, sensualità; la vita che nasce, e rinasce, recuperando il rapporto primordiale con la natura, con quella terra da cui abbiamo avuto origine e cui, indissolubilmente, apparteniamo. Perché anche la musica, come ci hanno insegnato Pietro Verna e Francesco Galizia, è fonte, ragione, essenza di vita; perché anche la musica, quella che nasce dal cuore e, attraverso tutti i sensi, arriva fino alla ragione, dà un senso alla vita. E ci rende persino migliori.

Con Paolo Restuccia ho avuto il piacere di dialogare con spontaneità e semplicità, come se fosse un vecchio amico ritrovato che, in un cantuccio silenzioso, finalmente si confessa:

“Lei è uno dei fondatori della scuola di scrittura “Omero” di Roma, la prima in Italia. Come mai ha deciso di aprire una scuola di scrittura? Crede che la scrittura si possa insegnare e, quindi, imparare?”

Paolo Restuccia: “Quando è cominciata questa avventura, nel 1988, si pensava che fosse impossibile insegnare a scrivere romanzi e racconti. La scuola è nata soprattutto grazie alla caparbietà del mio socio, Enrico Valenzi, che ci ha creduto moltissimo e ha trascinato poi tutti gli altri, compreso me. Personalmente ci credo, però non è che frequentando questa scuola si trovano delle ricette che insegnano a scrivere, ma si crea un laboratorio in cui le persone che partecipano scrivono. Noi docenti leggiamo dei testi e li commentiamo. Il laboratorio di scrittura funziona più o meno così: noi leggiamo, per esempio, un racconto di uno scrittore famoso e diciamo come è fatto, non dal punto di vista della critica letteraria, ma della scrittura. Da quel racconto nascono altri testi scritti dagli allievi che poi li portano a scuola e noi li commentiamo. La cosa bella è che tanti autori che hanno frequentato la scuola hanno scritto dei romanzi e li hanno pubblicati con case editrici serie, ovviamente non a pagamento. Noi cerchiamo di stimolare i nostri allievi a diventare più bravi, a migliorare, così da convincere un editore a pubblicarli, ma, finché questo non accade, li invitiamo a continuare a scrivere”.

“Lei conduce un programma satirico su Radio2 che si chiama “Il ruggito del coniglio”. Secondo lei la satira serve alla società?”

Paolo Restuccia: “Secondo me la satira è essenziale a ogni società perché la società è piena di vizi e non bisogna mai permettere che questi vizi siano scambiati per virtù. La satira, infatti, segnala i vizi che non sono solo quelli dei politici, ma anche dei comuni cittadini. Certo, magari bisogna essere più cattivi con i politici che, per il loro ruolo, sono il bersaglio migliore, ma non bisogna essere troppo indulgenti nemmeno con gli altri. Persino quando Giulio Cesare tornava a casa in trionfo, i veterani che lo accompagnavano lo criticavano perché anche lui doveva essere consapevole di essere uno dei tanti, di non essere un dio”.

“Lei è regista, conduttore, saggista, traduttore, scrittore: predilige uno di questi ruoli o si sente un po’ tutti questi?”

Paolo Restuccia: “Tutte le cose che faccio mi danno delle soddisfazioni. La scrittura dei propri testi, per esempio di romanzi, dà una soddisfazione molto intima e profonda, anche perché è difficile ed è tutta sulle proprie spalle, a differenza di altri lavori che sono in genere scritti in collaborazione, quindi, questa è sicuramente la cosa che faccio con più piacere. Anche nella scuola, però, ricevo bellissime soddisfazioni quando vedo qualcuno degli studenti che pubblica un romanzo, cioè la soddisfazione di aver seguito dall’inizio alla fine la creazione di un’opera non tua, ma di un altro; la radio, a sua volta, dà un altro tipo di soddisfazione, cioè il calore vero del pubblico. Il ruggito del coniglio, per esempio, è un programma fortunato che dura da ventidue anni cui gli ascoltatori sono molto affezionati, cosa che mi gratifica molto”.

