6 settembre 2006: 5° giornata mondiale contro lincenerimento dei rifiuti
| ANCONA - Anche ad Ancona iniziative di informazione e protesta (sabato 9 settembre, piazza roma, ore 11)
La RETE NAZIONALE RIFIUTI ZERO e GREENPEACE ITALIA aderiscono alla giornata mondiale contro l’incenerimento lanciata da Gaia (Global Alliance for Incineritors Alternatives), promovendo, in collaborazione con tante altre realtà, vari momenti di informazione e protesta che animeranno le piazze italiane tra il 6 e il 10 settembre. Anche quest’anno la mobilitazione italiana sarà dedicata alla denuncia della truffa dei finanziamenti pubblici agli inceneritori. Per chiederne la cancellazione, Greenpeace e Rete Nazionale Rifiuti Zero saranno a Roma il 28 settembre a consegnare la petizione popolare http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/petizione-inceneritori.pdf.
Sono centinaia i comitati popolari, le associazioni e i gruppi locali che in tutto il nostro paese, da Nord a Sud, si battono contro una gestione dei rifiuti che ha disseminato il territorio di discariche inquinanti, senza attivare alcun sistema serio di controllo sanitario e ambientale sul ciclo dei rifiuti, né sul loro traffico nazionale ed internazionale. Al contrario, proprio quando i costi di gestione e le normative europee indicavano come prioritarie politiche di riduzione dei rifiuti, riuso e riciclaggio, l’Italia ha progettato di raddoppiare il numero degli impianti di incenerimento, aggravando così il problema delle discariche, di cui gli inceneritori hanno bisogno per smaltire le ceneri e gli altri residui tossici della combustione.
La combustione dei rifiuti – sia in inceneritori sia in cementifici – è tra le maggiori fonti di diossine e furani, inquinanti organici persistenti che si accumulano negli organismi ai vertici della catena alimentare, soprattutto nell’uomo, con effetti devastanti. Tali composti sono infatti tossici, mutageni, teratogeni, cancerogeni e interferiscono con il sistema endocrino. L’incenerimento produce altresì metalli pesanti (arsenico, piombo, mercurio, cadmio, ecc.) e particolato (Pm 2,5 e inferiore) che sfugge ai filtri degli inceneritori.
La costruzione e la gestione di un inceneritore s’accompagna inoltre a processi decisionali autoritari che spesso escludono la partecipazione diretta e le proposte alternative dei cittadini.
Gli inceneritori sono impianti costosi che non starebbero sul mercato se non ricevessero i contributi statali attraverso il sistema dei certificati verdi e cip6. Incenerire conviene ai gestori degli impianti solo perché possono vendere l’energia da loro prodotta come energia “a tariffe incentivate” e quindi farsi pagare dal gestore nazionale fino a 3 volte il prezzo di mercato dell’energia. Questa maggiorazione è a carico di noi cittadini che con la bolletta della luce paghiamo la voce “costruzione impianti fonti rinnovabili”, voce che dovrebbe finanziare le energie rinnovabili – l’eolico, il solare, il geotermico, ecc. – ma va agli inceneritori. Permettendo ciò, l’Italia viola apertamente la direttiva europea in materia di rinnovabili (2001/77/CE). Per questo l’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro il nostro Paese.
Come ci dicono le norme comunitarie, l’energia prodotta dagli inceneritori bruciando rifiuti non è rinnovabile: viene per lo più da carta e plastica (le due frazioni merceologiche col potere calorifico più alto), materiali che dovrebbero essere avviati al riciclaggio, non essere bruciati. In particolare la plastica è un prodotto del petrolio, combustibile fossile che tutti noi sappiamo essere né pulito né rinnovabile!
Eppure gestire i rifiuti senza ricorrere all’ incenerimento è possibile.
Lo dimostrano città e regioni in Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda che, in un arco di tempo relativamente breve (in genere 5 anni o meno), hanno ottenuto riduzioni molto significative di smaltimento in discarica, senza ricorrere a impianti di incenerimento. Nel Regno Unito, l'Essex è stata la prima contea ad adottare il target del 60% entro il 2007; Halifax, una cittadina di 350.000 abitanti in Canada, ha raggiunto il 61% di riduzione della quantità di rifiuti destinati allo smaltimento finale; San Francisco, 800 mila abitanti, ha raggiunto il 64% nel 2005; Edmonton, 900.000 abitanti nello stato di Alberta, ha raggiunto il 70% nel 2000.
Lo dimostrano anche diverse realtà italiane che hanno raggiunto risultati significativi grazie all’introduzione della raccolta “porta a porta”. Ad esempio, Asti, circa 73.000 abitanti, è passata dal 20.8% di Raccolta Differenziata nel 2002 al 56% nel gennaio 2005; il Consorzio Priula, 22 comuni del trevigiano, già nel 2004 raggiungeva una media del 73% di raccolta differenziata; Montebelluna, comune di circa 29.000 abitanti in provincia di Treviso, è passato da 49.6% del 2002 al 74% di RD nel 2005, riducendo la produzione di rifiuti pro capite da 280 a 100 Kg/anno; Capannori, comune in provincia di Lucca, ha raggiunto l’83% di R.D. nelle sue due frazioni più popolose.
