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Un popolo indignato si è mosso

Roma | Riflessioni dopo la manifestazione per la libertà di stampa di sabato 3 ottobre, in Piazza del Popolo.

di Alceo Lucidi

Tante le persone presenti in Piazza del Popolo per la manifestazione di sabato 3 ottobre (Foto: Bellfed)

In questi giorni ripensavo alle parole di un grande filosofo del XVIII secolo, dallo sguardo lucido e profondo, capace di sbaragliare secolari tradizioni di immobilismo culturale e morale e di come bene si attagliassero alla confusa e per certi versi pericolosa, situazione italiana in merito alla libertà di espressione.

Riflettevo ossia sulla celebre frase di Voltaire, il quale, volendo parafrasare le sue parole, affermò che si sarebbe battuto con tutte le sue forze, purché le opinioni distanti dalle sue fossero state difese ed avessero avuto la possibilità di diffondersi. Certo è sorprendente come i classici siano più che mai vivi ed attuali e non cessino mai di interrogarci.

Quello che si pensava fosse un diritto sacrosanto, al di sopra di qualsiasi colorazione politica ed ideologica, lontano da infastidite e dure prese di posizione dei centri di potere, la possibilità, ossia, data a tutti, ed in particolar modo agli organi di informazione, di raccontare i fatti documentandoli, un principio costituzionalmente garantito, sembra oggi più o meno scopertamente messo in discussione.

La manifestazione dello scorso 3 ottobre, organizzata dal sindacato unico dei giornalisti a favore della libertà di stampa, arriva dopo giorni di infuocate polemiche e preoccupanti attacchi ad alcune voci di dissenso rispetto al potere costituito, che lasciano presagire meccanismi e forme di ingabbiamento e progressiva riduzione a posizioni minoritarie del libero pensiero. Il grido forte di un popolo indignato si è levato a Roma da Piazza del Popolo, e dalle strade adiacenti, per segnare un possibile distacco dal passato, per rinforzare il convincimento che la misura è colma e che una parte degli italiani, desiderosi di un informazione corretta e, come ha detto Ezio Mauro, del pieno godimento dei loro diritti di cittadinanza, non intende piegarsi ad ulteriori distorsioni del sistema dell'informazione.

Come ha ben rimarcato il prof. Onida, già presidente emerito della Corte Costituzionale, se si parla di libertà bisogna tenere a cuore le esigenze e le opinioni non solo di chi non la pensa come noi, ma anche di chi ne usufruisce. Riferendosi poi ad un importante pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha aggiunto che un cittadino meglio o più correttamente informato è un soggetto meno scevro da condizionamenti e quindi più libero di scegliere.

Solo se il pluralismo delle posizioni e delle idee è garantito e ben rappresentato, se l'apertura culturale e lo spirito di critica e di confronto vengono facilitati, si può parlare di un'autentica società democratica. Il giornalismo deve quindi poter svolgere al massimo grado la sua funzione di comunicazione di fatti ed opinioni nei limiti di un codice deontologico ben preciso e dell'altrui dignità.

Si potrebbe dire allora, con il segretario del Partito Democratico Dario Franceschini, che l'Italia sta provando a scuotersi da una condizione di assuefazione a cui, aggiungo, un lungo processo di assimilazione linguistico-culturale a modelli comunicativi impoveriti ed omologanti, quali quelli delle televisioni commerciali, l'ha lentamente abituata.

In paese così lento nel recepire i cambiamenti e nel prendere coscienza dei suoi problemi, la manifestazione di sabato dimostra che vi è una parte della popolazione che ha cuore le sorti del suo paese e che non dimentica il lascito di valori ed idee del suo patrimonio di cultura. Così come non dimentica chi per la libertà e la completezza di informazione si è immolato, sacrificando affetti e svolgendo a pieno il suo dovere.

Chi per non essersi piegato a compromessi di sorta ha pagato con la vita il bisogno di accertare la verità. Roberto Saviano, presente alla manifestazione con un suo contributo, ne è un caso emblematico. Saviano ha spiegato come oggi in Italia esista un forma di insofferenza verso le opinioni contrarie al potere. Di come, pur non esistendo una censura di carattere poliziesco de facto, superata una certa soglia, per un giornalista il mestiere di dire i fatti, presentandoli all'opinione pubblica, stia diventando sempre più difficile. Sopratutto al Sud, dove alcuni episodi di cronaca, come il ritrovamento di una nave carica di rifiuti al largo delle coste della Calabria a seguito delle dichiarazioni di un pentito di mafia, non hanno trovato una sufficiente eco nel Paese. La necessità del recupero di alcuni temi-cardine, quale quello della legalità, attorno ai quali l'Italia si riconosca e faccia quadrato, è assolutamente imprescindibile.

Molto toccante è stato poi il riferimento alla parola, di cui il lavoro del giornalista è incarnazione essenziale. Se alla parola venisse data quella valenza catartica che merita di racconto e denuncia essa potrebbe essere uno strumento forte di trasformazione della realtà.

In conclusione vorrei spezzare una lancia a favore della satira, che se usata nei giusti limiti, può diventare un esempio ficcante di critica e disvelamento dei meccanismi di acquisizione e mantenimento del potere. Importante è stata la testimonianza di Marcoré a questo proposito, il quale, leggendo Alexis De Toqueville, ci ha introdotto al tema della massificazione del consenso attraverso la società del benessere.

Quando quel popolo, come lo ha chiamato Scalfari, di oltre 300.000 persone ha lasciato la piazza venerdì scorso, nella manifestazione per la libertà di stampa più imponente che l'Italia repubblicana ricordi, trascinando con sé altre piazze, sia italiane che estere, attraverso l'organizzazione di iniziative parallele (Milano, Londra, Berlino), riecheggiavano ancora, oltre alla musica degli artisti che si sono avvicendati sul palco (Teresa De Sio, Simone Cristicchi, Marina Rei), le parole ancora calde, in una giornata calda, dei relatori, oltre a quelle, per me molto pregnanti dello stesso Toqueville.

Lo storico in effetti, nel testo La democrazia in America ci mette in guardia contro le possibili degenerazioni di un società non libera ed in cui sia scomparsa, per indulgere ad apparenti convenienze sociali, la diversità: «è facile essere uguali nella servitù, più difficile è essere liberi nell'uguaglianza».

07/10/2009





        
  



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