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Paolo Soriani e Roberto Kunstler: oltre le parole

San Benedetto del Tronto | Si è svolto con successo, all’insegna della bellezza, valore fondamentale e imprescindibile dell’arte, il primo appuntamento della rassegna letteraria e musicale In Art.

di Elvira Apone

Un momento dell'evento del 2 ottobre

Domenica 2 ottobre, presso il pub Medoc di San Benedetto del Tronto, si è svolto con successo, all’insegna della bellezza, valore fondamentale e imprescindibile dell’arte, il primo appuntamento della rassegna letteraria In Art, organizzata dall’associazione culturale Rinascenza, con la direzione artistica di Annalisa Frontalini. Tra il pubblico presente si respirava un’atmosfera di benessere e di appagamento, segno evidente dell’entusiasmo e dell’interesse con cui il messaggio di In art è stato accolto e recepito. Bellissime ed emozionanti le fotografie esposte dal fotografo musicale Paolo Soriani, ideatore e promotore del progetto Soriansky meets, in cui la fotografia incontra la musica e la pittura, immortalando grandi personaggi della musica jazz in un contesto visivo originale, inusuale e ben lontano da quello ufficiale. Ricca di spunti interessanti la conversazione moderata dal magistrato e poeta Ettore Picardi con Paolo Soriani, che ha esposto la propria idea di fotografia, e con l’altro ospite d’eccezione, il cantautore Roberto Kunstler, che ha parlato di sé e della propria arte anche attraverso il libro di poesie e canzoni “Primo treno”, e che poi, accompagnato dal violinista Andrea Libero Cito, ha deliziato tutti i presenti con il suo splendido concerto, anteprima nazionale del suo CD “Senza dire niente” di prossima uscita.

Non poteva esserci incontro migliore tra diversi generi artistici, in perfetta armonia con lo spirito di In Art, dove gli artisti ospiti si sono donati, condividendo con il pubblico il loro mondo interiore profondo ed eterogeneo.

A Paolo Soriani ho chiesto innanzitutto come è nata la sua passione per la fotografia.

P.S. “Devo ammettere di aver avuto molti stimoli all’interno della famiglia, tutti ovviamente legati al mondo dell’arte. Inoltre, ho sempre avuto una grande passione per la musica, per la letteratura e per l’arte visiva. Quando mio padre mi regalò la prima macchina fotografica mi appassionai molto, pur continuando comunque a studiare musica. Con il tempo, però, mi sono interessato di più all’arte visiva e alla rappresentazione visiva del mondo e, tra i vari interessi, alla fine ha prevalso la fotografia, che ho cercato di collegare alla musica, l’altra mia passione”.

“Infatti, proprio a questo proposito, volevo chiederti perché in particolare il jazz? Volevi fotografare personaggi della musica jazz che ti piacevano e che stimavi?”

P. S. “Ho convissuto con vari generi musicali, soprattutto il rock, in particolare negli anni ’70; poi la passione per il jazz mi ha portato a studiare per tre anni al Saint Louis di Roma. Il jazz è per me una musica più autentica rispetto al rock, un genere forse più plastificato. Ma è stato dopo aver incontrato personalmente Dizzy Gillespie e aver passato una giornata con lui che ho capito che non mi interessava solo fare delle belle foto ai grandi personaggi, ma soprattutto mi piaceva avere un rapporto diretto con quegli artisti”.

“Come è nato il progetto Soriansky meets? Per caso o c’è stata una volontà prestabilita?”

P. S. “Devo ringraziare innanzitutto i due artisti Chioccia e Tsarkova dello studio di pittura, che mi hanno dato la possibilità per tre anni di mettere insieme la loro arte con il festival Umbria Jazz, di cui a Orvieto si svolge l’edizione invernale. L’idea che è nata è stata quella di tirare fuori il musicista dalla sua torre d’avorio, dal suo contesto abituale e portarlo in un luogo, però, ugualmente stimolante, in cui si creasse una situazione di unicità, realizzando immagini frutto di un incontro che non sarà più ripetibile. Si tratta, dunque, di un progetto che mette insieme le opere e lo studio di un artista visivo con dei musicisti che si fanno ritrarre davanti a queste opere”.

“Pensi, quindi, che la pittura possa dare un valore aggiunto alla fotografia?”

