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Indagine sugli omicidi rituali nel Medioevo:"Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali".

Teramo | Ecco la nuova edizione del libro dell'anno di Ariel Toaff, storico del giudaismo: un coraggioso caso editoriale, alla scoperta dei misteri di una setta sanguinaria, tra riti, sacrifici e commercio. A ruba nelle librerie.

di Nicola Facciolini

Il nuovo libro di Ariel Toaff

Nel 1475 il piccolo Simone venne trovato morto a Trento. Per il suo omicidio furono giustiziati dal braccio secolare, 15 cittadini ebrei. Fino al 1965 Simone fu venerato dai cristiani come beato. "Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali" (Il Mulino, pp. 448), è la nuova edizione 2008 del famoso e controverso libro del professor Ariel Toaff, storico del giudaismo, figlio dell' ex rabbino capo di Roma Elio Toaff, in cui l'Autore affronta uno dei temi più controversi temi nella storia degli ebrei d'Europa, da sempre cavallo di battaglia dell'antisemitismo: l'accusa, rivolta per secoli agli ebrei, di rapire e uccidere bambini cristiani per utilizzarne il sangue nei riti della Pasqua.

Per quel che riguarda l'Italia, processi per omicidio rituale si ebbero quasi esclusivamente nella parte nord-occidentale, dove vi erano comunità di ebrei tedeschi (askhenaziti). Cosa accadde al piccolo Simone? Il libro torna nelle librerie e nelle biblioteche stavolta per sempre, per far luce sulla verità di quelle incredibili vicende sepolte dalla polvere dei secoli.

Il caso più famoso (forse, non l'unico) accadde nel 1475 a Trento, dove numerosi ebrei della comunità locale furono accusati e condannati per la morte del piccolo Simonino, che la Chiesa ha poi venerato come beato fino a pochi decenni fa. Rileggendo senza pregiudizi la documentazione antica di quel processo e di vari altri alla luce della più vasta situazione europea e anche di una puntuale conoscenza dei testi ebraici, l'Autore mette in luce i significati rituali e terapeutici che il sangue aveva nella cultura ebraica, giungendo alla conclusione che, in particolare per l'ebraismo askhenazita, l'"accusa del sangue" non era sempre un'invenzione.

Dopo l'edizione ritirata dalle librerie perché foriera di polemiche e contestazioni nel 2007, ora esce la nuova edizione rivista e corretta di ''Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali'', pubblicato dalla casa editrice il Mulino.
Ariel Toaff torna con una tesi sconcertante. Secondo il docente di Storia del Medioevo e del Rinascimento presso l'università israeliana Bar Ilan "dal 1100 al 1500, alcune frange estreme e ridotte del mondo dell'ebraismo ashkenazita, realizzarono alcuni omicidi rituali.

In molte zone del Nord Europa, comprese tra il Reno e il Danubio, oltre che nell'Alto Adige, i bambini cristiani venivano catturati per essere sacrificati. Il loro sangue veniva utilizzato per i riti della Pasqua ebraica".

"A questa seconda edizione di 'Pasque di sangue' - sottolinea l'Autore - sono state apportate lievi modifiche ed aggiunte. Le prime riguardano essenzialmente quelle espressioni e quelle frasi che, lette frettolosamente o estrapolate dal contesto, hanno dato adito a interpretazioni errate e fuorvianti". Le ipotesi elaborate da Toaff, però, pare che restino invariate. I suoi studi confermano gli orientamenti che tanto fanno discutere. "Le ipotesi di fondo avanzate nella prima edizione - aggiunge infatti Toaff - rimangono le stesse che ripropongo in questa nuova stesura del mio testo".

L'Autore ha analizzato le deposizioni rese dagli ebrei interrogati con metodi brutali dal braccio secolare della Santa Inquisizione nel corso del Medioevo. Secondo Toaff, dietro le confessioni estorte con la violenza ai presunti colpevoli degli omicidi, si nasconde almeno qualche verità. In alcuni casi esse dovrebbero essere considerate come delle testimonianze credibili.

Accolto al suo primo apparire da vivaci discussioni e aspre polemiche, questo libro è ora riproposto in una nuova edizione che l'Autore ha arricchito con un attento lavoro di chiarimento e approfondimento e con una stringente difesa dei metodi e dei risultati della propria ricerca. Oggetto dell'indagine è il mondo dell'ebraismo ashkenazita medievale, nel quale credenze popolari imbevute di superstizione e magia e di viscerali sentimenti anticristiani configurano una diffusa «cultura del sangue» contrastante con i precetti biblici e rabbinici. In questa cultura trova posto anche una ritualità religiosa stravolta, "eretica", che porge suo malgrado argomenti alla calunnia dell'omicidio rituale, la terribile «accusa del sangue» origine di tante persecuzioni antiebraiche nei secoli.

