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Toscanini credeva in Dio?

San Benedetto del Tronto | Toscanini non fu soltanto un musicista mitico, ma anche un simbolo politico, l'uomo che avversò sempre e con estrema determinazione il fascismo, il nazismo, il razzismo.

di Renzo Allegri*

Toscanini


E' trascorso mezzo secolo da quel 16 gennaio 1957, quando le radio di tutto il mondo diffusero la notizia che il famoso direttore d'orchestra Arturo Toscanini era morto nella sua villa di Riverdale, vicino a New York, all'età di quasi novant'anni. E i comunicati radio furono seguiti da intere pagine sui giornali che ricordavano la sua arte sublime ma anche la sua leggendaria figura. Perché Toscanini non fu soltanto un musicista mitico, ma anche un simbolo politico, l'uomo che avversò sempre e con estrema determinazione il fascismo, il nazismo, il razzismo.

Sono passati cinquant'anni, e la fama di Toscanini è sempre grande. In questi giorni i giornali celebrano la sua arte ed esaltano il suo impegno civile. <<Fu un uomo di grande rigore morale>>, scrivono. A leggere certi articoli, pare di sentir parlare di un "santo" e viene spontanea la domanda: Toscanini credeva in Dio? O era semplicemente un "santo" laico?

Nessuno degli articoli che in questi giorni sono stati pubblicati su di lui, tocca l'argomento della fede religiosa. E in nessuna delle varie e numerose biografie che lo riguardano si trova traccia di questo tema.
<<Toscanini era un uomo estremamente riservato, geloso dei propri sentimenti più profondi>>, dicono coloro che lo hanno conosciuto << Ha lasciato alcune migliaia di lettere, dove scrive di tutto, ma non vi è alcun accenno a Dio>>.

Apparentemente, quindi, dagli scritti biografici che lo riguardano risulterebbe per lo meno un agnostico, un indifferente. Ma facendo ricerche più approfondite si trova che aveva una fede cristiana semplice, ma sentita, appresa in famiglia e mai dimenticata.

Sua madre, Paola, era una donna credente. Suo padre, Claudio, un garibaldino anticlericale, ma che volle sposarsi in chiesa e volle battezzare tutti i suoi figli.

Dai 10 ai 19 anni, Arturo Toscanini visse in collegio, alla "Regia Scuola di musica" di Parma, dove il regolamento prevedeva che il mattino e la sera gli allievi pregassero insieme e la domenica andassero collegialmente alla Messa. Per nove anni, quindi, tenne un'abitudine di vita strettamente legata a rigide pratiche religiose.

Di come si sia comportato in seguito, non ci sono testimonianze nei libri. Ma non ci sono testimonianze neppure che avesse dimenticato la religione. Si sa che volle sposarsi in chiesa, e volle che i suoi figli fossero battezzati e ricevessero una educazione cristiana. Le sue interpretazioni della musica religiosa sono tra le più ispirate che si conoscano. Soprattutto il "Requiem" di Verdi e la "Missa Solemnis" di Beethoven. Ricordando, da vecchio, in una lettera, una esecuzione di quella "Messa" che aveva ascoltato a Berlino scrisse: "Allora piansi tutte le mie lacrime". Frase che fa intendere quanto fosse stato coinvolto da quella musica "sacra". Nel 1899, quando aveva 32 anni e da appena uno era direttore artistico alla Scala, volle far conoscere in quel teatro la musica del sacerdote don Lorenzo Perosi, dirigendo personalmente l'oratorio "La
risurrezione di Lazzaro"e dando, con la sua fama, una grande pubblicità al sacerdote e alla sua musica.

