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Le vere Marche vanno dall’Aso fino all’Esino o poco oltre

| Il referendum del nord della regione così lontano...insegna come situazioni esasperate di confine non vanno sottaciute od ingoiate, con clima di rassegnazione all’ineluttabile destino, ma urlate fino alla minaccia di estreme conseguenze.

di Armando Falcioni*


Egr. Direttore,
da martedì abbiamo capito perché la regione Marche fosse rimasta l’unica regione al plurale.
Non solo perché al nord del territorio hanno la “ z” arrotondata, pensano alla piadina ed al lambrusco ed invece dalle nostre parti si raddoppiano le consonanti in luogo della “g” dolce, non si usa la “ v” al posto della “b” ed i nostri costumi e tradizioni hanno reminiscenze borboniche.

Da martedì la Val Marecchia ci ha insegnato che le Marche sono al plurale perché disomogenee e poco solidali e aggiungo, troppo legate al capoluogo di regione ed ai confini di fatto. Infatti le vere Marche vanno dall’Aso fino all’Esino o poco oltre.

Il referendum del nord della regione così lontano ( da Ascoli si arriva prima a Foggia), insegna come situazioni esasperate di confine non vanno sottaciute od ingoiate, con clima di rassegnazione all’ineluttabile destino, ma urlate fino alla minaccia di estreme conseguenze.
Il Piceno, dopo la mortificante divisione con Fermo, per la quale si sono adoperati, sbracciati, spesi tutti i marchigiani che potevano contare, rischia di vivere lo “ status” di zona franca, né Marche, né Abruzzo, né Lazio, né Umbria, con tutte le conseguenze del caso.

Ecco perché la Val Marecchia ci insegna che questa regione deve temere di perderci perchè riconsideri questo territorio, da loro ritenuto di confine in tutti i sensi, anche perché poco marchigiano per le motivazioni sopra elencate.

Con questo epocale evento avvenuto nel Montefeltro vorremmo sottolineare che la valle del Tronto ed il suo capoluogo non possono essere solo luogo ideale per depuratori, discariche, siti per popolazioni erranti ( con tutto il rispetto per queste situazioni), poi si antepone la quadrilatero all’ammodernamento della Salaria, si tace su quello della Piceno- Aprutina per Teramo, si ignora il Piceno sul problema delle tre corsie dell’autostrada che si ferma a Pedaso. Appunto perché oltre è Piceno e non è Marche.

Per questo il costituendo comitato interprovinciale o meglio interregionale che dovrebbe vedere l’unione di territori di margine , da Amatrice a Norcia fino al fiume Salinello servirà proprio a manifestare quello che la Val Marecchia ha ufficializzato con un dirompente referendum.
E questa sarà l’occasione perché Ascoli ed il suo territorio non si adagi ad essere per sempre la periferia di Ancona ma il capoluogo di una grande provincia di fatto che vada oltre il segno rosso sulle cartine geografiche.

Visto poi che un autorevole parlamentare ulivista delle Marche, che si è consumato per proporre emendamenti per salvare la provincia di Fermo ( ma, mi domando, non ha preso voti anche nel Piceno ?) , ha indicato per la Val Marecchia l’applicazione dell’art. 116 della Costituzione ( forme speciali di autonomia per territori di confine),ciò vale solo per territori che minacciano di abbandonare la regione, o anche per coloro cui va riconosciuto una forma di danno per l’impopolare, inopportuna, unilaterale divisione della provincia ?

Credo che sia l’occasione per chiedere a gran voce una considerazione diversa ed un trattamento a parte rispetto a quella di indesiderati ospiti. Così come, pare, lo siano nelle rispettive circoscrizioni amministrative l’alto Lazio, la val Vibrata e l’agro norcino.

Già qualche associazione di categoria ha le idee chiare, similmente qualche ente di secondo grado rimarcando che, è vero, tutto il mondo è paese e tutti hanno province di confine nel panorama nazionale ma credo che sia unico il caso truentino con un capoluogo così marginale, storicamente così indipendente, ed una valle così forte sia socialmente che economicamente.
Ma sarà fondamentale il coinvolgimento della base, dei comitati spontanei, di intese bi-partisan
(guardate Fermo) se ciò che si lamenta sia estemporaneo disagio, o come credo, al di là di ipotetiche secessioni o annessioni, vero isolamento e distacco, soprattutto storico e culturale.
Certo è che non è colpa nostra se nelle occasioni in cui ci chiamano marchigiani noi non ci giriamo neppure, credendo si riferiscano alla persona accanto.

*Un nostro lettore

22/12/2006





        
  



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