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A scuola di buon cuore

San Benedetto del Tronto | Dagli Stati Uniti progetti di alfabetizzazione emozionale

di Fabrizio Marini


In articoli precedenti abbiamo accennato ad una svolta decisiva che il pensiero filosofico occidentale ha imposto alla nostra cultura, al nostro modo rapportarci al mondo e a noi stessi. Si tratta della scissione platonica tra mente e corpo. L'uomo è stato diviso e da quel momento tenta di ritrovarsi fra conflitti interiori e guerre di civiltà. Una esposizione efficace di tale punto di vista si trova nell'eccellente testo di Umberto Galimberti, Il corpo (edito da Feltrinelli).
 
Una esemplificazione pratica di questa chiave di lettura, che dimostra ancora una volta l'aspetto sorprendentemente concreto della filosofia, ci è data dalla condizione di ignoranza emotiva in cui gli uomini occidentali versano. Con ciò intendiamo l'incapacità di saper leggere i propri moti interiori relativamente alla rabbia, all'ansia, alla tristezza con conseguente scivolamento verso forme patologiche come la depressione o la violenza. Basta aprire un giornale per verificare tale stato di cose che coinvolge sempre di più i minori.

 Il fatto di ignorare i propri sentimenti e non saperli gestire deriva dalla fissazione dell'educazione sulla formazione intellettuale in base al vecchio assunto cartesiano del penso dunque sono. Il corpo è stato dunque emarginato. Si potrebbe obiettare che la medicina si occupa del corpo e che oggi si rileva un'attenzione non indifferente alla forma fisica e allo sport. Tuttavia "questo" corpo è il corpo della ragione, è il corpo anatomico che viene considerato solo nel momento in cui si fa racchiudere da un'idea, quella di sanità o di forma. Il corpo ignorato è il corpo emotivo o dei sentimenti di cui spesso non sappiamo nulla, proprio perché non è coinvolto in alcuna specie di consapevolezza.

Tale corpo si muove da sé come fosse esterno a noi e spesso dà luogo a episodi spiacevoli come atti aggressivi e rapporti conflittuali. Questo corpo ci è tanto ignoto che spesso diciamo che "non eravamo in noi" e che non ci riconosciamo in certe azioni.
 
Negli Stati Uniti ormai da due decenni si studiano e si applicano programmi di alfabetizzazione emotiva a scuola, visti anche i gravi fatti di violenza registrati nelle scuole. Ne siamo venuti a conoscenza con il best-seller Intelligenza emotiva dello psicologo Daniel Goleman il quale ritorna sull'argomento nel recente testo intitolato: Emozioni distruttive (edito da Mondadori).
 
Prima responsabile del rifiuto delle manifestazioni emotive è la famiglia, ove spesso i bambini vengono rimproverati quando sono in preda a sentimenti forti come la rabbia o la gelosia. La conseguenza è che il bambino comprende che tali sensazioni sono da rifiutare e da reprimere. Ciò conduce ad una mancanza di consapevolezza relativamente a tali stati i quali possono esplodere senza alcuna forma di autocontrollo forgiando un carattere conflittuale e rissoso, unitamente ad una maggiore probabilità di cadere vittima dell'ansia e della tristezza.

Il primo passo è dunque quello di insegnare ai bambini ad ascoltare le loro emozioni, a nominarle e a non ignorarle. Questo significa concretamente essere capaci di riconoscere la differenza tra le sensazioni e i comportamenti. Riconoscere di essere in uno stato di collera non vuol dire doverla manifestare con comportamenti violenti. Difatti uno dei problemi più rilevanti, non solo nei bambini ma anche negli adulti, consiste nell'incapacità di saper distinguere uno stato emotivo dal comportamento conseguente. A causa di abitudini acquisite spesso provare un'emozione significa dare subito inizio ad una azione, magari inaccettabile e dannosa. Quindi con uno slogan potremmo dire che tutte le sensazioni sono accettabili, ma non ogni comportamento è accettabile. 
 
Nella pratica di insegnamento, descritta da Goleman, le sensazioni non vengono classificate in "buone" e "cattive", ma in "gradevoli" e "sgradevoli". A scuola l'insegnante distribuisce ai bambini delle facce disegnate su cartone, esprimenti ognuna un'emozione. Tali facce dovranno essere utilizzate durante tutta la giornata per identificare in presa diretta le sensazioni provate in determinate occasioni. Ciò vuol dire imparare a essere consapevoli di tutte le sfumature emotive e gestirle coerentemente al contesto. Si pensi ad esempio agli effetti che hanno sui bambini le prese in giro dei loro coetanei e ai benefici che il lavoro di identificazione può apportare nello scegliere un comportamento che non sia di reazione e nemmeno di passiva rassegnazione. Lo psicologo americano riporta il caso di un bambino che aveva seguito corsi di educazione emotiva, il quale punzecchiato da un coetaneo invece di reagire animosamente o di subire la provocazione si rivolse all'altro dicendo: "ti senti malizioso? Hai avuto qualche problema stamattina?", al che quello smise subito di infastidirlo.

 Altro strumento è quello del racconto unito ad azioni concrete. Un personaggio tratto dal mondo animale può incarnare le sensazioni che un bambino prova stando a scuola: noia per le lezioni o rabbia per le provocazioni degli altri. Ad esempio Goleman parla di una "tartarughina" che rimane vittima di queste emozioni e si rivolge a una tartaruga anziana, la quale le consiglia di rientrare nella corazza quando è fuori di sé. Metaforicamente ciò significa essere consapevoli nel momento in cui sorge un'emozione per poter prendere decisioni con calma riguardo al da farsi. Poiché i bambini apprendono prima di tutto con azioni fisiche, come ci hanno insegnato gli psicologi russi Vygostky e Luria, è bene associare all'idea di calmarsi un atto specifico.

Continuando l'esempio citato si può insegnare a "fare la tartaruga", ossia mettere le mani incrociate sul petto e respirare profondamente in occasione di una forte emozione.
 E' importante che questi esperimenti vengano compiuti a scuola perché è nel gruppo dei pari che i bambini sviluppano e mettono in pratica abitudini e comportamenti.
 Non abbiamo certo la presunzione di affermare che queste tecniche siano la soluzione ai problemi dello sviluppo emotivo del bambino, ma bisogna certamente fare qualcosa e subito per ovviare all'obsoleto intellettualismo dei programmi scolastici. Si potrebbe così evitare con la prevenzione che molti adolescenti provino amare esperienze come quella del carcere.

23/06/2005





        
  



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