P. S. “Io penso che l’incontro tra le arti sia sempre un fattore che crea un qualcosa di nuovo; può essere la pittura, la letteratura, o qualsiasi altro genere artistico. Io non credo nei campi, nelle divisioni; la multimedialità, in effetti, non è una novità. L’importante è che ci sia il desiderio di fare uscire qualcosa che sia il prodotto di uno stimolo e non di una semplice casualità”.

“Ci sono delle caratteristiche che una foto deve avere per essere considerata riuscita?”

P.S. “Deve emozionare, come ogni opera d’arte. A mio avviso, non esiste nessuna ricetta, altrimenti ciascuno copierebbe lo stile degli altri; ognuno deve trovare il proprio stile e confrontarsi con il mondo, che è poi l’unico a darti la risposta: se la gente si appassiona, si emoziona, allora sei sulla strada giusta, se, invece, rimane indifferente, allora vuol dire che qualcosa non va e che devi continuare a cercare”.

“Cosa rappresenta per te l’arte, e in particolare la fotografia?”

P. S.“È un nutrimento senza il quale non potrei vivere; non posso vivere senza avere un rapporto con l’arte, senza farla e frequentarla, senza interagire con essa. L’arte è il nutrimento dell’anima”.

“Come nasce una foto, c’è un percorso, un input o un progetto?”

P. S. “Un progetto è certamente importante, questo vuol dire non fermarsi solo al caso, ma trasformare il caso in qualcosa che è un’idea che poi, a sua volta, diventa qualcosa che si possa vedere e che dia valore alle singole immagini. La progettualità non deve essere necessariamente qualcosa di stabilito a tavolino; magari si parte dall’istinto, ma poi l’istinto va capito, interpretato e trasformato in un progetto. Tuttavia, non bisogna mai evitare di metterci una parte emozionale, emotiva, perché è questa che la gente riconosce nelle immagini; quando le immagini sono troppo pensate e ragionate si può apprezzare la tecnica, ma arriva altro, non l’emozione, che è la cosa più importante”.

“Un’ultima curiosità: da dove viene il nome Soriansky?

P. S.“ Soriansky è nato perché tanti anni fa degli amici con cui lavoravo mi chiamarono così dal nome di un personaggio dei fumetti, il perfido Mulinsky. Quindi, ho voluto giocare con il nome, sdrammatizzare, scegliendo un nick name che potesse sfatare il personaggio.  Io voglio portare avanti l’idea, non voglio  focalizzare l’attenzione su di me come personaggio, ma sul mondo che creo, che propongo”.

E proprio della dicotomia tra persona e personaggio ha parlato, durante il dibattito, anche il cantautore Roberto Kunstler, un argomento che colpisce ancora di più se a sollevarlo è un artista che vanta una lunga carriera nell’universo musicale e si trova spesso chiamato a essere personaggio pubblico prima che persona. Eppure Kunstler, dissacratorio e anticonformista nella migliore accezione del termine, vuole essere, proprio come Soriani, soprattutto una persona, che ha fatto della propria passione un’arte e della propria arte una ragione di vita, che ha inseguito e realizzato il proprio sogno, rendendolo parte fondamentale della propria esistenza, che ha scelto e sceglie ogni giorno di regalare al pubblico se stesso, e senza risparmiarsi. Inquieto,  tormentato, sempre in lotta tra poli opposti, tra la realtà e il proprio vissuto interiore, così è stato spesso descritto Roberto Kunstler. Ma lui, gli ho chiesto, si ritrova in questa descrizione?

R. K. “No, questa descrizione non mi rappresenta e non mi ritrovo affatto in questa sorta di inquietudine giovanile. Ognuno ha il proprio karma, ognuno deve personalmente testimoniare, a proprio modo, il significato stesso della vita.  Per esempio, io credo che il successo di una canzone sia quello di ispirare anche chi l’ascolta; la canzone non è portavoce di un messaggio univoco che arriva dall’altro, ma chi la riceve viene messo in una condizione di ispirazione, che è rivolta alla conoscenza del sé, una conoscenza governata dal cuore più che dalla testa, ma questo contrasto è già insito nella natura dell’uomo, è un contrasto su cui si sono confrontati persino i filosofi presocratici e socratici. Forse oggi una grande evoluzione potrebbe portare a una forma di comprensione in cui finalmente anche la parola possa venire mascherata dalla consapevolezza di un’umanità che ha sviluppato la capacità di sentire, cioè di mettere insieme i cinque sensi.  Nel corso dei secoli, infatti, molti hanno cercato di incanalare l’uomo, essere estremamente complesso, entro determinati binari per impedirgli di attingere ad altre forme di conoscenza, di luce, di consapevolezza”.

