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“Gli anni che non stiamo vivendo”. Antonio Scurati alla ricerca del “tempo” perduto

San Benedetto del Tronto | Attraverso gli articoli raccolti nel libro, Scurati tratteggia, con grande efficacia narrativa, un "ritratto di famiglia" del sazio e schizzinoso occidente contemporaneo.

di Maria Teresa Rosini

E' stato presentato la scorsa settimana alla Palazzina Azzurra, nell'ambito della manifestazione "Incontri con l'autore", organizzata dalla libreria "La Bibliofila" con l'assessorato alla cultura del Comune di San Benedetto, il nuovo libro di Antonio Scurati "Gli anni che non stiamo vivendo", raccolta di editoriali pubblicati dall'autore su "La Stampa", edito da Bompiani.

Attraverso gli articoli raccolti nel libro Scurati tratteggia, con grande efficacia narrativa, un "ritratto di famiglia" del sazio e schizzinoso occidente contemporaneo, sintetizzando magistralmente attraverso gli eventi più o meno rilevanti che hanno connotato la cronaca del nostro ultimo decennio, di cosa ci siamo nutriti quotidianamente e sforzandosi di suscitare la nostra riflessione, abituata invece per un'attitudine che potremmo definire "bulimica" nei confronti dell'informazione a gettare via in fretta le notizie per lasciar posto a quelle che, inesorabilmente, arriveranno.

E' una rappresentazione condivisibile di questo eterno presente in cui sembriamo imprigionati.
Orfani delle certezze e dei riferimenti del passato, rivelatisi inadeguati o inaffidabili, soffocati da un asfittico "qui e ora", rinunciatari nei confronti del futuro, evocato soltanto nei termini, terroristici e angoscianti, di una multiforme "liquida" insicurezza, ci dibattiamo come insetti sulla carta moschicida.

Pur appartenendo, con qualche malcelato senso di colpa, al "pezzetto di umanità più agiato, nutrito, longevo, sano e protetto che abbia mai calcato la faccia della terra", ci dice Scurati, "viviamo a stento" e assistiamo attoniti e forse inconsapevoli, al processo di inarrestabile decadenza che sembra attraversare tutti gli ambiti su cui la nostra società ha fondato, o creduto di fondare, un'idea di futuro (scuola, famiglia, gioventù, certezze economiche, giustizia sociale).

Pur nell'accuratezza della diagnosi, Scurati non ci offre prognosi, non sa rispondere e non vuole alla domanda "che fare?" che si solleva dal pubblico.

Tentando un po' presuntuosamente di ampliare l'ambito delle riflessioni cui le analisi di Scurati  sollecitano, il contesto che più di ogni altro sembra in grado di offrire un connotato di novità e una chiave di lettura della nostra contemporaneità è l'enorme proliferazione delle possibilità di comunicare e di accedere a variabili infinite di contenuti informativi di qualunque genere, attraverso il variegato kit di strumenti tecnologici, sempre in via di più sofisticati ed esaltanti aggiornamenti, che abbiamo a disposizione.

"Mai come in questa epoca il concetto di "information overload", il sovraccarico di informazioni che si contendono l'attenzione della gente, è una condizione con la quale ogni ricerca sulla vita sociale deve fare i conti" ..."non stupisce che uno dei fenomeni emergenti sia la difficoltà di leggere la prospettiva che le persone possano adottare per darsi un progetto cui dedicare la vita."
(Luca De Biase,"Ecologia dell'attenzione" blog.debiase.com/paper/ecologia-dellattenzione.html).

E' la nostra attenzione ad essere divenuta oggi il valore o la merce in assoluto più pregiata sul mercato, costringendoci a vivere immersi in un costante "rumore di fondo", circondati da una iperstimolazione che, non solo spesso non riusciamo a organizzare e gestire, ma sovente prodotta da occulti e spregiudicati "gestori".


Lontano dall'essere effettiva condizione di maggiore uguaglianza e democrazia (come spesso si afferma), il sovraccarico di modalità e contenuti informativi che ci circonda rischia di generare nuove e ancor più profonde diseguaglianze.

La complessità del presente e il proliferare delle fonti di informazione e dei canali di comunicazione necessita infatti di una solida consapevolezza storica e culturale e direi anche tecnologica, perché la nostra capacità di prestare attenzione in modo produttivo sappia coglierne tutte le opportunità e i riferimenti, aggirandone le insidie.
Tale consapevolezza sarà sempre più appannaggio di nuove "elite" in grado di gestire la propria attenzione per trasformarla in opportunità di comprensione e conoscenza, mentre molti sono e saranno coloro che di questa enorme mole di informazione, fortemente disomogenea per qualità e livello di approfondimento, continuerano ad essere solo sudditi.

