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La passione per il colore.

Ascoli Piceno | Un amante del colore al di sopra di tutto, Luciano Cacciatori, consiglia: "volete un quadro per casa vostra? Comprate tela, pennelli e colore e dipingetelo, niente è paragonabile alla sensazione del quadro che nasce sotto i vostri occhi".

di Stefania Mistichelli

Cacciatori con un suo acquerello

Siamo a stati a casa di Luciano Cacciatori, prolifico pittore ascolano, che da tempo non espone i propri quadri, perché non sopporta il volere attribuire ai quadri significati che vadano al di fuori di considerazioni pittoriche:

“ Perché il quadro deve significare qualcosa? Questa cosa qui su che significa il quadro, a me sembra una follia. Se io voglio trasmettere un messaggio filosofico, scrivo un libro di filosofia, se è un messaggio politico, sociologico, scrivo di conseguenza, se io ricorro alla pittura è per dare una sensazione pittorica. Che non significa niente altro che dentro alla pittura, sta tutto lì. Come la musica, noi sentiamo certi concerti “opera kappa 32 in si bemolle”, che significa? Non ha riferimento al mondo naturale, allora come la musica si è conquistata il diritto di essere musica senza riferimento al mondo della natura, se lo deve conquistare la pittura.
Il quadro trasmette una sensazione coloristica, pittorica, con delle linee  e dei colori. Poi un discorso diverso è il giudizio pittorico, ma questo richiede tutta una cultura pittorica, una preparazione”.

“Io non mi ritengo un professionista – continua Cacciatori – mi definisco dilettante, il che per me non è una diminuzione; dilettante nel senso che uno lo fa per diletto, quindi dipinge proprio con il piacere di dipingere”.

 La passione alla pittura di Luciano Cacciatori, sessantacinque anni, risale alla prima infanzia; i primi passi li muove alla scoperta del colore, infatti racconta: “Ai miei tempi, quand’ero bambino, al Cinema i film erano in bianco e nero; ad un certo punto, fu una cosa sconvolgente, i primi anni cinquanta arrivano i film in technicolor, ed io ho la sensazione di aver visto fino a quell’epoca il mondo in bianco e nero.

Mi ricordo di aver visto questo film, cieli azzurri, praterie, era un film western con i soliti indiani, età dodici tredici anni, rimasi sconcertato, perché uscito dalla sala del cinema, cosa sconvolgente, vidi il mondo a colori! Prima non lo vedevo, per me il mondo era come me lo aveva indicato il cinema, film bianco e nero, ed evidentemente lo vedevo in bianco e nero, perché ricordo di essere uscito dalla sala cinematografica e di essere rimasto a bocca aperta a vedere i colori della natura.

Per me fu una cosa sconvolgente la scoperta del colore, da un mondo con tante tonalità di grigio, poi scopri il cielo azzurro, allora cominci a guardare i colori per sé, allora guardi il cielo e scopri cinquanta tipi di colore, capisci che dietro quell’azzurro della volta celeste, c’è il nero dello spazio infinito, allora come faccio a rendere quest’idea, ecco.

Quindi per me il fatto bello, sconvolgente, è il colore. Onestamente le figure, le forme, i vasi, i fiori, mi interessano come forma molto molto relativamente, quello che mi muove è la sensazione coloristica”.

Il secondo aspetto fondamentale per la vita artistica dell’artista è stato l’incontro con Pollock negli anni ‘70: “per me è stata una liberazione che esistesse un tipo di pittura non strettamente collegata al disegno. Erano gli anni sessanta, allora avevo vent’anni, e già era precedente l’interesse per dipingere, quando a Roma ci fu una mostra alla Galleria Nazionale dell’Arte Moderna e mi capitò di vedere dei quadri di Pollock, allora era una novità un po’ sconvolgente.

Vidi un tipo di pittura astratta, informale, per me fu la liberazione, perché era possibile fare un tipo di pittura completamente staccato dalla forma, no? Cioè per dire, vuoi esprimerti coloristicamente? Fallo! Mi dettero il coraggio di fare quello che sennò non avrei avuto il coraggio di fare prima. E allora ecco, dopo questa liberazione che staccava la forma dal colore, e dopo che la pittura è diventata pittura punto e basta, colore soprattutto, mi sono sentito incoraggiato ad iniziare, e poi continuare, andare avanti.”

Da qui nasce nell’artista l’interesse della tecnica e del provare a cominciare a dipingere in grande,  sia come dimensioni sia come quantità, quando “ad un certo capisci che a proseguire quello  significa smettere, perché faresti la pittura di un altro… devi arrivare a fare la pittura tua… e siccome quello che mi piaceva fare era una pittura astratta, addirittura gestuale, informale, quelli che mi hanno colpito e mi hanno aperto la strada, almeno la mente, pensare certe cose si possono fare, è consentito, sono Kandiskij, Paul Klee, Matisse, Picasso, poi per gli italiani Vedova, poi altri".

