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Federico Contessi, imprenditore nel campo della cantieristica navale

| Un Sambenettese che ha trovato successo in Argentina. Intervista di Benedetta Trevisani.

di Benedetta Trevisani

Il personaggio: Federico Contessi, imprenditore nel campo della cantieristica navale (Astillero Naval Federico Contessi)

Federico Contessi è partito nel 1947, all'età di 16 anni, da San Benedetto per raggiungere in Argentina il padre che vi si era stabilmente trasferito nel 1931. Ha vissuto nella patria di adozione una vita intensa fatta di lavoro costruttivo e di impegno generoso, dimostrando doti di volontà e intelligenza  che gli hanno permesso di imporsi come personalità di primo piano nella realtà economica e sociale della sua città, Mar del Plata.

Nel rispetto delle tradizioni marinare da cui proviene si è dedicato alla cantieristica navale creando una realtà lavorativa molto complessa   e importante. Da lì sono uscite imbarcazioni per la pesca d'altura e da diporto che sono il vanto della nazione. Profondamente legato alla terra d'origine, ha fatto costruire a Mar del Plata una chiesa dedicata a San Benedetto Martire, che è stata inaugurata il 21 dicembre 1997 alla presenza di una delegazione ufficiale giunta da San Benedetto del Tronto.

 Tu sei partito nel 1947 da San Benedetto per l'Argentina. Quali ragioni ti hanno spinto ad una decisione così impegnativa?
Durante 16 anni in Italia ho vissuto con la speranza d'andare in Argentina, dov'era mio padre. Non é stata la mia decisione, mio padre da giovane era emigrato in America, a Mar del Plata con più precisione, sempre dedicandosi alla pesca. Dopo cinque anni, torna in Italia, si sposa ed ha tre figli; io sono il terzo. Nel 1931, quando avevo solo 40 giorni, il mio padre decide di ritornare in Argentina, stanco della pesca con i vapori (della Pannelletta), perché rimanevano molti mesi fuori; invece pescando con le lancette a Mar del Plata ritornava ogni giorno al porto. La pesca era abbondante e si guadagnava di più. In questo secondo viaggio trova una grande crisi economica che rende impossibile quello che si era proposto: richiamare subito la famiglia. Nel 1935 ha una possibilità, ma la situazione politica in Italia la rende difficile; tenta nuovamente nel 1939 e la guerra ci separerà per otto anni ancora. Io solo conoscevo mio padre per fotografie. Le lettere arrivavano ogni tanto fino a che si é fatto un silenzio assoluto. Nei cinque anni di guerra fu impossibile ricevere o inviare una lettera. Il mio sogno era abbracciare mio padre, non vedevo l'ora di partire, lasciare indietro la sofferenza della guerra, arrivare alla terra promessa, avere la più grande allegria, e conoscere mio padre. Tutto ciò è arrivato nel 1947.

Quali sono, secondo la tua personale esperienza, le difficoltà maggiori che incontra un emigrante?
La mia esperienza non é quella di un emigrante. Io ero molto giovane, avevo tutta la mia famiglia, sapevo che questo era il mio destino. Mi sono adattato subito alla nuova vita; alla lingua spagnola. Poi con il passare degli anni, perché non dirlo?, il cuore palpita per la terra nativa; solo a sentire il nome del paese ti commuovi.  Cosa incontra un emigrante come nel caso di mio padre? Trova la solitudine, gli manca la famiglia, i parenti; incontra la differenza nel modo di vita, la differenza del cibo, gli mancano molte cose della terra nativa. Si sente di terza categoria, c'è sempre qualcuno che ti dice morto di fame (ricordando l'epoca della guerra in Italia), che ti critica perché lavori molto. Nel cuore dell'emigrante vi è solo un desiderio, fare un po' di soldi e ritornare alla sua terra. Poi gli anni passano, incomincia a formarsi una famiglia, la propria famiglia, e rimane per sempre. Come aneddoto ti direi che gli emigranti degli anni 50 erano beffati col nome di "ingenieri". Nello sport, per esempio, quando partecipavano le nostre due Nazioni eravamo come nemici, difendendo ognuno i suoi colori;  ti chiamavano "Tano", burlandoti.

