Benvenuti al circo Italia, due settimane di follie
| Invece dei gol insulti, lite e sciocchezze
di Tonino Armata
Ogni giorno un'attrazione diversa, ogni giorno uno spettacolo nuovo. Tutto improvvisato, come facevano Totò e Peppino. Molto più vario del festival del circo di Montecarlo, il barnum della nazionale ha dato prova di creatività e talento. Alcuni giorni fa, il numero da baraccone e toccato a Vieri. Il calcio azzurro non smentisce né il paese che rappresenta, né il campionato di cui è coerente emanazione: rissoso, polemico, mercantile e grottesco quanto lui.
Se la nazionale avesse segnato un gol ogni dieci fesserie dette, sentite, fatte, vissute, ripetute o smentite in due settimane portoghesi, avrebbe già vinto il suo girone e forse l'Europeo. Siccome non si riesce a buttare la palla dentro, ci si dedica all'arte varia.
"Sono più uomo di tutti voi messi insieme", ha tuonato il centravanti della nazionale ai giornalisti sportivi. Tenero e incauto, non sapeva d'inoltrarsi in uno dei più difficili e delicati dibattiti del pianeta Terra: dove risieda, l'essere "più uomo" degli uomini, è, infatti, un rebus da sempre insoluto. C'è chi se la cava con la faccenda della virilità, storie d'ormoni, muscoli, magari modi bruschi, ma nemmeno le caserme o gli spogliatoi sportivi, ormai ci credono più di tanto. No, a modo suo Vieri, voleva alludere a virtù estraorganiche, tipo l'onore e la dignità. E non è colpa sua se con quella complessione fisica, e quell'espressione da buttafuori ingrugnito, le frasi sentimentali gli vengono male.
Scommettiamo pure che nessun giornalista, sportivo e non sportivo, e soprattutto che nessuno dei nostri lettori, si suiciderà in seguito allo sconvolgente annuncio di Vieri dal Portogallo, alla vigilia dell'indecorosa eliminazione dell'Italia dagli Europei: "Non parlerò mai più". Magari fosse vero! Speriamo proprio sia così. Del resto, che cosa ha detto in passato e potrebbe dire d'utile, d'interessante, d'intelligente, questo pallone confiato, questo supermiliardario annoiato, questo bisonte azzoppato e imbolsito?
Prendiamo per buona la promessa di Vieri, simbolo e incarnazione d'un calcio malato come quello italiano, augurandoci di non essere più costretti ad ascoltare e registrare i suoi vaniloqui, i suoi piagnistei e le sue geremiadi. Anzi, in caso contrario, dovremmo praticarlo noi il silenzio stampa nei suoi confronti d'ora in poi le banalità e le stupidaggini che è capace di proferire per limitarci semmai a descrivere e commentare le sue gesta sportive, peraltro sempre più rare e modeste. Lui sì che è un vero uomo, più uomo di tutti noi messi insieme, uno che ogni mattina si può tranquillamente guardare allo specchio, per ammirare le proprie fattezze.
Se non fosse anche colpa nostra che abbiamo costruito questi campioni di chiacchiere, questi idoli di cartapesta, quasi eroi di pasta frolla, strapagati anche in funzione della loro esposizione sui media, bisognerebbe chiedere all'Ordine professionale e alla Federazione della stampa di protestare ufficialmente con il Coni e con la Federcalcio.
Ma forse non ne vale neppure la pena. Sarebbe tempo perso. Resta il fatto, però, che il governo dello sport dovrebbe intervenire motu proprio (non c'è bisogno di tradurre perché Vieri ha studiato al Cepu) per sanzionare comportamenti che in campo e fuori non fanno onore alla maglia della Nazionale, alla bandiera italiana, all'immagine del nostro Paese. Né tantomeno a quei poveri disgraziati che vanno ogni giorno al porto, in fabbrica o in ufficio a guadagnarsi il pane o rischiano la via a Nassiriya.
C'è solo da sperare che prima o poi lo stesso meccanismo mediatico che ha prodotto questi mostri, riesca in una sorta di nemesi, ad abbatterli e a distruggerli. Quanti altri telefonini si venderanno con un testimonial come Vieri? Quale azienda, quale brand affiderà la propria immagine pubblicitaria a uno sputacchione come Tottigol? E visti gli effetti sul campo, chi consumerà più quell'acqua minerale che bevono abitualmente Del Piero, gli azzurri e l'uccellino
perennemente assetato?
Il guaio è che la malattia del calcio è una metafora dell'Italia di oggi, della società in cui viviamo, della realtà virtuale che ci circonda. Un'allegoria, squallida e triste, d'un Paese in declino. Un maxispot sulla nostra crisi collettiva d'identità. Certo anche i giornalisti sbagliano e chiunque ha il diritto di smentire, di rettificare o anche di querelare, per difendere legittimamente la propria reputazione, il proprio onore, la propria privacy. Ma se perfino un Bobo Vieri qualunque può insultare impunemente tutta la stampa italiana, solo perché qualche cronista ha riferito d'un insignificante diverbio (vero o falso) negli spogliatoi, vuol dire che ormai abbiamo toccato il fondo e non solo sul piano calcistico.
P.S. BISCOTTO
Ciò che temi, lo prepari: così gufava Cesare Pavese, lasciandoci un monito cui non è possibile scampare. E ora anche il temuto "biscotto", il fatal due a due fra Danimarca e Svezia, è stato puntualmente confezionato. Nella pasticceria della scorrettezza era ovviamente nota la torta: ma il biscotto, a quanto è dato saperne, era inedito. Biscotto, perché? L'unico uso gergale della parola "biscotto" finora attestato era osceno, e chi lo conosce il dialetto milanese e i suoi modi di dire può allietarsi l'animo con una variante biscottata, rimata e grossolanamente sarcastica di "prendi su e porta a casa". Però è anche vero che negli ultimi anni si è chiamato "biscotto" persino un prosciutto: evidentemente il biscotto non è sempre quel che appare. Una pista numerologica farebbe notare la coincidenza del due: due a due il risultato temuto, due volte cotto il biscotto. E forse è stata anche due volte cotta la Nazionale: una volta dall'interno (liti, tensioni, scarsa resa) e una volta dall'esterno (la combine scandinava). "Ciò che temi lo prepari", come voleva dimostrare Cesarino Pavesino.
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30/06/2004
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