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Il contenuto del memorandum di Legambiente

Porto Sant'Elpidio | "Da paese industriale a città del turismo?". Documento inviato al sindaco, ai partiti e alle associazioni cittadine

 
Le dimissioni di due Assessori
Le dimissioni di due assessori  della Giunta Comunale possono essere un incidente di percorso nella vita di una città.  Per noi e nel nostro caso non è così. Siamo in presenza di un esito originato proprio nel percorso politico di questa città e dopo due Amministrazioni coronate da un grande successo finale. Legambiente, come noto, ha condiviso ben poco delle scelte fatte da quelle Amministrazioni, non riconoscendosi nell’idea di città tenacemente portata avanti. Oggi la maggioranza, stupita, dice di non comprendere le dimissioni di due assessori. Sfugge alla maggioranza il dato reale: questo territorio e la sua società sono profondamente cambiati e l’azione amministrativa, da sola, non è capace di darne conto.
La prima conclusione è che, essendo totalmente assente un dibattito pubblico, non si governa la città con la sola pubblica amministrazione.
 
Dalla crisi produttiva alla criticità sociale
Le difficoltà, anche quelle amministrative, non vengono da niente.
Oggi stiamo raccogliendo i frutti di un declino produttivo in atto da almeno 15 anni e che fa coincidere i distretti industriali di tutta Italia, (e quindi anche il nostro distretto), con i territori di nuova criticità. Tutti ora lo sanno ma alcuni lo sapevano da prima, (qualcuno già andava in Cina…), e lo dicevano inascoltati come se il futuro fosse distante e inarrivabile.
Il modello produttivo dell’Italia dei distretti propagandato, enfatizzato e praticato negli anni 80/90, (Marche felix), si è palesato per quel che era: un assetto fondato su una economia a prevalenza familiare che avrebbe dovuto perpetuare la stabilità sociale, la specializzazione produttiva e la qualità del prodotto.
Non era così. Era invece l’ultimo baluardo eretto a difesa di una economia che già stava galoppando verso la globalizzazione. A battaglia persa l’ultima resistenza si è attestata sul fronte del costo del lavoro da ridimensionare, inaugurando con ciò la stagione della dismissione caratterizzata da flessibilità  e delocalizzazione. Del distretto sono rimaste solo le fabbriche forti ancorate a “firme” del settore abbigliamento notoriamente più sensibili al mercato finanziario piuttosto che a quello produttivo.
A seguito di questo cambiamento si è rotta la rete produttiva locale che legava il lavoro a domicilio e il piccolo artigiano alla grande azienda. I primi sono usciti dal lavoro e dalla produzione dopo avere consentito la capitalizzazione da parte della produzione forte sopravvissuta: “mors tua, vita mea”.
Il patto sociale che governava questo territorio e la sua coesione ne sono usciti fortemente indeboliti: tutta la città si è indebolita.
I produttori, come si dice, hanno fatto i loro interessi ma il ceto politico nel frattempo che faceva? Tra l’altro ha fatto la Provincia di Fermo mentre perdeva il distretto calzaturiero.
La monoproduzione calzaturiera, che per decenni ha anche inondato di ricchezza il territorio, ha comportato una monocultura (e qui le responsabilità partono dai più alti in grado nei settori della produzione e della cultura)  che ha sottratto tempi e saperi per la riconversione produttiva ed il governo del mutamento sociale. 
In definitiva la scarpa che è stata la nostra fortuna,  ci ha lasciato ora una eredità difficile.
 
