Lintervento in consiglio provinciale del professore Filippo Focardi
Ascoli Piceno | Focardi: LItalia è stata capace di redimersi dal fascismo, ma in queste parole cè una netta distinzione tra il nazionalismo e una nuova idea di nazione
di Federico Biondi
Nell’intervento proposto in consiglio provinciale il prof. Filippo Focardi pone degli interrogativi, tra questi: Che cosa è stata la resistenza? Il professore cita le dichiarazioni del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione della visita alla città di Ascoli Piceno, “la resistenza è stata una reazione delle coscienza, spontanea e largamente diffusa in Italia. Dopo l’8 settembre ci fu la resistenza attiva dei soldati, dei partigiani, dei militari che seguirono l’impulso della propria coscienza. Poi ci furono i civili che aiutavano i combattenti rischiando direttamente e non ultimi, chi visse la dura e dolorosa esperienza di deportato nei campi di internamento”.
Il professore poi cita lo storico Pietro Scoppola, di estrazione cattolica, costui definì la resistenza come una visione corale di intendi, altri descrivono la resistenza come uno scontro fra due frazione minoritari, limitando così la resistenza ad una esperienza locale e sporadica che si è spinta fino ad arrivare ad uno scontro fratricida fra i italiani, quindi un’azione negativa e non una lotta da cui è scaturita la Costituzione della Repubblica Italiana.
La questione della partecipazione secondo Focardi non è secondaria, sicuramente non tutti gli italiani hanno partecipato alla resistenza, per De Felice intervennero quattro o cinque milioni di italiani. Sta di fatto che per una valutazione quantitativa dei partecipanti, combattenti e non combattenti, bisogna necessariamente considerare che l’Italia del 1943 era uno paese sconfitto, molte città erano state distrutte dai bombardamenti e la gioventù era cresciuti nella scuola fascista e credeva fortemente e fermamente nei valori del fascismo.
“L’Italia di quel periodo era occupata a nord dai tedeschi e al sud dagli americani, molte città erano distrutte e i combattenti erano, come le fonti storiche hanno accertato, più di 135 mila. Questa non può essere considerata una scarsa partecipazione degli italiani” dice il Professore Filippo Focardi.
Al professore preme sottolineare che per l’Italia la resistenza è stata una riscossa alle tragedie del fascismo e la lega alla nascita della Repubblica e della Costituzione. “L’Italia è stata capace di redimersi dal fascismo, ma in queste parole c’è una netta distinzione tra il nazionalismo e una nuova idea di nazione”.
Il nazionalismo anti-democratico del fascismo al cui interno c’era la discriminazione razziale che aveva creato l’apartheid in Etiopia in notevole anticipò rispetto a quello applicato in Sud Africa. Un nazionalismo che era vicino al nazismo e che mirava alla costituzione di un impero mediterraneo che dal sud della Francia si estendeva su tutti i paesi Africani, del medio oriente e dei Balcani.
Dall’altro lato l’idea di una nuova nazione democratica, di cui parlava il presidente Ciampi, che alzava lo sguardo all’Europa. Il presidente di fatto intuì una dimensione europea comune fatta di democrazie rispetto reciproco tra i popoli, infatti Ciampi nel suo discorso disse: “la mia gioventù aveva ben chiaro la realizzazione della Costituzione Europea in un ambito comune di valori universali”.
Un altro punto fondamentale dell’intervento del professore Filippo Focardi riguarda il valore della memoria, perché occorre ricordare che andare indietro nel tempo è difficile e complesso ma indispensabile per capire il senso del percorso di allora fino ad oggi. Il valore della memoria inoltre presuppone la giustizia non per spirito di vendetta ma per riaffermare gli ordinamenti della nostra civiltà.
Storicizzare quindi la resistenza significa consegnarla alla storia mentre il revisionismo dei valori è improponibile anche trattando le pagine meno note e imbarazzanti della storia d’Italia degli ultimi 60 anni. In Europa per quanto riguarda la resistenza non c’è una matrice comune, ma storie e avvenimenti nazionali. C’è più che altro un sovrapposi di memorie dato che ogni nazione ha vissuto esperienze distinte dalle altre. Basti pensare alla lotta di resistenza polacca o ai collaborazionisti francesi nella Repubblica di Vichy.
Negli ultimi 20 anni c’è lo spostamento dell’attenzione dalla figura dell’eroe partigiano a quello della vittima della guerra. Grande lavoro per l’accertamento dei fatti è stato fatto in Germania, cosa che però non è avvenuta in Italia. “La discussione si è riaperta dopo il processo a Priebke - dice il professore che conclude - non c’è ancora attenzione sulle vittime fatte dagli italiani. Morti uccisi 300 mila etiopi, fucilazioni e deportazioni in Slovenia. La situazione italiana costituisce una anomalia”.
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05/05/2006
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