Per costruire e sentirsi una comunità all'interno di un percorso (come vorremmo disperatamente sentirci tutti pur nella varietà delle nostre aspirazioni) solitamente occorrerebbe considerare un antefatto, un passato, e bisognerebbe attraversare il presente con un armamentario di solidi (seppure non inamovibili) riferimenti di senso per comprenderlo e perché nella nostra mente il futuro possa essere evocato e si possa arrivare a impegnarsi a costruirlo e ad accoglierlo.
La percezione di essere individui all'interno di una storia non è affatto scontata invece in quest'epoca in cui i fatti e le loro analisi sembrano viaggiare in spirali aggrovigliate e all'interno di una percezione del tempo che non ha più nulla di lineare e consequenziale, ma è come diramantesi continuamente da un punto, da molti punti, in migliaia di direzioni diverse.

Se la cultura, i percorsi del sapere elaborati da chi ci ha preceduto, possono essere ancora strumenti di consapevolezza e crescita sociale, spetterebbe alle istituzioni deputate alla formazione il compito, centrale per l'evoluzione di una società, di far "sentire" soprattutto i giovani, all'interno di una storia.
La serietà dell' impegno delle istituzioni deputate alla formazione e dei mezzi approntati per realizzarla, dovrebbe essere tale da agire proprio per educare ad un uso consapevole dell'attenzione e del tempo come occasione di azioni e progetti.

Non a caso Scurati parla in termini fortemente negativi, invece, della nostra scuola.
"Impartire e ricevere un'educazione, un'istruzione, una formazione, sono attività che si scolpiscono nel tempo" e non possono essere fondate su una visione utilitaristica e tecnicistica, su individualismo e successo economico o sul successo tout court.

Ma anche la scuola italiana, del resto, ha fatto, o dovuto fare, piazza pulita del suo passato, della sua storia. Per la precisione di una parte di essa: quella delle nuove consapevolezze psicopedagogiche e scientifiche, quella delle riforme coraggiose (disperse senza essere mai avviate ad una piena attuazione), quella dell'integrazione tra diversi da cui far ripartire un'idea di unione, di coesione e di giustizia sociale, quella fondata sul rigore e la passione per la conoscenza.

Il modello che riemerge oggi da un passato più lontano e protervo (che Scurati definisce "demone reazionario"), è invece quello delle bocciature e della peggiore meritocrazia, quella della diseguaglianza e dell' esclusione, della disciplina autoritaria e fine a se stessa, in cui le ore e i docenti diminuiscono mentre gli alunni per classe aumentano, in cui ancora si risparmia sull'educazione (unica continuità politica che attraversa l'azione di tutti i governi perché del futuro in fondo non gliene frega niente a nessuno), in cui si ripiega sulla docimologia, estrema semplificazione cui ridurre la complessità, del presente e del problema della formazione, che non si è capaci di comprendere e gestire.


"Il moralismo è sempre in agguato quando si parla di giovani" ci ammonisce Scurati.
Non c'è riconoscimento reciproco tra noi e loro, non c'è nessuna autentica vocazione educativa in noi adulti che, nella estrema frustrazione e nel disorientamento siamo portati a enfatizzare tutto ciò che i giovani fanno per rinvenirvi i segni di una irrimediabile deviazione generazionale che ci assolva.


Occorrerebbe invece, dice Scurati, raccogliere le nostre risorse indirizzandole nel delineare un modo nuovo di fare ed essere scuola. Ci propone il modello di una "severità progressista", che coniughi insieme quell'autorevolezza e credibilità sempre invocate e raramente riscontrate nei nostri docenti, con la serietà e il rigore di una valutazione non vocata all'esclusione, ma alla formazione e all'inclusione.


E servirebbe investire nella scuola, mettere le risorse e le persone migliori a disposizione della formazione dei giovani, perché "la conoscenza è ancora e sarà sempre strumento di riscatto", "forte idea della modernità cui non possiamo rinunciare", unico riferimento utile ad "affrontare nebbie e tempeste" che inevitabilmente incontreremo lungo la strada verso il futuro.

30/07/2010





        
  



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