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Italia Mia( seconda parte)

| Un bacio ed altre 4 noticine

di emme

Erano circa le 17 dello scorso 4 Giugno. La “Sette” trasmetteva in diretta dal Circo Massimo la   cronaca della manifestazione antibush. Qualche scalmanato si scontrava con la falange della Polizia e correva a rifugiarsi dietro le telecamere. Insomma, un momento “delicato”-

Una cronista affannata tanto da ridursi a parlare in falsetto, sul punto di una crisi ed un operatore che continuava imperterrito a riprendere quel  che accadeva, facevano spettacolo. Ad un certo momento, in quel déja vue, fra fuggi-fuggi, grida, canti, smarrimenti e confusione totale,la telecamera inquadra forse senza volere, un primo piano, sull’angolo inferiore destro dello schermo. Ripresi, a mezzo busto e di profilo, due ragazzi, un Lui ed una Lei, schiacciano il magma turbolento della manifestazione. Sullo sfondo di ondivaga violenza , i profili si avvicinano e le bocche si uniscono in un bacio, una volta, due volte. Poi operatore e cronista improbabili demiurghi dell’Informazione, il cui intuito giornalistico mi sembra particolarmente basso, passano  ad altro, uccidendo ( televisivamente parlando) i due giovani e con essi la Verità.

Quei baci, lenti, netti, vogliosi e casti, fioriti su facce pulite, concimate dall’amore, dimentiche del mondo e chiuse in una vicenda solo loro e tuttavia universale, mi apparvero come il reale, il mondo vero, sullo sfondo di cartapesta dello scontato tumulto, la rivincita della vita sulla finzione della volontà.

Un evento storico fatto di baci, che ha consegnato alla effimera cronaca il contesto protestatario. Ma in un bacio anche  l’ unica, definitiva  condanna di guerre e violenze d’ogni genere e comunque motivate, condanna dura e senza appello, da far tremare vene e polsi, più di mille girotondi..

La lettura dell’ultimo pamphlet di Massimo Fini ( “Sudditi – Manifesto contro la Democrazia”- Venezia 2004, pg 147 –E 9,00 ) suscita echi antichi.  Ancora una volta l’Eresiarca Antimoderno ( che tale è M. Fini che non vuol stare né a destra né a sinistra, non crede nel Governo della Ragione e predica per frantumare le basi della legittimazione politica dei governanti, qual che sia il loro colore), chiede ai nostri cervelli, con la prosa oratoria e turgida che gli è propria, di rimettersi al lavoro, di pensare e, pensando, divertirsi e godere di una ritrovata autostima, ripescandola nella palude della Informazione Tv e tipografica. Salvo, da ultimo, dimostrargli che “ La Ragione aveva torto…”

Idee consequenziali, paradossali, provocatorie,  anelli di un’infinita catena partogenetica, con sullo sfondo i ponderosi, pressoché illeggibili trattati di Sartori,  Kelsen,Wber ma anche Tocqueville, per citarne alcuni, vengono offerti in salsa agra ed attuale al Lettore, con l’evidente fine di scuoterne presunte certezze.          

  Non mancano le risposte a domande usuali come quella su che fine abbiano fatto “ i valori”: la Democrazia non ha valori e non può averne perché è un vuoto contenitore di Regole, non di verità sostanziali, come aveva dimostrato Kelsen ed  intricato a denti stretti, il migliore dei mondi possibili di Popper e di Candido. Ne consegue che la Democrazia, massime la variante rappresentativa, non può far altro che affermare se stessa e, conforme alla sua natura, produrre Regole.

Ai Politici, oligarchi  che decidono per chi votare e come votare e lo comunicano, come formazione invertita di consenso al  Popolo Sovrano, una riflessione su un’altra banale domanda: perché la Democrazia premia i mediocri?. Troveranno in quel libretto una risposta ineccepibile, date le premesse, che forse risveglierà dignità e sopiti orgogli.

L’Ottocento ha ucciso la Poesia. Sarà  per questo – de mortuis nisi bonum! – che si fanno tanti concorsi di Poesia, alcuni – inorridite!- riservati alla giovanissima età.

Nessuno che predichi in quelle elette sedi e dica che “ il Vero precede la Poesia” e, quindi, bisogna prima pensare, e pensare in grande , secondo ritmi universali.