“Il protagonista del libro “Io sono Kurt” è un ex dj e la musica nel libro ha un ruolo molto importante. Come e quando è nata la sua passione per la musica?”

Paolo Restuccia: “Innanzitutto penso che la musica sia una parte decisiva nella vita di tutti noi. Per me è stata importante sin dall’inizio, inoltre, lavorando alla radio, la musica mi è servita anche per lavoro. Durante il periodo dell’università, nonostante studiassi molto, ascoltavo anche tanta musica. Mia madre mi rimproverava di non studiare e di perdere tempo ad ascoltare musica che lei nemmeno capiva. La cosa incredibile, però, è che, nonostante mi sia laureato in antropologia e per un certo periodo di tempo abbia anche lavorato come antropologo, poi però ciò che mi ha dato lavoro è stata proprio la musica. La passione, dunque, si è trasformata in un lavoro, mentre lo studio, che è comunque alla base di tante cose che faccio, da solo non mi ha permesso di vivere”.

“Cosa pensa della formula di questa rassegna che, appunto, unisce la letteratura alla musica?”

Poalo Restuccia: “Credo che unire la letteratura alla musica sia naturale. Ci sono anche grandi esempi di scrittori che hanno utilizzato la musica nei loro testi. Le parole stesse della letteratura sono musicali, anche per questo bisognerebbe leggere i testi in lingua originale. I testi suonano. Penso, quindi, che il rapporto tra letteratura e musica sia molto stretto. Inoltre, qui ci sono artisti giovani, seri, preparati: mi sembra questa una rassegna che non sceglie le vie più facili e magari gli autori più conosciuti, ma cerchi, invece, di coinvolgere autori più giovani e più di nicchia e credo che questo sia positivo, perché se è vero che siamo abituati a quello che mangiamo ogni giorno, è altrettanto vero che, se troviamo un sapore nuovo, più autentico, ce ne accorgiamo. Allo stesso modo, credo che alla fine il pubblico si renda conto se una cosa non è proprio “da supermercato”, insomma, commerciale, sia per quanto riguarda la letteratura che la musica”.

E quanta poesia è racchiusa in queste parole pronunciate da Pietro Verna e da Francesco Galizia:

“Qual è stato il percorso esistenziale, oltre che artistico, che ti ha portato alla realizzazione del cd A piedi nudi?”

Pietro Verna: “Ho vissuto semplicemente i miei passi e i miei giorni con maggiore “nudità”, guardandomi intorno, annusando i passaggi, scrutando i dettagli e immortalando il tutto su una pagina bianca, con inchiostro e corde. Nessun evento eccezionale, ma il solo fluire del tempo con le sue relative attenzioni o disattenzioni. Siamo il risultato delle scelte che facciamo, dei gusti che preferiamo, dei lividi sulla pelle e oltre, degli stupori che ci abitano, e questo bagaglio di roba, per quanto mi riguarda, si tramuta in scrittura musicale”.

“Ci sono elementi comuni con il tuo lavoro precedente?”

Pietro Verna: “Il primo disco, “Ritratti”, risale all’aprile 2012; “A piedi nudi”, invece, al novembre 2016: l’esperienza vissuta in questi  quattro anni, la maturità, gli sbagli, le sperimentazioni, gli incontri e tante altre cose, inevitabilmente, influenzano l’approccio alla produzione di un disco. Alcuni musicisti sono stati confermati; altri, per i motivi di cui sopra, sono cambiati. Gli elementi in comune sono, senza ombra di dubbio, la tenacia, la passione, il sacrificio, la meticolosità, l’attenzione alla parola, l’imperfezione e la necessità di raccontarmi, quasi fosse una cura, attraverso le canzoni”.

“Ho letto che ami definirti artigiano delle parole piuttosto che cantautore. Come mai? Qual è, secondo te, la differenza?”

Pietro Verna: “Se penso ai maestri, ai veri cantautori che, visceralmente, hanno appiccicato bellezza ai muri dell’umanità, mi spaventa l’idea di poter essere considerato, appunto, “cantautore”. Da un punto di vista letterale, chiaramente, rientro nella categoria, ma preferisco l’appellativo di “artigiano”, perché credo sia doveroso il rispetto per la propria arte, creata e costruita con la dedizione, la cura, il sacrificio, il sudore che merita. Preferisco le botteghe alle vetrine commerciali. Prediligo il silenzio di una pace al caos di un successo. Dovremmo riappropriarci di un’idea di bellezza umile, per poi preservarla con garbo, grazia e onestà intellettuale”.