Cacciatori comincia a dipingere dunque da giovanissimo, intorno ai dodici, tredici anni, per arrivare intorno ai trenta a conoscere questi autori e maturare, da autodidatta, una propria cifra stilistica.

Abbiamo chiesto all’artista :

Da dove trae l’ispirazione, dove nasce un quadro?
"Il quadro nasce da una voglia di dipingere, cioè fai su una tela una macchia di colore, poi da quella lì si sviluppa tutto un discorso, ma… la cosa è irrazionale e razionale allo stesso tempo, inconscia e conscia. Quello che ti spinge a fare certe cose onestamente non so cos’è, quello che so è che facendole cerco di tenerle sotto controllo per non fare un pastrocchio, ma per fare un dipinto decente.
Ma dove nasce, onestamente, non me lo chieda, perché non lo so. Ad un certo punto inizi, senti di dover andare avanti, vai avanti, correggi, modifichi, controlli, cerchi di non farti prendere la mano, ma di andare in una certa direzione.
Quindi ci sta il fatto inconscio e conscio, irrazionale ed irrazionale messi insieme. La razionalità non è momento di partenza, ma durante l’esecuzione, quando cerchi di rispettare certe regole.

Parto per un viaggio. Perché parto? Per il desiderio di partire, però dopo rispetti il codice della strada, ti rifornisci d’acqua, di cose varie… cioè c’è un desiderio di dipingere e poi di farlo con una certa razionalità, è tutto quanto lì. Poi molte cose, vedendo quadri di altri autori, senti che c’è qualcosa che ti muove, non è che vuoi rifare la stessa cosa, però questo qualcosa ti muove a fare qualcosa di tuo, però, se mi dice da che nasce, questo, proprio, non lo so dire nella maniera più assoluta. Nasce, viene fuori da sé".

Le sue realizzazione vanno da quadri di grande dimensione in pittura acrilica o ad olio e pastello cerato, a quadretti più piccoli realizzati con la tecnica del collage, al pastello, all’acquerello.

Gli impasti consistenti dei primi, coloratissimi, rendono i quadri da godere, da toccare”, perché Cacciatori crede i quadri vadano vissuti, e non debbano aspirare all’eternità: “il quadro si rovina? Vuol dire uscire completamente dall’idea che le cose sono finite, sono più o meno eterne, immodificabili.”

Negli anni ottanta il collage era ciò che interessava al pittore; di fronte al un collage dell’86, Cacciatori ci spiega che in quel periodo pensava “che ci vuole per dipingere? Fogli di riviste, forbici e colla. Qui… non è che dentro la mia testa ci stava questo. Avrò cominciato appiccicando qualcosa, poi vai avanti e alla fine ti stupisci per quello che viene fuori. È la sorpresa finale del fatto che le cose si fanno facendole.”

Attualmente Cacciatori si sta dedicando alla tecnica dell’acquerello, “la pittura più bella e più difficile al tempo stesso, perché il colore prende vita sotto i tuoi occhi, espandendosi nella misura in cu tu gli permetti di farlo, bagnando la carta o il pennello. È la massima espressione del quadro che si fa facendolo, anche se il pittore guida tale creazione con le scelte relative alla tecnica.

Il colore coprente, come quello ad olio, a cera o l’acrilico, lo puoi coprire e ricoprire a piacimento, correggendo da una parte e raschiando via il colore da un’altra parte, mentre se l’acquerello non ti soddisfa, l’unica soluzione è strapparlo e rifarlo da capo.

Ma l’aspetto che accomuna tutti i quadri di Luciano di Cacciatori, è la sensazione di scoperta e di meraviglia legato al quadro finito: “ a me quello che mi meraviglia e mi sconcerta, che mi fa piacere, è che pitturando viene fuori qualcosa che non avevi minimamente dentro alla testa quando hai iniziato.

“A chi mi dice che vuole comprare un quadro e spenderci cento, centomila o un milione di euro, io dico comprati tela e colore e dipingilo. Perché la massima soddisfazione deriva dal fare il quadro, vedendolo crescere sotto il pennello, come se, in una sorta di sdoppiamento, mentre dipingi il quadro non fossi tu a distribuire la macchie di colore. La sensazione che si prova è straordinaria: fai un segno qui, poi ne fai un altro, ed ecco ad un certo punto senti che un colore debba andare proprio in quel punto; durante la creazione, la parte razionale di te funge da controllo, mentre l’altra ti spinge a continuare.
Fino a che non capisci di non dover fare più niente, il quadro non ha niente di più o di meno di quello che dovrebbe avere, che è finito”.

15/06/2005





        
  



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