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Certe notti qui. II Parte

San Benedetto del Tronto | I giovani e le palme tra Pasolini, Pazienza, Piovene e altri

di Giulio Troli

Ne "Il mare d'Italia", Jack La Bolina, scrittore vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, così definì i pescatori sambenedettesi:

"audacissimi tra gli audaci, ignorantissimi tra gli ignoranti."

Nonostante infatti la cittadinanza si sia sempre dimostrata indolente e culturalmente debole, ha però, in più di un'occasione, manifestato tutto il proprio risoluto coraggio e spirito d'azione, si prenda ad esempio l'insurrezione popolare del 1970 per la tragedia del Rodi, o più semplicemente, la tifoseria rossoblù che da decenni segue con estrema passione le vicende calcistiche della sua squadra sia nella buona che nella cattiva sorte, senza mai far venir meno il suo appoggio.

San Benedetto del Tronto è una città dall'enorme potenziale, purtroppo assopito, e che solo in pochi e rari casi riesce a risvegliare; penso ad esempio alla Festa della Madonna della Marina in cui la tradizione torna a coinvolgere il presente, attirando centinaia di persone sulla spiaggia ad ammirare gli splendidi fuochi d'artificio; oppure alla Notte bianca nella quale un'improponibile moltitudine di gente si riversa nelle strade.

"Sono così diversi da tutti gli altri delle Marche, da costituire una specie di colonia e di razza a parte. Di fronte al marchigiano quieto, abitudinario, classico, gli abitanti di San Benedetto sono fantastici, violenti, pronti alla rissa, ed hanno anche nel fisico qualcosa di orientale e di saraceno. Quelle caratteristiche di colonia eccentrica, diversa dalla terra che li circonda, proprie in generale dei porti, si scorgono perciò più nella piccola San Benedetto del Tronto che nella grande Ancona."
G. Piovene, Viaggio in Italia, Milano, 1957

E' proprio da questo spirito audace che la città dovrebbe ripartire, ed i giovani da questo punto di vista non possono che costituire una grande ricchezza, una fresca ventata nuova, un'iniezione di adrenalina. Il terreno è fertile, ma lo si lascia seccare.
Se la gioventù è incapace di rialzarsi autonomamente da questa paralysis, questa condizione di inerzia cronica, di cambiare e imbarcarsi come l'Eveline nei Dubliners di Joyce, è compito delle istituzioni e del resto della società aiutarla in quest'ardua impresa. Sarebbe sufficiente anche solo accendere una scintilla, per provocare un incendio. Si è seduti infatti su una polveriera pronta a esplodere; la storia, ma anche i fatti di cronaca recente mettono bene in guardia la società mondiale dal reprimere il vitalismo delle giovani generazione. Innumerevoli movimenti giovanili si presentano ogni giorno sulla scena mondiale contestando il mal operato dei "più vecchi".
E' sbagliato allora inibire l'energico dinamismo della giovinezza di una città che deriva proprio il suo nome da un giovane martire, che tra i suoi monumenti più invidiati annovera quello dedicato al gabbiano Jonathan Livingston, simbolo dei valori libertari e anti-conformistici, e che ha dato i natali a uno dei più importanti geni artistici dei nostri tempi: Andrea Pazienza.

"Abitavamo a San Severo in un appartamento del centro e i miei figli erano stati educati con le regole di un papà piuttosto severo. San Benedetto era sinonimo di svago non solo per il mare, ma anche per l'ampiezza della casa che ci ospitava e per la spazio circostante disponibile. Andrea indossava le ciabatte infradito, una canottiera e un paio di pantaloni corti e questo era il suo abbigliamento finchè non si tornava a casa. Dopo il mare si metteva alla ricerca dei vermi per pescare e poi di corsa al molo per lunghe battute di pesca con la canna sugli scogli"
la madre di Andrea, Giuliana Di Cretico

"Per noi scolari c'era la possibilità di riscattare nove mesi di clausura scolastica. Libertà di vestire senza regole, di scorrazzare per la spiaggia, per la campagna, nella fabbrica di cartoni dello zio Mario. [...] La nostra libertà era assoluta."
Il fratello di Andrea, Michele Pazienza

Come emerge dai ricordi dei parenti, San Benedetto, per il giovane Pazienza era libertà di movimento e freschezza di esperienze.
Proprio in Zanardi, forse il personaggio più famoso partorito dalla mente stravagante dell'artista, si evidenzia l'emblema di questo disagio giovanile, provato da una generazione tradita e abbandonata dalla società. Il male, la cattiva azione, l'irresponsabilità non sono altro che la degenerazione della noia.

"Mi chiamo Massimo Zanardi, ho 21 anni e peso circa 68 chili. Mia madre è vedova, e ho una sorella più piccola di cinque anni. C'è uno zio, fratello di mia madre, che provvede a noi. E' proprietario di una concessionaria Alfa Romeo e scapolo. Io gli sono piuttosto affezionato. Fu lui a regalarmi la Golf decappottabile nera, che ho fatto fuori l'anno scorso. Da allora giro a piedi. Non sono un mangione, così come non ho vizi particolari, fumo una decina di sigarette al giorno, e quasi mai di mattina. Mi drogo quando capita, con quello che c'è.