Chiediamo quindi di tutelare la salute e l’ambiente, promovendo in particolare :
- una raccolta differenziata spinta al 70-75%, specie col metodo della raccolta domiciliare;
- il compostaggio di qualità della frazione organica;
- filiere industriali del riutilizzo e del riciclaggio adeguatamente sostenute da incentivi statali;
- il trattamento a freddo del residuo (quel 25-30% che rimane a valle di una raccolta differenziata spinta) con una impiantistica di stabilizzazione meccanico-biologica
- ricerca e design industriale volti all’abbandono di materiali non riciclabili o compostabili
- responsabilizzazione e controllo delle utenze non domestiche affinché si facciano carico dei propri rifiuti, anziché assimilarli a rifiuti urbani.
Sono centinaia i comitati popolari, le associazioni e i gruppi locali che in tutto il nostro paese, da Nord a Sud, si battono contro una gestione dei rifiuti che ha disseminato il territorio di discariche inquinanti, senza attivare alcun sistema serio di controllo sanitario e ambientale sul ciclo dei rifiuti, né sul loro traffico nazionale ed internazionale. Al contrario, proprio quando i costi di gestione e le normative europee indicavano come prioritarie politiche di riduzione dei rifiuti, riuso e riciclaggio, l’Italia ha progettato di raddoppiare il numero degli impianti di incenerimento, aggravando così il problema delle discariche, di cui gli inceneritori hanno bisogno per smaltire le ceneri e gli altri residui tossici della combustione.
La combustione dei rifiuti – sia in inceneritori sia in cementifici – è tra le maggiori fonti di diossine e furani, inquinanti organici persistenti che si accumulano negli organismi ai vertici della catena alimentare, soprattutto nell’uomo, con effetti devastanti. Tali composti sono infatti tossici, mutageni, teratogeni, cancerogeni e interferiscono con il sistema endocrino. L’incenerimento produce altresì metalli pesanti (arsenico, piombo, mercurio, cadmio, ecc.) e particolato (Pm 2,5 e inferiore) che sfugge ai filtri degli inceneritori.
La costruzione e la gestione di un inceneritore s’accompagna inoltre a processi decisionali autoritari che spesso escludono la partecipazione diretta e le proposte alternative dei cittadini.
Gli inceneritori sono impianti costosi che non starebbero sul mercato se non ricevessero i contributi statali attraverso il sistema dei certificati verdi e cip6. Incenerire conviene ai gestori degli impianti solo perché possono vendere l’energia da loro prodotta come energia “a tariffe incentivate” e quindi farsi pagare dal gestore nazionale fino a 3 volte il prezzo di mercato dell’energia. Questa maggiorazione è a carico di noi cittadini che con la bolletta della luce paghiamo la voce “costruzione impianti fonti rinnovabili”, voce che dovrebbe finanziare le energie rinnovabili – l’eolico, il solare, il geotermico, ecc. – ma va agli inceneritori. Permettendo ciò, l’Italia viola apertamente la direttiva europea in materia di rinnovabili (2001/77/CE). Per questo l’Unione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro il nostro Paese.
Come ci dicono le norme comunitarie, l’energia prodotta dagli inceneritori bruciando rifiuti non è rinnovabile: viene per lo più da carta e plastica (le due frazioni merceologiche col potere calorifico più alto), materiali che dovrebbero essere avviati al riciclaggio, non essere bruciati. In particolare la plastica è un prodotto del petrolio, combustibile fossile che tutti noi sappiamo essere né pulito né rinnovabile!
Eppure gestire i rifiuti senza ricorrere all’ incenerimento è possibile.
Lo dimostrano città e regioni in Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda che, in un arco di tempo relativamente breve (in genere 5 anni o meno), hanno ottenuto riduzioni molto significative di smaltimento in discarica, senza ricorrere a impianti di incenerimento. Nel Regno Unito, l'Essex è stata la prima contea ad adottare il target del 60% entro il 2007; Halifax, una cittadina di 350.000 abitanti in Canada, ha raggiunto il 61% di riduzione della quantità di rifiuti destinati allo smaltimento finale; San Francisco, 800 mila abitanti, ha raggiunto il 64% nel 2005; Edmonton, 900.000 abitanti nello stato di Alberta, ha raggiunto il 70% nel 2000.
Lo dimostrano anche diverse realtà italiane che hanno raggiunto risultati significativi grazie all’introduzione della raccolta “porta a porta”. Ad esempio, Asti, circa 73.000 abitanti, è passata dal 20.8% di Raccolta Differenziata nel 2002 al 56% nel gennaio 2005; il Consorzio Priula, 22 comuni del trevigiano, già nel 2004 raggiungeva una media del 73% di raccolta differenziata; Montebelluna, comune di circa 29.000 abitanti in provincia di Treviso, è passato da 49.6% del 2002 al 74% di RD nel 2005, riducendo la produzione di rifiuti pro capite da 280 a 100 Kg/anno; Capannori, comune in provincia di Lucca, ha raggiunto l’83% di R.D. nelle sue due frazioni più popolose.
Chiediamo quindi di tutelare la salute e l’ambiente, promovendo in particolare :
- una raccolta differenziata spinta al 70-75%, specie col metodo della raccolta domiciliare;
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05/09/2006
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