 Nessuno che dica che la Poesia è cosa diabolica, quando non è divina, non foss’altro perché, dato un Pensiero, bisogna poi costruirla con metri acconci e buon vocabolario e non si finisce mai di dubitare, correggere, sostituire, inventare, in una parola “lavorare”. Esattamente il contrario della romantica immagine oleografica del Poeta che , penna in mano, foglio bianco davanti, chiede ed attende con gli occhi al cielo la grazia di una  rima e, quando arriva,  quel che viene, viene.

Il Novecento, figlio madornale dell’età borghese, ha ucciso il Romanzo. Questa è  stata una gran bella cosa. Lasciate sul campo le salme dei doveri dello Scrittore, quali le intendevano da Noi Manzoni, De Santis, Carducci ed anche, pur se non sembra, l’Immaginifico, doveri che facevano dell’esercizio della Scrittura una delle attività lavorative più faticose della storia del genere umano, ai giorni nostri chiunque può scrivere e pubblicare senza pudore.

Quel po’ di fatica che ancora ci vuole , lo neutralizza la contrazione delle pagine ( oggi 120 paginette fanno volume ) o l’abilità di allungare il brodo di intimistici drammi con pura acqua di fonte, meglio se distillata, scrivendo fino a mille pagine di niente. Si troverà sempre un Editore disposto a stampare a prezzi stracciati ( dice lui) mille copie per i topi , o si investirà lo stipendiuccio in una edizione  in proprio, che tanto il risultato è lo stesso.

Può capitare anche un Editore che , pescando a caso come il bambino nella cesta dei numeri del Lotto, decida di gabellare uno di quegli scritti per un capolavoro. L’importante è non crederci e nominare un buon avvocato per incassare i diritti d’Autore…

Per male che vada, ci sono sempre i Premi Letterari ( tutti ‘Prestigiosi’) e la possibilità di riportare a casa un “Attestato di Benemerenza” , un “Diploma d’Onore”, una “ Menzione solenne” da appendere imcorniciati alle pareti del salotto buono. Non servono a niente, non significano niente, ma danno diritto a fregiarsi sui biglietti da visita del titolo di “Scrittore”.

 E pensare che  quel reazionario (ed anche “ agrario”!),  di Giuseppe Giusti pretendeva che ( cito a memoria): < fatto un libro non si è fatto niente/ se il libro fatto non fa cambiar la gente.>.

L’<elecion dey>, finalmente arrivato, altrettanto finalmente se ne sta andando ( lo so scrivere anche in Inglese, ma perché dovrei farlo, se lo pronuncio in Italiano?- Vi fu un tempo che gli Italiani avevano gran dignità e sapevamo come trattare parole e nomi stranieri. Così Ackwood è ancor oggi conosciuto come “Acuto”, Holiwood come “Sacrobosco”, ma, con una elle in più diventa “la Mecca del Cinema”, etc.- E non è che , instancabili spanditori alle fiere , banchieri e mercanti, quali erano i nostri Maggiori,  non conoscessero le lingue straniere!).

 L’oligarchia partitica saluta gli Elettori e va a discutere il conseguente nuovo assetto. Così va il Mondo, e così va l’Italia, abitata com’è dal più cinico dei Popoli ( G.Leopardi), o forse dal più saggio, che se ne ride di storicismi e “magnifiche sorti e progressive”. Un Popolo che, in maggioranza,  ha per unica ideologia non già una vita migliore, ma la sopravvivenza.

“ Franza o Spagna, purché se magna”, si diceva un tempo. Programma ignobile, si dice, che, tuttavia fruttò a Guicciardini villa amena e benessere di primizie e permise al Popolo italiano di galleggiare su duemila anni di disgraziatissima vicenda storica

La caratteristica di questa tornata elettorale mi sembra che possa essere definita  dalla noia assoluta, ovattata, oblomovizzante,  “globale” che i Candidati hanno saputo riversarci addosso. Tutti presi a polemizzare fra loro  de minimis o degli universali ( che è lo stesso…) con quel loro  ermetico linguaggio che chiamano “politichese” e spesso è solo un finto linguaggio, non si è avvertito un guizzo di originalità, di passione vera, di idee nuove, sia pure non di ideali. Invece, un bla-bla confuso, ripetitivo, segnato da un lessico elementare, livellatore, che, anziché indurre a ragionate scelte, promuove i più affabili sorridenti da manifestini e “santini” e i più prodighi di promesse. Per non parlare delle televisioni. Egemonizzate, hanno straripato nelle nostre case il volto furbo e accattivante del Candidato n. 1, fino a raggiungere deprecabili effetti inflattivi.

