Una lingua senza il sì
| SENIGALLIA - Il fatto che la lingua sia una cosa viva e dinamica è lapalissiano, così come lo è il fatto che essa sia soggetta a mutamenti che, nel tempo, la cambino anche profondamente.
di Andrea Cesanelli
Il fatto che la lingua sia una cosa viva e dinamica è lapalissiano, così come lo è il fatto che essa sia soggetta a mutamenti che, nel tempo, la càmbino anche profondamente. Così si è passati dal latino allitaliano o dallantico germanico al tedesco moderno, per fare due semplici esempi.
Chiunque lotti contro questa tendenza naturale è un Don Chisciotte contro i mulini a vento e la sua impresa è destinata al fallimento.
Fatta questa premessa ci piace però far notare che, una cosa è cambiare una parola (o un intero stile) con unaltra, altra cosa è semplicemente cancellare senza proporre qualcosa di sostitutivo, è la differenza che sta tra il mutare e il distruggere.
Purtroppo il secondo caso è quello che sta interessando le lingue occidentali, in una corsa verso la spoliazione semantica, limpoverimento e lo stravolgersi di regole che hanno unutilità comunicativa cui nessuno sembra esser più interessato. Il processo non è nuovo, tanto che già George Orwell ne inorridiva, riferendosi evidentemente allinglese della prima metà del 900, ma noi italiani non abbiamo da stare allegri perché linvoluzione coinvolge anche la nostra parlata. Involuzione che sta minando tutti i livelli della lingua, dalla sintassi alla morfologia. Non essendo questa la sede adatta per soffermarcisi eccessivamente tratteremo qui, a mo di esempio, solo del problema ortografico (che è il più semplice da notare) e delle libertà sempre maggiori che gli italiani si prendono con la grafia della loro lingua.
Un esempio per tutti: sempre più persone ignorano che il sì affermativo vuole laccento (quello grave, per la precisione). Nessun dizionario nessuno! ha ancora autorizzato una grafia senza accento, e per fortuna, diciamo noi, perché non si vede poi come lo si distinguerebbe dal si riflessivo che laccento invece rifiuta. Nonostante ciò è normalissimo vederlo stampato senza accento sui giornali più famosi.
E per restare in tema di accenti, quantè usuale dimenticarsi di segnarli sulle parole tronche (che in italiano pretendono laccentazione) e così si legge su giornali, telegiornali e calendari: lunedi martedi, mercoledi
e sì
anzi, conformandosi, si!
Sarei tentato, seguendo il mio spirito pedante, di parlare del qual è e tal altro con lapostrofo, ma mi asterrò per evitare che i miei 25 lettori abbandonino qui la lettura del mio noioso articoletto.
Quello che vorrei far notare, al di là di esempi più o meno simili che si sprecherebbero, è che questi piccoli vezzi ortografici (tranne i rari casi in cui hanno una motivazione etimologica), non sono frutto di regole gratuite e arbitrarie, bensì servono a distinguere omofoni con valore grammaticale diverso (comè il caso del sí/si).
E una pratica comune a molte lingue: lo fa il cugino francese (la/là), lo fa il lontano inglese (four/for) e lo fanno molte altre. E lo ha fatto per secoli la nostra lingua, che è lingua di omofoni e di accenti, ma oggi ai suoi utenti moderni la cosa sembra non piacere proprio: presa per vezzo, presa per inutile complicazione, si tende a semplificarla
tanto
troppo.
E si sbaglia. Nella lingua scritta, dove la comunicazione non è, come in quella orale, accompagnata e aiutata da intonazione e gesticolazione, è necessaria la massima precisione e proprietà possibile se si vuole che il pensiero che si vuole esprimere sia compreso nel migliore dei modi. E questa necessità val bene lo studio e luso! delle poche regole grammaticali italiane. Ovviamente poi, di tali fatiche dovrà caricarsi solo chi ha un pensiero da esprimere, gli altri possono continuare a vivere felicemente ignorando la grammatica.
Al di là della facile ironia, che come figura retorica non è mai da disdegnare, vien da chiedersi a questo punto su quali testi abbiano studiato le nuove generazioni che ora scrivono su giornali e conducono in televisione, e se questi testi siano poi così diversi da quelli su cui abbiamo studiato noi, più grandicelli. Chi scrive se lè tolta questa curiosità, andando a spigolare nelle grammatiche in uso nei licei moderni. La paura era di non trovarci le vecchie regole, ma solo una sintesi rabberciata e semplificatissima, esposta pure malamente; ma niente di tutto ciò: le grammatiche sono anche migliori di quelli di qualche anno fa e le regole, a volerle studiare, sono sempre e tutte lì.
Allora, a nostro parere, quello che manca forse è la volontà di studiare, che è sempre stata il miglior insegnante; non ci resta che sperare che in questepoca tecnologica e informatica si trovi una qualche ricetta che la stimoli.
E già, sennò dovremo assistere allacuirsi del paradosso per cui, nellèra della comunicazione veloce e multimediale, viene a mancare il mattone primo della stessa e cioè una lingua funzionale e chiara; e sarebbe un dramma perché il mezzo di trasporto più veloce non serve a nulla se la merce trasportata è avariata.
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09/04/2005
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