La scorciatoia
Venute meno le certezze, dinanzi ad una città disorientata, in parte spaurita, una risposta doveva essere data e, nell’emergenza, in mancanza di altro, anche una scorciatoia andava bene. In effetti la gente ha preso per buona la prima risposta che è stata loro data.
E’ nella fredda determinazione di abbandonare la strada per prendere la scorciatoia che ha posto radici un umore che oggi, dopo anni, si fa evidente col primo forte  dissenso politico amministrativo.
Con la scorciatoia seguita l’ex Sindaco Petrini ha fatto scelte nette per la epocale trasformazione di Porto S. Elpidio da paese produttivo a città turistica e quindi:
·        Presa d’atto della irrefrenabile caduta  dell’attività calzaturiera senza alcuna  iniziativa di contenimento che non fosse il richiamo ad un inconsistente protezionismo;
·        Adozione di scelte urbanistiche volte ad allineare le rendite immobiliari della città a quelle di Porto S. Giorgio e Civitanova con ciò premiando e attirando cospicui investimenti nel settore;
·        Realizzazione di strutture di servizio per continuare anche qui la “città litoranea” e il suo modello “mordi e fuggi” squilibrando ulteriormente il rapporto tra nuove attività turistiche/commerciali e attività residenziali, tra turisti/cosmopoliti e residenti;
·        Rifacimento del litorale urbano utilizzando la grande risorsa ambientale disponibile come bene strumentale al servizio dell’imprenditoria turistica privata;
·        Visibilità delle grandi opere.
Questi ultimi due punti si sono rivelati la carta vincente della nuova città promessa con la costruzione di molti marciapiedi, delle passeggiate sul lungomare, con la riqualificazione, trasformazione e arredo di numerose piazze e strade, in sostanza piegando tutte le risorse del cospicuo bilancio disponibili ad investimenti. Un riflesso fantastico è balenato agli occhi dei cittadini di colpo liberati dal peso di una sconfitta, dalla muffa del passato, dall’obbligo “de lu fadigà”, da una città negletta e proiettati dentro una città emergente: addirittura il secondo Comune della Provincia.
Dal punto di vista decisionale tutto ciò si è realizzato con esclusione metodica di ogni istanza critica e partecipativa, singola o associata, che non fosse filtrata dal ben volere della Amministrazione.
E tuttavia il consenso in città è stato molto ampio ed il potere di comando ne è uscito democraticamente confermato. Ma il trapasso dalla città del lavoro a città dei servizi e vacanze non può essere immediato e indolore.
La scorciatoia non ha eliminato il travaglio che  il Sindaco Andrenacci si ritrova a gestire quale precaria eredità.
 
Cattivi esempi e decisioni da cambiare
In effetti dal nostro osservatorio tutte le trasformazioni della città convergono su un modello consumistico ad altissimo impatto ambientale e a totale fruizione immediata. Si rivede la stessa frenesia che ha accompagnato il declino della scarpa. Al pari delle scarpe non esiste un pensiero, una visione, ancorata ad un futuro persistente.
Di questo passo ci avviamo a consumare un’altra volta la città ed  il neonato comparto turistico avrà una vita molto più breve del comparto calzaturiero. Si moltiplicheranno i costi sociali peggiorando la vita delle persone.
 
Sono state fatte e sono in atto scelte sbagliate a danno della città accompagnate da una oculata e spesso ingannevole strategia del consenso.
 
La città ha il perno del suo futuro sulla Fim e l’incapacità di risolvere questa questione è la prova dalla incapacità a pensare “positivo” tutta la città.
Sulla Fim abbiamo dovuto parare il colpo menato da una “bonifica” che celava il vero obiettivo della costruzione di 200 appartamenti (tanto per cominciare) e abbiamo salvato (finora) la spiaggia pubblica antistante. Se il Comune non risolve questa questione e invece si lascia impelagare in procedimenti amministrativi e giudiziari di cui abbiamo perso il conto non è colpa né di Legambiente né dei cittadini. Oppure ci chiediamo se è una strategia anche questa?
Si sono usate parole come “piazza Garibaldi” per eliminare il Serafini l’unica piazza verde a mare di tutta la costa adriatica e il più bel pezzo di terra di proprietà di tutti (hanno firmato in 2200).
Si usa la parola “darsena” per eliminare un paesaggio che aspetta solo di essere goduto e occultare la richiesta di 35.000 mc di costruito (tanto per cominciare).  
Si usa la parola “erosione” per incolpare il mare di una responsabilità che è solo tutta nostra.
Con tutto il verde che c’è intorno si riduce il lungomare sud della Faleriense ad un budello dove in qualche metro coesistono parcheggio, strada, pista ciclabile, chalet e spiaggia e poi si dà la colpa alle….mareggiate, arriva la Protezione Civile e magari alla fine Comune o Regione pagano i…. non danni.
Sempre alla Faleriense dietro chalet, siepi e divisori è sparito il mare e la spiaggia…... in anticipo sui progetti di vendita di ministro Tremonti…. con i pali della luce sono sparite le stelle.
Il lungomare sud e i suoi pali siamo sicuri che non riceveranno alcun  premio paesaggistico.
I piani regolatori si fanno a colpi di varianti e di lottizzazioni.
Il traffico e l’inquinamento di una città compresa tra mare e colline e che vuole essere turistica sono a livello di metropoli e la SS16, da ultimo attrezzata con parcheggi che ostacolano l’elevatissimo traffico, ha valori di inquinamento tali che per legge dovrebbe essere chiusa.
Tutto questo ed altro è già accaduto e pesa sulla città.
Tutto questo non darà né lavoro, né futuro.
 