A Mar del Plata, nella città in cui vivi con la tua famiglia, hai lavorato duramente ma hai anche ottenuto grandi soddisfazioni dal tuo lavoro. Quali sono le tappe più importanti che ti hanno permesso di raggiungere la posizione attuale o quali sono i momenti che ricordi con più orgoglio?
Quando nel dopo guerra decisi di non andare più a scuola, promisi alla mia famiglia di andare a lavorare e che mai mi sarei pentito. Quella promessa fatta a 14 anni è stata ed è ancora per me la migliore decisione, è la mia vera vocazione. Mai ho lavorato pensando in un beneficio economico; la mia illusione era avere nel cantiere tonnellate di lamiere, legname, motori, varicelli, e quanta materia prima era necessaria per costruire le barche. Ho lavorato con passione, con responsabilità, con convinzione e forza di volontà, senza dire mai "no" al dovere e senza prendere una vacanza per quasi 23 anni. Ho insegnato ai miei dipendenti ad amare il lavoro come se stessi, e ho compartito con loro ogni ottenimento. Con tanto poco ho fatto brillare tanto. La soddisfazione più grande era non vedere il denaro ma vedere equipaggiamento, tecnificare ed aggiornare il cantiere. Il più grande orgoglio varare una nuova barca in momenti di crisi o no, senza avere beneficio economico o credito. Finanziare a 80 mesi con molte difficoltà, ma vedere un nuovo peschereccio navigare. Qualche momento da ricordare: per esempio un varo fatto il 31 dicembre, quando la città festeggiava l'arrivo di un nuovo anno, di una barca totalmente finanziata, senza un anticipo, ma con grande allegria. Il suo nome era "Nuovi Venti", per me il nuovo vento di un futuro migliore e una consegna: "Volere è Potere".

Che cosa significa per te avere due patrie?
Avere due patrie é come essere diviso in due parti; la terra dove si è nato rimane viva nel ricordo e il desiderio di ritornare ognivolta che si può è molto difficile spiegarlo; si soffre, ci si rallegra, si desidera, si lamenta. In una patria si ha la propria famiglia e ci si rimane, e nell'altra vi è la famiglia dei nostri genitori e si sogna. Molti sono i ricordi, l'infanzia, il sole (non sembra lo stesso), la bandiera, la casa dove si è nati. Solo essendo fuori dalla patria si può capire il vero significato di tanti sentimenti.

 Quale rapporto hai conservato con San Benedetto, il paese in cui sei nato?
Il rapporto che ho conservato con San Benedetto é un rapporto vivo, vicino, di rispetto e di gratitudine, rapporto con i nostri parenti ed amici, rapporto con le diversi autorità del paese, e di riconoscimento mutuo. Difficilmente trascorre una settimana senza avere contatto orale o scritto. Sappiamo di ogni evento, ogni mostra, atto culturale, ogni cambio di autorità, successi del paese; è come se stessimo vivendo a San Benedetto.

 Come vive la comunitá marchigiana che risiede a Mar del Plata il momento di crisi economica che sta attraversando l'Argentina?
La comunità marchigiana vive con i suoi tradizionali contatti con le diverse istituzioni che li rappresentano. Questa nuova crisi economica ha una gran diversità; i pensionati, che sono i più, credendo avere fatto una posizione economica in questo momento si trovano sprovveduti in molti sensi, e ristretti nella loro forma di vivere. Quelli che sono ancora in attività hanno trascorso un periodo molto difficile, incerto, critico. Ora si vede una apparente riattivazione, principalmente nella parte turistica interna. Per quelli che hanno una attività industriale come la mia é stato molto duro; ci hanno distrutto moralmente ed economicamente. É stata un retrocessione di molti anni, che solo potrebbe compararsi con una situazione di guerra.

Quale messaggio ti sentiresti di mandare alla tua terra d'origine sulle pagine di questo giornale online che può essere letto contemporaneamente in Italia e in Argentina?
Il mio messaggio é di gratitudine a voi tutti per il fatto che mi ricordate; essendo tanto lontano mi fate sentire sempre più vicino alla mia città in questi momenti difficili come gli attuali. Solo la vera pace ci fa sentire veri, e per avere una vera pace e per viverla dobbiamo sentirci amati e ricordati. A me mi fa sentire sempre più "frechí". 

18/04/2003





        
  



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