Democrazia per Democrazia, era meglio quella dei Romani, che compensavano la noia dei discorsi elettorali dai Rostri con “panem et circenses”. Ai tempi nostri, noia tanta, circenses niente e, quest’anno, non dico la riduzione delle imposte, ma nemmeno il tradizionale rito delle spolveratine d’asfalto sulle  strade cittadine mal ridotte.
 

Le miserie di questa campagna elettorale meritano un codicillo. Se dovessimo scegliere gli Eletti in  ragione dei loro messaggi, ci sarebbe da rabbrividire di fronte a tanta banalità.

 Apro un giornale a caso e leggo sotto la foto di un candidato prezzemolino, “ io c’entro”, che è una strizzatine d’occhio ( “io sono al centro”), una previsione ottimistica ( “nel Consiglio io  c’entro di sicuro”)-Immagino che sforzi di pensiero ci saran voluti ( al centro, naturalmente) per partorire quel geniale  calembour. Più in la, siamo al gioco di parole infantile: “ LEGAti (sic!) alle battaglie…etc”. ( suggerisco, gratis: “proVINCIA(MO)”-

Due righe  sotto un altro con poca fantasia, vuole una città “ più dinamica” (sono pochi i  terremoti, vivaddio!) e “ più vivibile” ( chi non lo vorrebbe? )-

 Poi c’è la schiera dei patetici che dicono, singhiozzando, “ la nostra Provincia”. Devono essere vecchi manifesti, perché avrebbero dovuto scrivere “ la nostra mezza Provincia”-

Una gentile signora, invece, vuole  andare in Provincia “per investire nei valori umani”. Cosa significhi, bisogna chiederglielo. Un’altra, per risparmiare, o per altri motivi, ha rinunciato alla foto sui manifesti e tutti fissano stupiti il  suo nome cognome trascurando i sorridenti simulacri degli altri.

La nota positiva, c’è anche quella, anzi, ce ne sono due: a) concorso a premi (?) per il miglior “ Santino”; (pesce fritto e vino a go-go; il bicarbonato è a parte). B) elezione di  “miss  Santino”. Questa si può perfezionare: la prossima volta, il concorso sarà abbinato a quello delle “veline”, così si prendono due piccioni con una sola fava.
 

Si dice che una volta Roma fosse ’caput mundi’. Qualcuno , rimasto un po’ indietro, lo crede ancora o ce lo vuol far credere. Per convincersene, basta “fruire” ( oggi si dice così) del pubblico e del privato servizio televisivo.

 Il mondo è grande, anche se il Progresso lo ha messo tutto a portata di volo charter, ma i nostri telegiornali raccontano solo cose italianissime, paesane, spesso insignificanti, quasi che negli altri Paesi d’Occidente, in Giappone, in Cina, nelle Americhe etc., oltre il variare degli indici di borsa, non succeda mai niente . Chi vuol saperne di più e mettere a paragone il nostro quotidiano con quello straniero, deve possedere una parabola e tanta  confidenza con il barbaro idioma anglosassone. Scoprirebbe in primis – e non è poco! -  che il mondo non ruota più intorno al nostro storico baricentro, ridotto com’è, questo, a periferia e terra di frontiera.

Ignoranza? Diversivo? Censura del possente pulsare del mondo? Nostalgia? Inconscia protesta ‘no global’? ( abbiamo letto anche questo! Ma, riflettendo bene, che cosa è più antiglobalizzante delle “autonomie” regionali, cittadine etc…?) -  Forse tutte queste cose insieme:  una salsa vischiosa per  i nostri piedi imprigionati nel pantano dell’ignoranza e della disinformazione.

 Certamente, e in ogni caso, il più vieto provincialismo, vizio antico degli italiani, grimaldello  d’ ogni avventura politica.

11/06/2004





        
  



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