“Come è nata la collaborazione con Francesco Galizia?”

Pietro Verna: “La collaborazione con Francesco è nata, concretamente, subito dopo la produzione del primo disco, anche se lo “corteggiavo” da tempo. Lo contattai in occasione di un concorso musicale, dal quale tornammo vincitori, e da lì iniziò a consolidarsi un legame artistico e umano che perdura con profonda stima reciproca. Abbiamo masticato strade, sorriso e brindato alla bellezza; abbiamo condiviso tantissimi concerti e dischi e litigato per stronzate. Abbiamo vissuto, semplicemente, come veri compagni di viaggio. Mi sento onorato di suonare con un musicista del suo calibro”.

“So che suoni diversi strumenti musicali. Ne prediligi uno in particolare o ti senti legato in ugual modo a tutti?”

Francesco Galizia: “Amo la musica in modo viscerale, a partire dalla sua essenza: il suono, la vibrazione. Gli strumenti musicali sono oggetti, talvolta bellissimi da vedere, ma comunque oggetti che generano vibrazioni, suoni. Li amo tutti indistintamente perché amo il suono, la vibrazione, dunque, l’essenziale. Sono profondamente legato a tutti gli strumenti musicali, anche a quelli che non so suonare”.

“Ho letto che hai collaborato per diversi anni con un coro gospel. Hai un interesse particolare per questo genere musicale?”

Francesco Galizia: “Ho suonato per dieci anni con un coro gospel; per me è estremamente affascinante e travolgente il suono “black”, legato alle tradizioni dei neri d’America, che ci riporta in quel continente per stili e sonorità. Lo strumento “voce”, inoltre, mi emoziona da sempre, un coro per me è un’esplosione di emozioni”.

“Hai lavorato con tanti grandi musicisti. C’è qualcosa in particolare che ti hanno lasciato e che magari ti è stato utile per il tuo percorso artistico?”

Francesco Galizia: “Considero ogni conoscenza un momento di crescita. Attingo qualcosa da tutti i musicisti che frequento e faccio tesoro di questo. Mio padre diceva sempre: fattela con quelli meglio di te e fanne le spese. Io non giudico le persone meglio o peggio, ma le considero in base a determinate caratteristiche, peculiarità, differenze. Da insegnante, quindi, considero ogni mio alunno un potenziale genio, qualcuno che potrà essere più bravo di me o di altri. Vivo la musica come un momento di socializzazione, non come una competizione. Considero la vita di un artista una continua gavetta e io ne ho tanta alle spalle…”

“Cosa pensi della rassegna In Art?”

Francesco Galizia: “Una rassegna che promuove cultura, nelle varie sfaccettature, cioè musica, letteratura, pittura e via dicendo, non può che avere tutta la mia approvazione. Parlo da professore, da persona attenta a che i giovani non si perdano dietro all’inutilità di un tablet, a meno che non contenga giga di libri in pdf e musica in mp3. Spero che la rassegna In Art cresca sempre di più e mi auguro vivamente di tornare a esibirmi, ne avrò solo l’onore”.

Un onore che, intanto, è stato di In Art: l’onore di ospitare chi fa dell’arte la propria bandiera, la propria ragione di vita, e lo fa con discrezione e umiltà, nell’intimo silenzio della propria quotidianità, animato soprattutto da quella passione che, come una scintilla vitale, ha infiammato gli animi di tutti quelli che, domenica scorsa, hanno assistito all’ennesimo miracolo dell’arte che diviene realtà, davanti a una parete tappezzata dalle splendide foto dei miti del jazz scattate da Paolo Soriani e rischiarata dalla debole luce di una lampada a forma di faro. Mentre il mare, appena fuori, cantava anche lui la sua canzone. 

04/04/2017





        
  



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