Cerca
Notizie locali
Rubriche
Servizi

L’eredità di Caino

Ascoli Piceno | Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo

di Fabrizio Marini

 
Nel bel libro di Dan Kindlon e Michael Thompson, Intelligenza emotiva per un bambino che diventerà uomo, BUR, 2002, si fa riferimento all’episodio biblico di Caino per esemplificare il modello di comportamento assunto da molti giovani uomini. Caino ha subito un rifiuto dal Signore - i suoi sacrifici sono stati ritenuti inferiori rispetto a quelli di Abele – e, in virtù della sua incapacità di superare il sentimento di delusione scaturito, ha ucciso il fratello. In tale incapacità di leggere i propri sentimenti, dicono i due psicologi americani, risiede la causa della sofferenza che tanti adolescenti si portano dietro sino all’età adulta.

Abbiamo scelto di commentare questo libro perché vi è in esso una profondità e una ricchezza di esperienze di vita unite a una dura denuncia della cultura occidentale rispetto a ciò che si ritiene differenzi il mondo interiore femminile da quello maschile, che pochi altri testi hanno il coraggio di affrontare. I due psicologi non hanno scritto un trattato di psicologia ricorrendo a riferimenti teorici o di scuola, ma hanno “semplicemente” sintetizzato il vissuto di tanti bambini e adolescenti passati per i loro studi.
La tesi centrale dei due autori è: i bambini maschi vengono sistematicamente distolti dall’esaminare le proprie emozioni, a differenza di quanto si fa con le bambine, il che li costringe a bandirle dalla propria esperienza. Ne consegue che ogni qual volta avranno a che fare con la vergogna, la tenerezza e la rabbia si sentiranno inadeguati e si rifugeranno nel silenzio. Il risultato sarà la repressione di tali sentimenti e la loro conversione in odio verso sé stessi e gli altri.

Allora il comportamento conflittuale e la violenza sarà l’unico linguaggio con cui poter richiamare l’attenzione sulla sofferenza vissuta. Ma a questo punto quanti adulti saranno in grado di leggere in questi comportamenti la spia di un disagio piuttosto che l’espressione di una selvaggia natura maschile (così come gli stereotipi insegnano)? Le altre tappe di tale tragica dinamica sono il ricorso all’alcol o alle droghe, e la caduta in stati depressivi.
L’allontanamento dal mondo dei sentimenti inizia in famiglia e continua a scuola, anche se i comportamenti dei genitori e degli insegnanti che provocano tale isolamento emotivo nel maschio, sono spesso inconsapevoli, frutto di una cultura popolare acriticamente accettata.
            Mentre le bambine vengono stimolate a ricercare le cause che generano le emozioni e richiamate a sperimentare la compassione, l’empatia e l’affetto, i bambini sono ritenuti insensibili a tali richiami. Vengono trattati in modo crudo, sgridati (se non picchiati) perché si pensa che reagiscano meglio a un tipo di educazione basato sulla forza. In altre parole si ritiene che i ragazzini siano in nuce quegli uomini tutti dediti alla competizione, al controllo e al successo, caratteri che vengono propinati come modello del comportamento adulto maschile.
            E’ bene subito sottolineare che tale approccio è falso. I bambini sono sensibili quanto le bambine e posseggono un ricco mondo emotivo pari a quello delle loro coetanee. E’ quindi completamente ingiustificato utilizzare metodi educativi non basati sulla ragionevolezza e sulla discussione delle norme. Se i bambini non vengono accettati riguardo al loro bisogno di amore, tenerezza, e di essere trattati con rispetto, comprenderanno che tali sentimenti in loro sono negativi, li reprimeranno, e svilupperanno negazione e rabbia verso coloro che li manifestano.
            I bambini hanno, è vero, un grado di attività fisica maggiore rispetto a quello delle bambine, ma a tale attivismo viene data una valenza negativa, come se fosse espressione di una aggressività innata, quando invece fa parte della naturale espansione verso l’ambiente del giovane maschio. Il fatto che le scuole interpretino malamente tale bisogno di attività, reprimendolo, fa sì che i bambini conoscano le prime forme di autosvalutazione e vergogna nei confronti di sé stessi.
            L’aggressività manifestata da molti adolescenti è allora il risultato di un modello educativo tutto volto a distogliere il ragazzo dal vasto repertorio emozionale, che pure possiede, in nome di una rozza disciplina basata sull’imposizione esterna delle norme di convivenza. Che tale modello impositivo sia un fallimento non solo è un dato di fatto, ma insinua nel ragazzo la convinzione che la responsabilità morale non provenga da meccanismi di controllo interiori, ma dalle autorità esterne come il padre, l’insegnante, il poliziotto…
            E’ dunque la cultura a plasmare i comportamenti dei giovani. A questo riguardo è stato del tutto confutato il pregiudizio che vede nel testosterone la causa delle violenze negli adolescenti. Vi sono etnie, segnalano Kindlon e Thompson, in cui la violenza è totalmente assente: vedi i Semoi della Malaysia.
            Come se non bastasse quando i bambini in piena pubertà entrano nel gruppo dei pari devono confrontarsi con quella che i due autori chiamano la “cultura della crudeltà” ossia con quel repertorio di stereotipi che fa capo al modello della virilità a tutti i costi. E’ noto quanto gli adolescenti siano legati alle immagini della competizione sul piano fisico e sessuale con i propri coetanei.
La competizione è altresì esaltata nelle prove sportive dove il corpo è apprezzato se rientra nei canoni del successo esibito nelle prestazioni, piuttosto che nel suo naturale bisogno di esplorazione a tutto campo. Ne deriva che molti bambini non portati per l’ “atletismo” aggravino le sensazioni di inadeguatezza. L’immagine virile assunta a ideale rifiuta categoricamente ogni espressione di sentimenti che non sia inerente alla forza e al potere, e tende di conseguenza ad essere fortemente omofobica, ossia ossessionata dalla paura dell’omosessualità.

