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“La misteriosa fiamma della regina Loana”

| L’ultimo romanzo di Umberto Eco da Cartesio a Kubrick

di Giovanni Desideri

L’ultimo romanzo di Umberto Eco non è un giallo. Possiamo quindi dire come va a finire, certi di non guastare alcunché a chi non l’avesse letto ma se lo ripropone di qui all’eternità. Per esempio il piacere della lettura stessa (effetto) della scrittura “bonaria” di Eco (causa): generosa, questa, come il saio e il sorriso di un frate. Trattandosi però di amarcord e biografia e commozione implicita nel ricordo dei tempi che furono, qualche detrattore potrebbe parlare di senilità e riassumere il libro come un elogio del “si stava meglio quando si stava peggio” o “di quelli sì erano bei tempi”. O come lo sguardo del frate di prima, pieno di pietà per la commedia umana e le sue contraddizioni. De gustibus.
 
Come la Gallia, il romanzo è diviso in partes tres, durante le quali, pari pari, il narratore compie un viaggio alla ricerca del tempo perduto. Come aiutino (lo annuncia già il sottotitolo), illustrazioni a schidionate. Ça va sans dire: gli anni mitici, nel senso letterale della parola, sono quelli dell’infanzia e della giovinezza del narratore, che si chiama Giambattista Bodoni (o come dicevan tutti Yambo), dal 1932 in avanti, l’anno di nascita di Eco. Yambo di professione fa il libraio antiquario. Per dire: non il fruttivendolo, non sarebbe stato abbastanza autobiografico (Eco noto bibliofilo) e avrebbe reso meno fedele l’imitazione della Recherche di Proust e meno sovrapposti realtà e finzione.
 
E infatti nel libro si ritrovano molti elementi noti del mondo di Eco. Alcune sue passioni: p.e. per i libri antichi, appunto, o per le donne. O alcune “Bustine di Minerva” pubblicate sull’Espresso: tale l’aneddoto legato ad un compagno di scuola di nome Bruno, forse stilizzato a Franti deamicisiano (già in Diario Minimo), fiat dell’antifascismo del narratore (a sua volta quasi un De Rossi).
 
Il flusso ininterrotto dei ricordi si libera e si organizza a partire da un paio di incidenti occorsi al narratore. Il libro si apre infatti con Yambo ricoverato in ospedale. E se le sue pagine (del libro!) sono zeppe di citazioni (in appendice viene fornito un elenco di Fonti delle citazioni e delle illustrazioni, lungo cinque pagine fittamente riempite), il percorso delle tre parti del romanzo può essere visto come ispirato ad altri autori o ad altri meccanismi non citati. Con tutto che il libro ostenta quel funzionamento del segno come enciclopedia che è la più nota teoria di Eco (almeno dal Trattato di Semiotica Generale del 1975) e sembra aspirare più ad una onnivora onnicomprensività, che ad essere un’opera aperta. Sembra anzi una casa chiusa, non solo quella di Solara (provincia di Alessandria, città natale di Eco), in cui Yambo va a recuperare il suo passato e trova tutto ciò che gli serve curiosamente in ordine e in attesa di essere riscoperto. Ma anche nel senso proustiano, in quello della quinta parte della Recherche (La prisonnière), in cui Proust, come già Racine, tenta di fare “qualcosa con niente”, chiuso al mondo esterno, vivo solo per suggestioni che arrivano dalla strada (i celebri gridi di Parigi) e i ricordi.
 
L’inizio del libro (prima parte: “L’incidente”) prende a prestito lacerti di scienze cognitive, che tornano poi utili di tanto in tanto, per esempio nella terza parte, con la citazione del noto esperimento mentale di Hilary Putnam del cervello nella vasca (l’uomo potrebbe essere un cervello immerso in una soluzione chimica e avere solo l’illusione di ciò che chiama “mondo reale” o "mondo esterno", tramite stimoli che riceve in tale condizione). L’argomentazione di Putnam è rivolta a confutare lo scetticismo.
 
Non a caso, una impressione che si può ricavare proprio dalle prime pagine è quella di un gesto cartesiano da parte di Eco (già tentato nella ricostruzione del mondo del naufrago ne L’isola del giorno prima): il gesto delle Meditazioni metafisiche, di ricostruzione della conoscenza dopo aver fatto tabula rasa, così come Yambo deve riapprendere il mondo dopo l’incidente.
 
In mezzo (seconda parte: “Una memoria di carta”) un mare di ricordi (e illustrazioni). Con anche un episodio dalla Resistenza. E soprattutto una quantità di oggetti che non si può non pensare a certe scene di "Fanny e Alexander", il film di Bergman (1982).
 
Poi la terza e ultima parte (“Oi nostoi”): dopo Proust e Cartesio, dopo la ricerca del tempo perduto, il viaggio prosegue verso un finale che sembra quello di 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. In alternativa: come il finale di Otto e mezzo di Fellini. Il narratore ci parla dalla sua condizione vegetativa che segue un secondo incidente. Tutti i personaggi reali e soprattutto immaginari della pop art precedente (i prodotti commerciali, le canzoni e i moltissimi fumetti del tempo perduto, quest’ultimo un altro elemento caro ad Umberto Eco), formano ora un girotondo felliniano. Tout se tient (o vorrebbe tenersi, nell’Opera d’Arte). Yambo risale alle origini della vita, sua propria e del cosmo, in un flusso che è quello dell’astronauta di Kubrick. Il monolite viene appena sostituito con altro. Le ultime parole del libro: “Sento una folata di freddo, alzo gli occhi. Perché il sole si sta facendo nero?”
 
Ps: nel libro si spiega che Loana è un personaggio dei fumetti.

25/07/2004





        
  



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