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La profezia di Spengler e il declino delle civiltà

San Benedetto del Tronto | Prevedeva, non aggressioni e guerre a mano armata, come quelle dei barbari contro Roma, bensì altre minacce. Un secolo fa, scriveva con sgomento del dominio della “macchina”.

di Tonino Armata


La globalizzazione ha avuto l’effetto di addomesticare i barbari del nostro tempo, i popoli del Terzo Mondo? Li ha addomesticati con la droga del consumismo? Ancora una volta, dobbiamo riconoscere a Spengler doti profetiche: prevedeva, non aggressioni e guerre a mano armata, come quelle dei barbari contro Roma, bensì altre minacce. Un secolo fa, scriveva con sgomento del dominio della “macchina”.

Novant’anni or sono. Osvaldo Spengler diede alle stampe il Tramonto dell’Occidente. Prevedeva la fine della civiltà occidentale, e la sua opera fece scalpore. Poi passò di moda. Adesso, fra tante discussioni che sfanno sullo scontro di civiltà, su cristianesimo e islam, sul risveglio asiatico e sul declino dell’Europa, è di nuovo alla ribalta. Sulle sue tesi si può essere d’accordo e si può dissentire. Ma in primo luogo bisognerebbe conoscerle.

Nella “morfologia della storia” proposta da Spengler, le grandi civiltà che si susseguono attraverso i millenni, a cominciare dall’Egitto e dalla Cina, hanno tutte un ciclo vitale, come ogni organismo. Ciascuno ha una sua fisionomia distinta: le opere create dai greci o dagli egizi sono diverse da quelle degli arabi o dei cinesi; come ogni individuo ha la sua faccia, il suo carattere, così ogni civiltà ha le sue forme, i suoi simboli.

Ma come ogni individuo nasce, cresce e muore, secondo ritmi prevedibili, così tutte le civiltà sono destinate a crescere, a svilupparsi, infine a morire. Anche la nostra. Fra tutte le civiltà la nostra, la civiltà occidentale o euro-americana, lui la chiama anche faustiniana, opera dei popoli nordici, esordita oltre mille anni fa con i viaggi dei vichinghi, tesa alla conquista di spazi infiniti, creatrice di opere mirabili e di una tecnica miracolosa, la più dinamica, la più ardita. E oggi è l’unica ancora viva, ancora capace di creare: mentre quelle che l’hanno preceduta, la civiltà araba, quella indiana e tutte le altre, sono ormai sterili, aride, finite. Ma anche la nostra civiltà è destinata a spegnersi, a morire.

“Siamo sulla vetta, al momento in cui comincia il quinto atto (Spengler scriveva nel 1931 in un’opera minore, L’uomo e la tecnica). Si prendono le ultime decisioni. La tragedia è giunta alla fine. Ogni grande civiltà è una tragedia; la storia stessa dell’uomo è tragica. Ma la follia e il crollo dell’uomo faustiniano è più grandioso di tutto quello che mai hanno visto Eschilo o Shakespeare. La creazione si erge contro il suo creatore: come già il microcosmo umano si era levato contro la natura, così ora il microcosmo della macchina si leva contro l’uomo. Il padrone del mondo diventa lo schiavo della macchina”. Come si vede, Spengler ragionava secondo schemi immaginosi, apocalittici, non secondo tabelle di reddito procapite.

Come s’inquadra, nella visione spengleriana, il risveglio dell’Asia, al quale assistiamo con sentimenti ora di sollievo, ora di sgomento? Tutto quadra, in un certo senso: tutto si inserisce nella sua visione. Riassumiamo. La civiltà euro-americana, l’unica ancora viva, ancora capace di creazione alle soglie del Duemila, è al tramonto: com’era al tramonto la civiltà greco-romana, duemila anni fa. Le analogie fra noi e la Roma di Augusto sono ormai all’ordine del giorno, se ne parla e se ne scrive di continuo. Come i greci e i romani erano circondati, allora, dai barbari, gli europei e gli americani sono circondati ora dal Terzo Mondo. Non è giusto parlare di scontro di civiltà, perché le civiltà diverse dalla nostra, quella islamica come quella cinese, mirabili nel passato, di pari dignità con la nostra, sono ormai spente: rimangono solo certi loro segni esteriori, certi riti. Ma il risveglio dell’Asia, adesso, è il fatto nuovo. Ebbene: è un risveglio provocato dall’Occidente; quel che si fa oggi in Giappone, in Cina, in India, e nel resto del mondo, non è segno di una civiltà nuova, diversa dalla nostra; e non è neanche il ritorno di una civiltà antica. E’, né più né meno, un riflesso della civiltà occidentale. Il modo di vita, la produzione, la tecnica: tutto è, da parte loro, imitazione.

La globalizzazione ha avuto dunque l’effetto di addomesticare i barbari del nostro tempo, i popoli del Terzo Mondo? Li ha addomesticati con la droga del consumismo? Ancora una volta, dobbiamo riconoscere a Spengler doti profetiche: prevedeva, non aggressioni e guerre a mano armata, come quelle dei barbari contro Roma, bensì altre minacce. Un secolo fa, scriveva con sgomento del dominio della “macchina”: la meccanizzazione del mondo ha raggiunto uno stadio di pericolosissima ipertensione.

L’immagine del mondo con le sue piante, i suoi animali e i suoi esseri umani è mutata. In pochi decenni sono scomparsi grandi foreste… Un mondo artificiale invade e avvelena la natura. La civiltà è diventata una macchina… Tutto previsto: globalizzazione, industrializzazione del Terzo Mondo, mutamento del clima, minaccia per l’ambiente. Alla fine, la civiltà occidentale sarà travolta, piuttosto che dal Terzo Mondo, dalle sue stesse creazioni. Si spegnerà infine, la tensione spirituale dell’uomo faustiano, perderanno significato le sue opere. E scenderà il silenzio: ferrovie e grattacieli (cito ancora Spengler) diventeranno ricordi del passato, come la muraglia cinese, come i templi di Menfi e di Babilonia.

08/04/2007





        
  



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