Ribadiamo che tale ideale della virilità, ribattezzato dai due scrittori il “Grande Impossibile”, non corrisponde al mondo interiore dei ragazzi che in cuor loro desidererebbero coltivare sentimenti di empatia e intimità, ma che sono costretti a reprimere pena la svalutazione e umiliazione della propria identità da parte della cultura omologata.
            Se gli strumenti con cui il ragazzo legge la realtà sono il potere e la competizione egli tende a interpretare situazioni anonime sotto il profilo della sicurezza come veri e propri atti ostili e a reagire di conseguenza. E’ per questo che i comportamenti violenti degli adolescenti non derivano da una intenzione predatoria ma dalla percezione di una minaccia: sono dunque atti difensivi.
            Nell’ambiente della terapia, dicono i due autori, i ragazzi pian piano riescono a parlare delle proprie paure, perché comprendono che quell’ambiente è un luogo sicuro, dove è possibile parlare di cose difficili. E’ strabiliante che molti ragazzi non trovino né in famiglia, né a scuola un luogo sicuro di questo genere e ci informa sul tipo di relazioni convenzionali che vigono nella nostra società.
            In questo articolo ho citato soltanto alcuni temi di un libro ricchissimo di spunti e di resoconti in prima persona raccolti dagli adolescenti in difficoltà, tuttavia desidero concludere con le condizioni che gli autori suggeriscono per instaurare un corretto rapporto educativo. La prima condizione è certamente quella di permettere ai bambini di avere una vita interiore e di approvare tutto il repertorio emozionale che manifestano, in modo che essi sviluppino un vocabolario emotivo atto a comprendere sé stessi e gli altri.
In secondo luogo è necessario da parte delle scuole accettare l’alto livello di attività dei bambini maschi e offrire loro luoghi sicuri dove esprimerla. Riportiamo dal testo la citazione di un preside: «E’ straordinario quanto lavoro facciano i ragazzi quando la ricompensa consiste nell’uscire all’aria aperta».  Una terza condizione fondamentale è quello di erodere il mito del coraggio fisico-militare propinato così efficacemente dalle pubblicità e altri media, sostituendolo o affiancandolo con il coraggio morale, quello ad esempio che ti fa correre in soccorso di un amico deriso o perseguitato dal branco.    
Infine è fondamentale trasmettere ai ragazzi la consapevolezza che essere virili non significa ignorare i sentimenti quali l’empatia, l’affetto e la compassione, tutt’altro. La flessibilità emotiva è fondamentale nell’instaurare una relazione solida con l’altro sesso. Se ai ragazzi viene suggerito un tipo di identità maschile che semplicemente non accetta sentimenti negativi come la delusione o l’insuccesso nel rapporto sentimentale, avremo uomini che reagiranno con aggressività a un rifiuto, sentendo minacciata la propria integrità.

Molti uomini delusi sentimentalmente si rifugiano per questo in relazioni di tipo esclusivamente sessuale. I due autori fanno notare che la prostituzione deriva proprio dal mito maschilista del controllo totale nella relazione, che consente all’uomo di difendere la propria identità legata al potere.                                           

24/08/2005





        
  



4+2=

Altri articoli di...

Ascoli Piceno

16/11/2022
Project Work Gabrielli, i vincitori (segue)
15/11/2022
800.000 euro per le scuole (segue)
14/11/2022
Tre milioni di persone soffrono di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (segue)
31/10/2022
Il Belvedere dedicato a Don Giuseppe Caselli (segue)
28/10/2022
Zero Sprechi, al via un progetto per la lotta agli sprechi alimentari (segue)
26/10/2022
Il recupero della memoria collettiva (segue)
26/10/2022
Giostra della Quintana di Ascoli Piceno (segue)
26/10/2022
Tribuna presso lo Stadio “Cino e Lillo del Duca” (segue)
ilq

Quando il giornalismo diventa ClickBaiting

Quanto è sottile la linea che divide informazione e disinformazione?

Kevin Gjergji