“Esiste una sorta di filo conduttore, una tematica ricorrente, nella sua vasta produzione musicale?”

R. K. “Esiste un concetto che è mio da sempre e che è racchiuso anche in una nuova canzone, che probabilmente non farà parte di questo mio ultimo album perché è nata mentre lo registravo; si chiama “Una sola giornata” e rimanda a un concetto metafisico e metaforico del tempo che ricorre spesso nelle mie canzoni, come, ad esempio, in “Mentre” e in “Senza dire niente”, in base al quale tutto è relativo, tutto l’universo è fatto dai nostri cinque sensi ed è, dunque, impossibile arrivare a “un vero risultato”.

“Torniamo all’ispirazione: che ruolo ha nella creazione artistica e che peso hanno, invece, il talento, la tecnica, la riflessione?

R. K. “L’opera d’arte è frutto di tante cose, di diverse concause. L’ispirazione in particolare è la concentrazione, cioè un tarlo mentale che si acquisisce e si impara a gestire e che, comunque, più viene naturale, meglio è, perché è difficile da insegnare. Per arrivare a uno stesso punto, ognuno deve seguire la propria strada ed è impossibile dare dei consigli, che sono una mistificazione di come realmente stanno le cose, che spesso si rivelano diverse. L’atteggiamento migliore è quello trasversale, cioè che attraversa tutte le culture possibili per giungere a un vero arricchimento spirituale. Mettendo in rima quello che ha scritto Ungaretti in uno dei suoi quaderni, c’è gente che è riuscita a imboccare il sentiero dove si può riconciliare “il vero con il mistero”, perché il mistero è un fondamento della nostra esistenza, fa parte della condizione umana, in cui c’è tanto d’insondabile”.

“Come è nata la collaborazione con Andrea Libero Cito”? 

R. K. “Con Andrea ci siamo conosciuti a un concerto di un altro musicista, ma spesso le cose accadono proprio quando non le cerchi. Sono rimasto male quando ho scoperto che anche Picasso aveva già scritto “chi non cerca trova”, perché anch’io ho scritto un pezzo con questo titolo ed effettivamente con Andrea è successo proprio un “chi non cerca trova” e non ha importanza come, dove ci siamo conosciuti e da quanto tempo lavoriamo insieme, proprio perché il tempo è relativo”.

“In molte sue canzoni si parla d’amore…”

R. K. “Le mie canzoni in realtà hanno sempre uno sguardo verso l’uomo, la conoscenza del sé perché l’amore per me è un importante strumento di conoscenza del mondo; per quanto nobilissimo sia il sentimento di amore che lega l’uomo alla donna, l’amore è tante cose e soprattutto non è definibile".

“Dunque non si può dare una definizione di amore?”

R. K. “Definire l’amore significa ucciderlo, perché ciò che viene definito muore, finisce di vivere. Niente può essere definito, come dice la parola stessa, semmai “decominciato”; finché una cosa è viva non può essere mai definibile e ciò che esiste adesso non sarà uguale dopo. Nelle mie canzoni c’è anche l’aspetto dell’amore shakespeariano, del sentimento eterno tra uomo e donna, ma non penso di aver mai composto una canzone che non dia un senso di apertura, che non faccia parte di un percorso più ampio”.

È così che Roberto Kunstler, rifiutando qualunque definizione che possa incapsulare e circoscrivere i sentimenti, le emozioni, e persino le persone, si congeda, lasciando, però, in ognuno di noi, un ricordo indelebile, insieme all’eco, magica e ineffabile, di parole che la sua musica ha trasformato in poesia, parole che, “senza dire niente”, rivelano proprio i limiti di un linguaggio che non è mai sufficientemente adeguato a rappresentare tutta la complessità e la poliedricità dell’animo umano. Insomma, quando si a che fare con dei veri artisti, si va sempre oltre le parole.  

04/10/2016





        
  



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