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Enrico Palandri: la letteratura, la musica.

San Benedetto del Tronto | Colloquio con l'autore, in riviera per presentare il suo ultimo libro "L'altra sera".

di Giovanni Desideri

Il suo libro di maggior successo, Boccalone, uscì nel 1979, quando aveva 23 anni e brani di quel libro sono oggi riportati in diverse antologie della letteratura italiana, esempio di un'arte che tentava nuove strade, uno dei libri che hanno aperto la stagione letteraria dei nuovi autori negli anni ottanta.

Ha frequentato il Dams di Bologna (1975-1979), dove ha studiato tra gli altri sotto la guida di Celati, Scabia, Eco, Giuliani. In quegli anni, con lui al Dams, ci sono anche Andrea Pazienza, Pier Vittorio Tondelli, Freak Antoni, Giacomo Campiotti, I Melquiades di Bustric.

Enrico Palandri, ha oggi 47 anni e insegna 'Letteratura contemporanea' all'Università di Londra. A San Benedetto presenta il suo ultimo libro, intitolato L'altra sera (Feltrinelli, Milano, pp. 160, 13 €), incontro con il pubblico avvenuto ieri sera, giovedì 21 agosto, in viale Secondo Moretti, di fronte alla fontana 'Sberleffo' di Nespolo.

L'evento era organizzato dalla libreria 'la Bibliofila', in collaborazione con la Confesercenti e il Sindacato Italiano dei Librai.

Da quale idea nasce la storia raccontata nel suo ultimo libro, L'altra sera?
L'idea era quella di mostrare la vita quotidiana sotto molteplici punti di vista, principalmente dal punto di vista dei diversi personaggi del libro. Ho voluto mostrare i loro amori, le loro aspettative, il confronto con il passato, elementi sempre in movimento e mai statici. Ma non è soltanto un libro sulla loro psicologia, perché questi personaggi sono costantemente confrontati con la società, globalizzata, in un Paese cui non appartengono completamente. Penso, evidentemente, al protagonista del libro, Giacomo, un giornalista italiano, che arriva a Parigi per seguire i mondiali di calcio e per incontrare di nuovo la sua ex moglie, Pauline. Ma penso anche ai loro figli, Francesca e Gianni, francesi per metà e dunque in bilico tra due Paesi.

I personaggi del suo libro compiono un'esperienza di spaesamento?
Questo accade al momento del loro arrivo a Parigi, alcuni anni prima rispetto al presente di cui il libro parla. L'ambientazione 'non italiana' del libro mi è servita invece per mostrare quell'esperienza necessaria di auto-osservazione che solo il contatto con un Paese straniero può dare. Ed è un'esperienza fondamentale per comprendersi e magari per migliorare i propri difetti. Io stesso vivo da 23 anni a Londra con la mia famiglia e conosco molto bene questo situazione di confronto con gli 'altri'.

Uno dei personaggi che lei ha citato, Francesca, è una violoncellista. E nel suo libro non è l'unico riferimento alla musica: il libro è stato scritto con un'attenzione particolare alla musica?
Senz'altro la musica ha un ruolo importante nella mia stessa vita. Da autodidatta e con risultati diversi ho imparato a suonare tre strumenti, il pianoforte, il violino, la chitarra, anche se oggi non suono più molto il violino, per l'impari confronto con mio figlio di 11 anni, che lo studia più seriamente e con risultati migliori dei miei! Detto questo il libro si avvale in maniera determinante della musica. Il personaggio di Francesca non esisterebbe affatto senza la conoscenza di uno strumento musicale, che rappresenta per lei una disciplina e un modo di stare al mondo. Tutto il contrario di suo fratello Gianni, che se pure suona uno strumento, non lo fa con metodo ed affronta invece il mondo nel modo tipico di un giovane poco più che ventenne: contestandolo, seguendo idee come nuvole. Alla Diderot.

Ad un certo punto del libro, durante alcuni incidenti tra tifosi e polizia, Francesca si rifugia in un negozio di legumi, di cui è titolare il signor Arouet, che impreca perché i tifosi gli danneggiano il negozio. Ma Arouet, come è noto, era il vero nome di Voltaire: la fede nei Lumi ridotta ad imprecare e a vendere granaglie?
Smascherato! È vero, il nome del commerciante era una specie di piccola rivalsa che ho voluto operare nei confronti di Voltaire, io che invece parteggio per Rousseau. Quest'ultimo è una figura più introversa, meno solare, persino contradditoria: uno che scrive trattati di pedagogia, affidando però i propri 8 figli a brefotrofi! Le sue Confessions sono un testo che amo moltissimo.

Veniamo dunque ai modelli cui lei si è ispirato. Il libro racconta una vicenda che si svolge nel corso di una sola giornata. Il luogo è una grande città, Parigi, in cui i diversi personaggi si muovono lungo strade e scorci identificati con molta precisione e dando vita a lunghi flussi di coscienza. Opera sulla sfondo il modello di Joyce?
I paralleli sono diversi, in effetti. Ma non è a Joyce che ho voluto ispirarmi. Prediligo piuttosto modelli come Proust. Cambiando ancora area, poi, ritengo che il più grande di tutti, nel novecento, sia stato Kafka, uno scrittore davvero incommensurabile. Ma vorrei anche dire, infine, che la sperimentazione letteraria non è per me un valore in sé. Nel gruppo di cui facevo parte, al Dams, abbiamo spesso contestato lo sperimentalismo o il formalismo del 'Gruppo '63', favorendo una ricerca meno legata a gerghi giovanili o di altro tipo ed operando in maniera più silenziosa. Questo mio ultimo libro è frutto di questa ricerca. Sono stato felice, per esempio di rispettare finalmente, le tre unità aristoteliche, di tempo, di luogo e di azione.

E la letteratura appare davvero come un terreno sul quale Palandri si muove con vivo piacere: con grande agio, senza pesantezza, con il gusto di trovare la propria collocazione rispetto a correnti e ad altri autori. Ma la sua attenzione, in città, è pure attirata dalle sculture del centro, dai luoghi e dalle persone. Gli amici e le opere: da Marida Di Francesco a Tullio Pericoli, dalle opere di Ernesto Baj a quelle di Nespolo. E di questo… nel prossimo articolo!

22/08/2003





        
  



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