E proprio nelle confessioni estorte nei processi per omicidio rituale (come quello famoso celebrato a Trento per la morte del piccolo Simonino) questa cultura viene in qualche modo alla luce: scavando attorno allo «stereotipo calunnioso» dell'omicidio rituale Toaff fa così emergere una diversa immagine, per molti aspetti inedita, di quelle comunità e fornisce un contributo innovativo alla conoscenza dell'ebraismo europeo. Ma cosa accadde a Trento il 23 marzo 1475, la vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica? Nell'abitazione-sinagoga di un israelita di origine tedesca, il prestatore di denaro Samuele da Norimberga, viene rinvenuto il corpo martoriato di un bimbo cristiano: Simonino, di due anni, figlio di un modesto conciatore di pelli.

La città è sotto choc. Unica consolazione è che l'indagine procede spedita. Secondo gli inquirenti, hanno partecipato al rapimento e all'uccisione del «putto» gli uomini più in vista della comunità ebraica locale, coinvolgendo poi anche le donne in un macabro rituale di crocifissione e di oltraggio del cadavere. Perfino Mosé «il Vecchio», l'ebreo più rispettato di Trento, si è fatto beffe del corpo appeso di Simonino, come per deridere una rinnovata passione di Cristo. Incarcerati nel castello del Buonconsiglio e sottoposti a tortura, gli ebrei si confessano responsabili dell'orrendo delitto.

Le deposizioni degli imputati ai processi di Trento concordavano sul fatto che l'infanticidio di Simone sarebbe avvenuto di venerdì nei locali della sinagoga, posta nell'abitazione di Samuele da Norimberga, e più precisamente nell'anticamera della sala dove si raccoglievano gli uomini in preghiera. Quest'ambiente, separato dalla sinagoga vera e propria da una porta, era destinato in mancanza di un matroneo alle orazioni delle donne. La porta comunque rimaneva aperta e, durante la liturgia del Sabato, le donne vi facevano capolino quando i rotoli della Torah venivano sollevati ed esibiti da chi officiava sull'almemor, prima della lettura del brano settimanale del Pentateuco.

Insomma, la "crocifissione" di Simone sarebbe stata effettuata su un banco posto proprio nella cosiddetta «sinagoga delle donne». Il corpo del putto, ormai senza vita, sarebbe stato poi trasferito per le funzioni del Sabato nella sala centrale della sinagoga e deposto sull'almemor. Allora, rispettando il copione di analoghe punizioni esemplari, i colpevoli vengono condannati a morte e giustiziati sulla pubblica piazza. Perché tutta questa violenza nei secoli?

Durante i duemila anni dell'era cristiana, gli ebrei si sono sentiti accusare di infanticidio rituale, fino all'Ottocento quando quelle accuse non finirono con l'apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce, fino all'Olocausto nel Novecento. Unicamente la tortura - si è pensato - poteva spingere tranquilli capifamiglia israeliti a confessare di avere ucciso bambini dei gentili: facendo seguire all'omicidio non soltanto la crocifissione delle vittime, ma addirittura pratiche di cannibalismo rituale, cioè il consumo del giovane sangue cristiano a scopi magici o terapeutici.

Impossibile credere seriamente che la Pasqua ebraica, che commemora l' esodo degli ebrei dalla cattività d' Egitto celebrando la loro libertà e promettendo la loro redenzione, venisse innaffiata con il sangue di un "goi katan", un «piccolo cristiano»! Più che mai, dopo la tragedia della Shoah, è comprensibile che l' «accusa del sangue» sia divenuta un tabù.

O piuttosto, che sia apparsa come la miglior prova non già della perfidia degli imputati, ma del razzismo dei giudici. Così, al giorno d' oggi, soltanto un gesto di inaudito coraggio intellettuale poteva consentire di riaprire l'intero dossier, sulla base di una domanda altrettanto precisa che delicata: quando si evoca tutto questo - le crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, l'uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa - si parla di miti, cioè di antiche credenze e ideologie, oppure si parla di riti, cioè di eventi reali e addirittura prescritti dai rabbini?

Il gesto di coraggio è stato adesso compiuto da Toaff. L' inquietante domanda è stata posta alle fonti dell'epoca, da uno storico perfettamente attrezzato per farlo: un esperto della cultura alimentare degli ebrei, tra precetti religiosi e abitudini gastronomiche, della vicenda intrecciata dell'immaginario ebraico e di quello antisemita. Italiano, ma da anni docente di storia medievale in Israele, Ariel Toaff manda in libreria per il Mulino un volume forte e grave sin dal titolo, "Pasque di sangue".

