Luomo immobile: secondo sorprendente romanzo di Enrica Bonaccorti
San Benedetto del Tronto | Si è tenuto, presso lHotel Sporting di San Benedetto nellambito della manifestazione Scrittori sotto le stelle, la presentazione del libro Luomo immobile, alla presenza dellautrice, Enrica Bonaccorti.
di Maria Teresa Rosini
Bonaccorti (foto Cellini)
Si può essere immobili in molti modi. Nel caso di Paolo, protagonista della seconda prova narrativa della poliedrica Enrica Bonaccorti, il silenzio e l'immobilità sembrano una predestinazione.
Immobile e silenzioso nel subire l'ingiusto rapporto con una moglie imposta da un beffardo e crudele matrimonio riparatore, lo diventerà definitivamente a causa di un incidente che lo porterà in un letto d'ospedale, paradossalmente cosciente e consapevole della finta vita che ha condotto fino a quel momento quando è ormai prigioniero di un corpo che non può più utilizzare per parlare, per muoversi, per esprimersi, per compiere scelte.
Che ne è di un corpo che perde le sue funzionalità intenzionali? E' la domanda intorno alla quale ruota il libro.
Oggetto di diagnosi incerte o inappropriate, ostaggio di una famiglia spesso offuscata dall'angoscia e incapace di compiere le scelte più giuste e di medici ostinati o indifferenti, non sempre all'altezza morale del loro compito, diventa, facilmente, un "caso", un' identità sospesa tra morte e vita, un fardello pietosamente deposto in luoghi connotati dall'assenza di speranza.
Su tutto questo la Bonaccorti sembra voglia scuoterci e invitarci a pensare.
Lo fa introducendo nel romanzo tutti gli elementi scientifici utili ad inquadrare la realtà, complessa e in molti casi sconosciuta, che si cela dietro le sentenze terribili di "coma" o di "stato vegetativo".
Come la sindrome del Locked-in o del chiavistello, in cui ad una piena consapevolezza di sé, sia emotiva che razionale, corrisponde una completa incapacità di muoversi e comunicare se non attraverso il movimento delle palpebre, veicolo fragilissimo di un pur minimo contatto con gli altri solo se qualcuno sia lì a raccogliere la disperata richiesta di ascolto.
L'autrice sembra voler riportare il discorso circa il fine-vita e i terribili interrogativi e incertezze che ne sono il corollario, ad una questione di relazioni personali, alla capacità di ascoltare empaticamente chi si trova in una condizione che non fatichiamo a immaginare come terribile.
Una rete di rapporti ha al suo centro la vita- non vita di Paolo. Una moglie venale e insopportabile, un'amante, come lui medico, appassionata e coraggiosa, tre medici ciascuno dei quali appare condizionato da una variabile di personalità sempre così determinante nello svolgere le proprie funzioni professionali, in qualunque contesto esse si compiano.
Tra l'ignavia del dottor Zappalà, l'entusiasmo e la passione professionale del dottor Sussi, il rigore scientifico e il coinvolgimento emotivo del ricercatore Cesare Balbi, la vita di Paolo è come sospesa, in balia del caso che fa incontrare e scontrare affermazioni e decisioni in grado di essere determinanti per la sua sorte.
Nonostante la scrittrice abbia iniziato a scrivere il romanzo nei mesi precedenti l'esplosione mediatica del caso Englaro, sviluppando un racconto relativo ad una storia realmente accaduta (su racconto di uno zio ex direttore di un centro per malati in stato vegetativo), nello svolgersi della vicenda l'autrice lascia trasparire completamente il suo pensiero e i suoi dubbi:
quanto decidere di lasciar morire qualcuno è davvero legittimo? Possiamo davvero, allo stato attuale delle conoscenze, decidere per l'esistenza di un altro individuo? Possiamo avere, nelle variabili attraverso le quali ogni caso si definisce, piena certezza di interpretare quella che sarebbe la volontà di chi è immobile?
Parte del dibattito col pubblico si indirizza proprio su questi temi e su di esso non può non influire la vicenda Englaro.
Come trasformare azioni o omissioni che attengono all'etica e alle personali visioni del mondo degli individui in disciplina legislativa, in diritti, regole, doveri? Un compito insidioso cui le esasperazioni dei toni e le esagerate polemiche pubbliche circa le disposizioni sul fine vita non giovano.
Alla fine ogni malato è un caso a sé e molto del suo destino dipende dalle persone, familiari e medici, da cui è circondato. Dai legami intensi e profondi attraverso i quali tutti siamo collegati ad altri individui, da quanto o quanto poco siamo capaci di amare e comunicare con i nostri simili.
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20/07/2010
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