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Sanremo 2003

| Un brutto festival che non piace più e si allontana sempre più dai gusti del pubblico.

di Paolo De Bernardin

Sanremo è passato. Finalmente. E' quasi un obbligo per un addetto ai lavori seguirlo, ma quanta fatica!!! E soprattutto che noia mortale.  Indubbiamente lo spettacolo televisivo c'è stato. Quelle che erano vallette sono diventate finalmente delle showgirl a tutti gli effetti. Ed è merito delle stesse aver espresso quanto ognuno che sale su un palcoscenico del genere debba comunque esprimere sempre. Se show business è il termine americano di riferimento, allora che lo sia davvero e totalmente. Che d'ora in avanti ci sia solo spazio per la competenza di chi sa parlare senza un foglio di carta in mano, di chi sa cantare e ballare e non solo essere l'oggetto del desiderio di una tv guardona stile “grande fratello”. 

Spettacolo televisivo sono stati i nuovi “siparietti” che Baudo ha voluto per gli artisti, gli spazi affidati a comici  che sanno davvero il fatto loro (da Litizzetto a Panariello), ma anche in negativo con le ridicole telepromozioni e autopromozioni dei futuri palinsesti Rai. Ma quello che era il Festival della Canzone italiana è sparito dietro il vuoto globale di autori banali che arrangiano alla svelta un motivetto per la gara che sa più di contorno che di protagonismo.

Per la vecchia Canzone Popolare che a Sanremo celebrava ogni anno la sua apoteosi c'erano sempre fior di motivetti da cantare al bar già la mattina dopo l'esecuzione. Che rimane il giorno dopo Sanremo 2003? Qualcuno ricorda un motivo da fischiettare? Qualcuno sente il brivido di un'emozione forte? Se c'è stata (leggi Sergio Cammariere) è stata rovinata sicuramente da esecuzioni incerte da un punto di vesta tecnico, piene di vuoti e di pernacchie, davvero infelice per l'unica realtà nuova della canzone d'autore italiana che ha saputo raccogliere comunque consensi da tutti.

In fondo se le classifiche italiane parlano poco e pesano quasi nulla lo si deve proprio alla banalità delle proposte che partono da Sanremo. Se quello dovesse essere lo specchio musicale del paese (ma sappiamo tutti che non lo è affatto) allora c'è davvero poco da sperare. La crisi andrà avanti e le case discografiche, almeno quelle ufficiali e riconosciute a livello internazionale, spariranno per sempre.

A sopravvivere sarà sempre e soltanto la canzone d'autore, quella che stratifica il suo successo giorno dopo giorno, e non conosce le rughe dell'invecchiamento. Quella che le classifiche degli ultimi anni hanno premiato con le composizioni di Vasco Rossi e Ligabue, Pino Daniele e Ivano Fossati, Celentano e Guccini, De Gregori e Paolo Conte. Come mai sul palcoscenico del Festival si sono scelti motivi completamente opposti a questa tendenza? Scegliere una canzone come “Nessuno tocchi Caino” sarà meritorio certamente per l'impegno politico e sociale, per il valore civile dell'argomento, ma non facilita certo l'approccio con la forma canzone. Infatti il risultato non è certo dei migliori. Dov'è finita la ricerca della melodia, dove l'ispirazione, dove la poesia?  Non certo nelle canzoni di Sanremo. Dai big ai giovani, quante belle voci, davvero! Ma una bella voce non basta mai per fare una canzone.

I tre vincitori hanno scelto un repertorio poco italiano che spazia tra il blues, il rhythm'm'blues e il jazz e giustamente sono stati premiati per la loro qualità, ma dietro di loro c'è stato davvero il vuoto totale di idee (a cominciare dalla nuove leve che non hanno saputo osare mai!). Di chi la colpa? Più dei selezionatori che degli autori stessi. In ogni angolo del nostro paese ci sono sempre giovani che riescono ad esprimersi in modo adeguato e nel rispetto della forma d'arte. E sanno scrivere canzoni moderne che sarebbero state certo più apprezzate dal pubblico. Quelle di Sanremo sono state invece canzoni scialbe e senza passione, costruite a tavolino per non regalare emozioni. Canzoni che nessuno vorrà avere nella propria discoteca.

10/03/2003





        
  



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