Atteggiamenti concreti, quindi, di un credente, ma mai una parola sull'argomento della propria fede. Al punto che neppure sua figlia Wally sapeva se fosse credente o meno. Nel 1972 scrissi con lei e sua sorella Wanda una biografia del maestro e quando si arrivò a parlare di Toscanini vecchio mi raccontò:

<<Da qualche tempo in me era sorto un problema di carattere morale e religioso: mi domandavo se pa­pà fosse credente o no. Se dove­vo chiamare un sacerdote per la confessione. Un giorno mi feci coraggio e affrontai anche que­sto argomento. Chie­si: "Tu, papà, sei credente?". Mi guardò sorpreso. In tutta la vita non aveva mai parlato volentieri dei suoi sentimenti più intimi. Restò per alcuni secondi in silen­zio, poi mi rispose: "Certo, io credo in Dio. Non credo molto nei preti, a meno che non siano santi come don Gnocchi">>. Don Gnocchi, ora beato, era un grande amico di Toscanini e di tutta la sua famiglia.

Facendo delle ricerche su questo argomento, ho trovato molte altre informazioni interessanti. Nello Vetro, che è formidabile topo di archivi e biblioteche, nel suo libro "Toscanini giovane" riporta una testimonianza assai significativa. Nel 1946, quando Toscanini tornò in Italia per dirigere il primo concerto nella Scala ricostruita, volle andare a Parma, sua città.

Accompagnato dalla moglie, si recò a visitare la casa dove era nato e poi volle andare anche a visitare la chiesa dell'Annunciata. Si fermò, riferisce Gaspare Nello Vetro, nella Cappella dell'Immacolata in raccoglimento. Al frate presente che lo accompagnava, disse: <<Qui, in questa cappella, venivo da piccolo per le lezioni di catechismo e qui, in questa bella chiesa, ho fatto la prima comunione. Era allora parroco padre Antonio Rigoni da Busseto e ricordo ancora la buona catechista che istruiva noi monelli.>>

Giuseppe Valdengo, celebre baritono, interpretò le ultime opere dirette da Toscanini in America. Il maestro lo stimava molto e gli voleva bene. Lo invitava spesso a pranzo nella sua villa a Riverdale e con lui si lasciava andare a confidenze. Valdengo, consapevole del privilegio che aveva, teneva nota di tutto ciò che Toscanini gli diceva. Tra le tante cose interessantissime che Valdengo mi ha raccontato, vi è questa, che riguarda appunto la fede religiosa di Toscanini.

<<Il primo aprile del 1950 alla Carnegie Hall ci fu l'esecuzione del "Falstaff" in forma di concerto, che avevamo preparato con mesi di prove.

Il maestro venne nel mio camerino per darmi le ultime raccomandazioni. Si accorse che tenevo qualche cosa nella mano in tasca. "Che cosa nascondi?", chiese. Gli feci vedere una madonnina e dissi: "Può darsi che sia pietosa con me e mi dia una mano nella recita". Toscanini rise e ag­giunse: "Guarda qui". Tirò fuori di tasca un piccolo por­tafotografie a fisarmonica nel quale aveva i ritratti di tutti i suoi cari e spiegò: "Questo è Giorgio, che è morto piccino: ecco la Carla, e i miei figli Walter, Wally, Wanda, e que­sti sono mio padre e mia ma­dre. E poi qui", e accennò con la mano alla tasca della giacca dalla parte del cuore "c'è quello che salva tutto".. Ma non disse di cosa si trattava. "Sai", aggiunse "più si invecchia e più bisogna avvicinarsi al "Padre Superiore" . Quando si è giovani si crede che tutto debba andare in quel determinato modo, ma quando si è vecchi si capi­sce che va bene se Lui vuole che vada bene!"

<<Solo in seguito, quando me ne parlò il tenore Assandri, seppi che il "Padre Superiore", che il maestro teneva celato nella ta­sca della giacca, era un crocefisso. Ed è probabile che lo invocasse. Prima di ogni esecuzio­ne, infatti, era sua abitudine rimanersene solo, per qualche attimo, nel camerino. Poi usciva deciso, attaccando. Forse, in quegli attimi, rivolgeva la tacita invocazione al "Padre Superiore". Alla sua morte quel crocefisso gli fu posto sul petto, come mi informò Assandri che ne vegliò la salma nella camera ardente>>. 

*giornalista e scrittore

18/01/2007





        
  



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