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L'Ascoli Piceno Festival scrive una delle pagine della sua storia.

Ascoli Piceno | Il concerto di ieri sera, lunedì 22 settembre 2003, entra tra i memorabilia della rassegna.

di Giovanni Desideri

Serata dedicata al Novecento ieri sera all'Ascoli Piceno Festival con il concerto "Musica da camera 2" che si è svolto all'Auditorium Carisap. In programma anche due brani di Hans-Peter Dott, autore vivente (nato nel 1952) e presente in sala: Quasi una ciaccona, brano per violoncello solo composto nel 1984 ed eseguito da Jelena Ocic e Les conciliabules d'Amour (2002) con Michael Flaksman al violoncello e Irina Nilova al pianoforte.

Il primo brano (terzo nella serata di ieri) è ispirato ad un canto gregoriano, la cui intensità, trasfigurata in un linguaggio moderno ma non esasperato, è stata perfettamente comunicata dalla Ocic.

Il secondo (quinto in programma), composto a distanza di vent'anni, è caratterizzato da uno stile più libero, come ha detto il compositore stesso, che alle 20,45, prima del concerto, ha fornito qualche notizia a proposito delle proprie composizioni: "oggi i compositori non aderiscono più ad una corrente precisa, hanno maggiore libertà espressiva, possono scegliere all'interno dell'intero spettro della musica. Anch'io ho utilizzato questa libertà, curando al tempo stesso sperimentazione e accessibilità al pubblico". Il risultato è stato molto interessante per l'uso degli strumenti: brani dal colore scuro e molto "ascoltabili".

La serata si era aperta con un brano di Francis Poulenc (1899 - 1963), la Sonata per due clarinetti (composizione del 1946, in tre movimenti: Presto – con meno vita – a tempo; Andante (molto lento); Vivo, gioioso), un dialogo serrato tra i due strumenti (Ivano Rondoni clarinetto in si-bemolle, Federico Paci clarinetto in la), leggero e davvero vivo e gioioso nei movimenti veloci, cupo, enigmatico, malinconico nel tempo lento. Una composizione di raro ascolto, come ennesima prova della qualità del festival, delle sue esplorazioni e della qualità delle esecuzioni: bravissimi Rondoni e Paci negli "incastri" delle parti.

È stata poi la volta dell'avanguardia storica con i Tre brevi pezzi per violoncello e pianoforte, op. 11 (Mässige Achtel; Sehr bewegt; Äusserst ruhig) di Anton Webern (1883 - 1945), composizione del 1914 fatta rivivere dal duo Jelena Ocic/Irina Nilova: 2 minuti e mezzo per dilatare le capacità espressive del violoncello. La Ocic è ormai una certezza!

Dopo il primo brano di Dott e prima della pausa, spazio ad un lied di Schubert (1797 - 1828): Der Hirt auf dem Felsen (andantino-allegretto, opera postuma per soprano, clarinetto e pianoforte, D 965), con Desirée Brodka soprano (bravissima), Ivano Rondoni clarinetto, Irina Nilova pianoforte.

Pausa e secondo brano di Dott.

Il viaggio nella musica del Novecento era stato compiuto fin qui attraverso scelte molto mirate da parte del maestro Flaksman. La resa, come sempre, è stata di ottimo livello, con i bravissimi musicisti del festival.

L'ultimo brano in programma, se possibile, è stato un capolavoro ulteriore, l'ottimo tra i migliori: la splendida Sonata in fa minore per violino e pianoforte n. 1, op. 80, composta tra il 1938 e il 1946 da Sergej Prokof'ev (1891 - 1953) in quattro movimenti (Andante assai; Allegro brusco; Andante; Allegrissimo).

Già nelle passate edizioni il pubblico del festival aveva avuto modo di apprezzare le grandissime doti di Ulrike-Anima Mathé e del suo Guadagnini, ieri sera la conferma è stata autorevole, forte, definitiva. Difficoltà ed espressività della sonata di Prokof'ev non hanno indotto alcuna sbavatura, nessunissima: qualità del suono, tecnica, dinamiche e pathos della sonata, pagina fra le più intense della storia della musica, sono state rese perfettamente dalla Mathé.

Così nei primi tre movimenti, compreso il secondo, un "allegro brusco" che non apporta alcuna luce alle tinte fosche dell'"andante assai" che precede (nel quale è da notare, fra le altre cose, lo "sciame" di note su tutta la tastiera, in pianissimo, che poi ricorre nell'ultimo movimento: un "allegrissimo" che in realtà nega ogni riconciliazione, lasciando l'atmosfera di tutta la composizione su un grigio insolito per Prokof'ev. Ma intensissimo ed estremamente mobile, lungo tutte le capacità espressive dello strumento).

Il pubblico ha applaudito lungamente la bravura della Mathé (ma non dimentichiamo neppure Scott Faigen, bravissimo ad intarsiare il discorso del violino): la sua interpretazione resterà certamente tra i memorabilia del festival.

23/09/2003





        
  



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