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Grecia sull'Olimpo

| Charistaes, una testa d'oro. Al Portogallo solo le lacrime

di Tonino Armata

Se Figo e Cristiano Ronaldo avessero corso sulle fasce come l'invasore solitario che a tre minuti dalla fine ha dribblato cinque agenti per poi schiantarsi in rete, lui e il suo buffo berretto da jolly, in una specie di "gol umano", la coppa d'argento l'avrebbero vinta di sicuro. Invece il tizio è stato l'unico oggetto che è finito nella porta greca. Il pallone vero e definitivo, quello grande come la più incredibile delle notizie, lo sbatte dentro Angelos Charisteas dopo 57 minuti. E Lisbona diventa come Rio de Janeiro nel '50, quando gli uruguayani andarono a prendersi la Coppa Rimet in casa dei padroni del mondo.

Alza dunque il trofeo un greco con il nome da eroe dei fumetti, il già leggendario Capitan Zagorakis. E la tradizione epica della sua terra aggiunge un mostro mitologico alla nutrita collezione classica: ben più crudele del Minotauro è il Polipone, bestia a undici tentacoli capace di addormentare qualunque avversario e poi avvelenarlo.

Quella che doveva essere una storica festa popolare si è trasformata in una tragedia sportiva, proprio come nella partita inaugurale. La Grecia, trentacinquesima nella classifica Uefa, ha in pratica tirato una sola volta in porta, ma i rossoverdi erano paralizzati dall'attesa, dal sogno già vissuto prima che diventasse vero, e sono i sogni che fregano di più: quelli che ci s'immagina da svegli (vedi i sognatori del Cavaliere). Ai portoghesi sono mancare le stelle (Figo, Deco, Ronaldo, Rui Costa), ai greci non è mai mancato il coraggio dell'impossibile, una virtù che forse non cambia la storia tecnica del calcio ma permette ai temerari di vivere alla grande.

Il trappolone scatta subito, con la precisione delle cose un po' noiose. Le ventose di Kapsis, Fyssas, Seitaridis e Katsouranis s'incollano ai corpi non proprio sguscianti di Pauleta, Figo, Ronaldo e Deco. L'insalata di polpo è un grande agitarsi di tentacoli a centrocampo, dove la partita s'intasa. Ma non è un oceano, è un acquario. Così trascorrono lunghi ed estenuanti minuti prima che accada qualcosa, ad esempio un destro di Muguel schiaffeggiato in angolo da Nikopolidis. E' il 14'. Due minuti dopo, un'avventurosa uscita di Ricardo su Charisteas potrebbe anticipare tragedie, però la palla s'incolla lì.

Il disegno della finale non offre nulla che non ci si aspettasse. Solo il Portogallo è troppo frenato rispetto all'uragano che in teoria dovrebbe soffiare alle sue spalle. Mancano le ali, Figo e Ronaldo spariscono, Deco non incide, persino Maniche corre meno del solito. I creativi non creano niente (come il ministro silurato dal Cavaliere). A metà tempo c'è posto per l'umorismo, quando Fyssas e Kapsis si sbattono contro e quando Pauleta tenta uccidere con una zampata il povero suo compagno Miguel, un predestinato: poco più tardi Giannakopoulos gli spazzolerà una costola e gli toccherà uscire. Solo un destro di Maniche al 23' increspa un po' la superficie immobile dell'acquario.

Come storditi dall'attesa, e da una storia memorabile ancora da scrivere, però con l'obbligo di scriverla alla perfezione, i portoghesi tornano in campo imbambolati. E tutto quello che gli riesce sono un paio di grotteschi tuffi in area da parte di Dego. L'arbitro ne ha pietà e non lo ammonisce per simulazione. Tutto fermo, impantanato, così il polipone greco diventa la solita bestia velenosa e lo fa abbastanza presto: 57' minuto, angolo di Basinas per la testa di Charisteas che nella vita fa la riserva nel Werder Brema, ma agli Europei è arrivato a tre gol. Difesa immobile, il centravanti greco è più alto del Partenone: uno a zero. Lo zio Felipao leva le mani dalle tasche e dice a Rui Costa, all'ultima partita in nazionale, di togliersi la tuta. Il faraone prende il posto di Costinha in pieno psicodramma.

Con il disegno un po' più razionale di Rui Costa, i rossoverdi provano a ritrovare un percorso ma è il momento più difficile per farlo. Così l'assalto diventa un nodo emotivo di cose: il destro respinto a Ronaldo dal portiere brizzolato, la collana di corner inutili, il pallonetto ancora di Ronaldino ma troppo alto, l'ingresso di Gomes che almeno elude quell'ameba di Pauleta. Intanto la gente si mette a urlare l'inno nazionale a squarciagola, come se fossero parole di una formula magica. Ne vien fuori solo un gran tiro di Carvalho, sul quale il George Clooney dei portieri si prende un bel po' di gloria.

Poi cala un silenzio pazzesco, i greci che cantano e quegli altri tutti zitti: come quando s'immagina il sogno più bello del mondo però da svegli, senza arrivare a sognarlo.

07/07/2004





        
  



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