Spike Lee e lo sport
Grottammare | Per il ciclo "Etica/epica dello sport" l' "Associazione Culturale/Cineforum BLOW UP" presenta il film "He got game" del regista newyorkese Spike Lee. Appuntamento Venerdì 7 dicembre 2007, ore 21.30, Sala Kursaal. Ingresso con tessera F.I.C. e biglietto

Prosegue la rassegna Staccando l'ombra da terra promossa dall'associazione culturale Blow Up di Grottammare. Venerdì 7 dicembre presso la Sala Kursaal di Grottammare alle ore 21.30 verrà proiettato uno dei più bei film sul mondo della pallacanestro, girato dal maestro del cinema "nero" americano: Spike Lee (nella foto).
Il regista racconta la storia del rapporto tra un padre e un figlio: con la promessa di uno sconto di pena Jake (Denzel Washington), condannato a vent'anni per uxoricidio involontario, ottiene sette giorni di libertà vigilata per tornare a Coney Island e convincere il figlio diciottenne Jesus, famoso e conteso giocatore di pallacanestro delle scuole superiori, ad accettare una borsa di studio della Big State University, cara al cuore del governatore dello Stato. Compito difficile: il figlio - che pur è diventato un campione anche per merito del padre - non gli ha mai perdonato la morte della madre e, forse, nemmeno le torture dei faticosi allenamenti a cui l'ha sottoposto fin da bambino.
C'è tutto il male dello sport in questo film. Tutto quello che lo rende piccolo, corrotto, marcio, avido, artificiale. Non più a servizio della magnifica dittatura del gioco, dell'infantile megalomania della fantasia, ma della bassezza degli interessi. Si capisce che al regista, grande fan di basket e dei New York Knicks, un film così dev'essere costato. Non c'è elegia, non c'è poesia del gesto, non c'è grandezza, né felicità. Lo sport era e resta un mezzo, dove tutti sfruttano tutti, ma per i neri è ancora l'unica strada che porta via dal ghetto, che garantisce un futuro, un'istruzione, una possibilità di salvezza.
He got a game è un grande racconto ininterrotto, un vero e proprio mito alla cui narrazione i singoli partecipano sia indirettamente, come tifosi, sia direttamente, nelle strade e nei campetti rionali, magari usando come canestro una cassetta di plastica appesa in cima a un palo. D'altra parte, non è un film di genere sul basket. La sua vicenda non si sviluppa mai all'interno delle azioni di gioco: queste azioni, piuttosto, funzionano quasi come coreografie che rimandano ad altro. Ha momenti di grande, intensa regìa questo film, nella parte iniziale soprattutto, con un montaggio che fa del basket l'anima stessa d'America; ma possiede anche moralità di sguardo e immediatezza, ingenuità e necessità espressiva. Attraverso il basket Lee racconta l'America, in primo luogo qualcosa che dell'America sembra spaventarlo.
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04/12/2007
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Kevin Gjergji