Candidato ai nastri d'argento per miglior regista esordiente, miglior attore e miglior attrice protagonista e per la fotografia (Arnaldo Catinari), il primo film diretto da Alessandro Angelini è stato molto apprezzato dalla critica.

Una scrittura sublime, che sa essere non troppo incomprensibile ma affatto banale. Il tema non è convenzionale, anzi. Ambientato fondamentalmente nel carcere di Rebibbia, il protagonista, Giorgio Pasotti, veste i panni di un educatore del carcere, il quale, nonostante le difficoltà famigliari posteglisi davanti nel corso della vita, si pone in un ambito sociale e umano.

Ma quando la vita privata e famigliare va a intersecarsi con il lavoro, si scoprono degli aspetti di se stessi e degli altri alquanto sorprendenti.

Una macchina da presa instabile, che inquadra spesso un superbo Giorgio Colangeli, nella veste di padre da non ringraziare, e una scenografia imprigionata fra le sbarre di un carcere romano, ma non per questo deprecabile.

L'aria salata, è l'aria che si respira all'inizio e alla fine del film, che non può essere descritta ma solo vissuta, ed è resa perfettamente dal giovane regista.

E pensare che l'intero film è nato perché Alessandro Angelini prestava volontariato nel carcere Rebibbia. È proprio vero che aiutare gli altri è aiutare anche se stessi.