Magnifico libro di storia, questo è uno studio troppo serio e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del mercato. Tuttavia, va pur detto che "Pasque di sangue" propone una tesi originale e, in qualche modo, sconvolgente. Sostiene Toaff che dal 1100 al 1500 circa, nell'epoca compresa tra la prima crociata e l'autunno del Medioevo, alcune crocifissioni di «putti» cristiani - o forse molte - avvennero davvero, salvo dare luogo alla rappresaglia contro intere comunità ebraiche, al massacro punitivo di uomini, donne, bambini. Né a Trento nel 1475, né altrove nell'Europa tardo medievale, gli ebrei furono vittime sempre e comunque innocenti.

In una vasta area geografica di lingua tedesca compresa fra il Reno, il Danubio e l'Adige, una minoranza di ashkenaziti fondamentalisti compì veramente, e più volte, sacrifici umani. Muovendosi con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia, dell'antropologia, Toaff illustra la centralità del sangue nella celebrazione della Pasqua ebraica: il sangue dell'agnello, che celebrava l'affrancamento dalla schiavitù d' Egitto, ma anche il sangue del prepuzio, proveniente dalla circoncisione dei neonati maschi d'Israele.

Era sangue che un passo biblico diceva versato per la prima volta proprio nell'Esodo, dal figlio di Mosè, e che certa tradizione ortodossa considerava tutt'uno con il sangue di Isacco che Abramo era stato pronto a sacrificare. Perciò, nella cena rituale di Pesach, il pane delle azzime solenni andava impastato con sangue in polvere, mentre altro sangue secco andava sciolto nel vino prima di recitare le dieci maledizioni d'Egitto. Quale sangue poteva riuscire più adatto allo scopo che quello di un bambino cristiano ucciso per l'occasione, si chiesero i più fanatici tra gli ebrei studiati da Toaff?

Ecco il sangue di un nuovo Agnus Dei da consumare a scopo augurale, così da precipitare la rovina dei persecutori, maledetti seguaci di una fede falsa e bugiarda. Sangue novello, buono a vendicare i terribili gesti di disperazione - gli infanticidi, i suicidi collettivi - cui gli ebrei dell'area tedesca erano stati troppe volte costretti dall'odiosa pratica dei battesimi forzati, che la progenie d'Israele si vedeva imposti.

Questo valore sacrificale, il sangue in polvere (umano o animale) aveva per gli ebrei le più varie funzioni terapeutiche, al punto da indurli a sfidare, con il consenso dei rabbini, il divieto biblico di ingerirlo in qualsiasi forma. Secondo i dettami di una Cabbalah pratica tramandata per secoli, il sangue valeva a placare le crisi epilettiche, a stimolare il desiderio sessuale, ma principalmente serviva come potente emostatico. Conteneva le emorragie mestruali. Arrestava le epistassi nasali. Soprattutto rimarginava istantaneamente, nei neonati, la ferita della circoncisione. Da qui, nel Quattrocento, un mercato nero su entrambi i versanti delle Alpi, un andirivieni di ebrei venditori di sangue umano: con le loro borse di pelle dal fondo stagnato, e con tanto di certificazione rabbinica del prodotto, sangue "kasher"...

Risale a vent' anni fa un libretto del compianto Piero Camporesi, "Il sugo della vita" (Garzanti), dedicato al simbolismo e alla magia del sangue nella civiltà materiale cristiana. Vi erano illustrati i modi in cui i cattolici italiani del Medioevo e dell'età moderna riciclarono sangue a scopi terapeutici o negromantici: come il sangue glorioso delle mistiche, da aggiungere alla polvere di crani degli impiccati, al distillato dai corpi dei suicidi, al grasso di carne umana, entro il calderone di portenti della medicina popolare. Con le loro «pasque di sangue», i fondamentalisti dell'ebraismo ashkenazita offrirono la propria interpretazione - disperata e feroce - di un analogo genere di pratiche. Ma ne pagarono un prezzo infinitamente più caro. (Fonte: AA.VV.)

Ariel Toaff, storico del giudaismo, figlio dell' ex rabbino capo di Roma Elio Toaff, insegna Storia del Medioevo e del Rinascimento nella Bar Ilan University in Israele. Con il Mulino ha pubblicato «Il vino e la carne. Una comunità ebraica nel Medioevo» (nuova ed. 2007; tradotto in francese e inglese), «Mostri giudei. L'immaginario ebraico dal Medioevo alla prima età moderna» (1996), «Mangiare alla giudia. La cucina ebraica in Italia dal Rinascimento all'età moderna» (2000; premio Carlo Levi e premio Ceretto).

13/03/2008





        
  



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