Questo, diciamo, nella normalità, che capita ogni tot come fatto eccezionale.
Siccome non ho alcun rispetto del mio corpo, e godo di una salute di ferro (mai un'epatite!) trascorro la maggior parte del mio tempo a stravolgermi, sicché se un giorno bevo un'intera boccia di Bacardi, la notte può capitare che fumi sessanta sigarette, così come non ho orari nel mangiare e a pensarci bene credo di mangiare effettivamente solo una volta ogni due giorni, di notte, a casa mia o di altri, la testa infilata nel frigo a ingollare cose gelate, non ho del resto gusti difficili, anche se amo troppo la trippa in scatola."
Dall'autobiografia di Zanardi scritta da Pazienza nel 1983

Gli atteggiamenti percepiti come incivili o degenerati, non sono che il sintomo di una vita tediosa e che scarseggia di vere alternative.
Molti giovani della notte sembrano fuoriusciti da un romanzo di Tondelli, cercano di evadere da una vita dall'encefalogramma piatto, una non-vita priva appunto di prospettive interessanti, immersa per di più in un'atmosfera provinciale, quando al contrario San Benedetto avrebbe le carte in regola per essere tutto meno che una città provinciale.
San Benedetto ha il mare. Prendendo spunto allora dal finale di "Altri libertini" di Tondelli, in cui lo iodio miscelato nell'aria risveglia nel narratore lo spirito di libertà e la voglia di viaggiare, una città di porto ha il vantaggio di avere sempre lo sguardo rivolto verso un orizzonte libero. Il mare è una finestra sul mondo.
In una sequenza del film "Il grande Blek" (1987) di Giuseppe Piccioni, ambientato ad Ascoli Piceno, i due giovani protagonisti (Sergio Rubini e Roberto De Francesco) alla fine di una notte brava si trovano seduti in spiaggia -quella sambenedettese - e osservano le prime luci dell'alba ragionando sulle loro delusione amorose. Ad un certo momento sopraggiungono alcune persone, i ragazzi infastiditi dalla presenza dei nuovi arrivati decidono di andarsene nonostante si tratti semplicemente di una coppia di anziani che passeggia sulla riva:

"- Ma questi chi sono? Fantasmi? Oh, si svegliano presto eh!
- Andiamo! Dai, forza!
- Ma dove andiamo?
- Io a questi [i vecchietti] non li sopporto! Dai andiamocene!
- Ma che ti prende?
- Io vecchio non ci diventerò mai!"

Dialogo tra Yuri e Razzo

E' difficile, se non impossibile, placare il naturale conflitto tra età differenti, ma è responsabilità delle generazioni meno acerbe tracciare il cammino per quelle che seguono e lasciare ai posteri un mondo in cui si possa vivere decentemente. Per questa ragione diviene difficile per molti giovani trovarsi in una città che non ne riconosce lo statuto, privilegiando di volta in volta o i troppo giovani (si vedano i vari giochi organizzati nelle strade) o i troppo vecchi, si pensi allora come il massimo evento dell'estate, dal titolo "L'Antico e le Palme", possa così smuovere folle di giovani.

La corda da lanciare, per salvare una generazione che sta lentamente affondando inerme nelle sabbie mobili, consiste quindi nel creare possibilità ed eventi che permettano ai giovani di convogliare tutte le loro illimitate energie inespresse verso un fine positivo e utile. Investire sui giovani significa allestire eventi ed opportunità d'incontro: penso ad esempio a festival, laboratori, rassegne culturali o a pure occasioni di svago "positivo" (utilizzo questo termine nell'accezione positivistica cioè efficace, produttivo, utile alla società e al singolo individuo; il divertimento per il divertimento, la distrazione fine a sé stessa privata da ogni dovere morale e civile, può essere una scelta, ma non offre alcuna chance di progresso alla comunità, obbligandola così, come si è visto in questi tempi, a una inevitabile ristagnazione) che riescano a impiantare una fucina per l'avvenire.

E' vero anche che il turismo sambenedettese è stato sempre prettamente familiare, ma ciò non comporta il completo oblio di una fascia d'età di cittadini.
"Eppur si muove" direbbe Galileo. A onor del vero però è giusto ricordare che eventi culturali, musicali e teatrali indirizzati anche ad un giovane pubblico esistono e vengono organizzati, ma molto spesso vengono riempiti quasi esclusivamente dai soliti over 40; questo certamente a causa della virale indifferenza diffusa tra i giovani, ma forse anche di campagne d'informazione deficitarie che non tengono conto dei mezzi di comunicazione moderni e delle strategie, fondamentali, per creare appeal in una fetta di società per nulla sensibilizzata a certe iniziative.

Lo scopo che spero possano assumere le mie parole è quello di rendere manifesto un malessere diffuso, spesso sconosciuto o peggio, volutamente dimenticato e di ipotizzare inoltre alcune possibili vie di fuga per una città che non può solo essere "un paese per vecchi"; e se l'equazione di Shopenhauer, ricordata nella prima parte, secondo cui la storia di un regno è la stessa di un villaggio, è ancora valida, ciò che abbiamo detto per San Benedetto può anche divenire un paradigma per l'Italia intera.

 

31/07/2012





        
  



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