Porto S. Elpidio merita un progetto diverso
Democrazia e partecipazione sono due parole “vecchie” in attesa di parole nuove che esprimano diversamente i bisogni universali di giustizia, libertà, pace, rispetto delle persone e dei loro diritti. E’ questo che noi anzitutto chiediamo.
Politicamente è successo anche qui ciò che è successo in tutta Italia (e anche fuori): fine della politica come strumento di coesione sociale e, al suo posto, costituzione di gruppi politici professionalizzati. Come ambientalisti aggiungiamo che l’ambiente è stato sciaguratamente elevato a risorsa produttiva proiettando sul futuro del pianeta scenari di grande preoccupazione.
A livello locale ha giocato inoltre la profonda trasformazione del territorio elevando, al di fuori di ogni dibattito, un piccolissimo gruppo ben serrato e selezionato a rappresentare l’ampia maggioranza della città. Una maggioranza talmente ampia da sfuggire alla distinzione destra/sinistra. Quanto al gruppo esso si presenta come depositario delle scelte migliori, pensate a tavolino, somministrate alla città magari con una assemblea organizzata apposta e con 50/100 persone, somministrate persino alla Giunta.
Non abbiamo motivo di sperare in un qualche cambiamento di rotta da parte di una maggioranza che tale resta. Ogni soglia è stata varcata, la maggioranza è obbligata a inseguire  il suo progetto di sostituire il corpo vivo della città con una fotografia da offrire a chi dovrebbe venire qui e non viene (infatti sta chiuso nei campeggi e nei residence). Il decisionismo ha reso impraticabile la strategia. Quanto alle maggioranze, improvvisate o regalate, non sarebbe la prima volta se il loro risveglio fosse amaro.
 
Solo dalla città e dalla parte più sensibile della società può venire lo stimolo affinché in città ci sia un diverso segno di cambiamento.
Bisogna mettere in campo tutte le risorse e non solo il bilancio comunale. Sono risorse anche quelle che stanno nel corpo vivo della città, nella sua storia, nelle persone e nelle loro idee, nell’ambiente, nella capacità di lavoro e d’impresa. E’ risorsa una domanda di cultura diversa e distante da iniziative lodevoli ma estemporanee alle quali nessuno va. Sono risorse coloro che la pensano diversamente e che vogliono un tavolo di confronto al servizio di una idea “alta” che qui ora non c’è.
E’ ora di smetterla di offrire alla gente idee “basse” e “panino e porchetta”.
Compito principale del Comune è la promozione della città che significa lanciare idee nuove e, nel nostro caso, non fotocopiare modelli turistici arcaici.
Porto S. Elpidio merita un progetto diverso partendo dalla sua ancora straordinaria risorsa ambientale, partendo dal verde, dal mare, dalle colline per gestire una grande impresa ambientale che trova proprio nell’ambiente le sue risorse e le sue regole, capace di dare lavoro e costruire futuro. Niente di tutto questo finora è stato spiegato ai cittadini ma è solo questo che  i turisti attendono.  Non abbiamo bisogno di un “Porto S. Elpidio Village” gestito da un Re carnevale agostano. Tre cose soprattutto per mettere in pratica l’idea “alta” perché poi tutto il resto viene di seguito:
1.      la Fim venga restituita alla città per farne un polo  di imprenditoria creativa al servizio di attività turistico-sportive-produttive-commerciali-culturali;
2.      riaffermare il valore di una comunità salvando il Serafini da una odiosa speculazione che nessuno in città vuole e realizzare lì la grande piazza verde a mare;
3.      liberare il litorale nord da progetti che, col pretesto della darsena, realizzano un altro quartiere e annullano un paesaggio che aspetta di essere valorizzato con le proprie risorse.
 
Occorre saper guardare alle radici della democrazia di questo territorio.
Questo il messaggio che inviamo agli Assessori dimissionari e a tutti coloro ai quali questa città, così com’è , non basta.
 

16/06/2005





        
  



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