Ciao Professore, come sempre 'micidiale'
Sant'Elpidio a Mare | Un ricordo di Antonio Santori, scomparso questa mattina all'età di 46 anni
di Pierpaolo Pierleoni
Antonio Santori
Antonio Santori era un vulcano. Una mente esplosiva, un moto continuo, una sorgente inesauribile di idee, progetti, energia. Affascinante come sa esserlo chi dà l'idea di arrivare da un'altra dimensione, da un'altra categoria, a partire da quelle sue origini, la nascita a Montreal, che regalavano anche alla sua biografia un tocco di originalità. I suoi interessi, le sue passioni, sgabbiano dalle pagine tante erano le direzioni in cui era capace di volare.
Parlare con lui era come trovarsi di fronte ad una distesa sterminata, passeggiavi e scorgevi il cinema, la storia, l'antropologia, la musica, il teatro, senza barriere. Trovavi la letteratura, la poesia. La sua, quella con cui dipingeva la sua vita in versi memorabili, e quella dei grandi autori di ogni tempo. E allora Baudelaire, Luzi, Kavafis, Dante, Pound, Pasolini, Camus, Pavese, Borges.
Trovavi soprattutto la filosofia, il primo amore, Nietzsche, Platone, Heidegger, Sartre (mi spiegò Sartre in mezzora, una volta, non lo dimenticherò più, che roba doveva essere averlo tra i banchi di scuola). E poi Gadamer, il suo maestro, che aveva conosciuto personalmente. Con geloso orgoglio conservava una foto in cui lui, giovane intellettuale, accompagnava e sosteneva lungo una strada di campagna l'anziano e ricurvo filosofo dell'ermeneutica. "Una delle più grandi emozioni della mia vita, micidiale" diceva.
Micidiale, che con ‘fuori di testa', era l'espressione più ricorrente, la usava sempre per definire ciò che lo entusiasmava. Un'idea micidiale, uno spettacolo micidiale, una poesia micidiale, un libro micidiale. Con entusiasmo, sempre. Quello genuino del bambino sotto l'albero di Natale. La cultura per Antonio era vita, vera vita, che si manifestava nella sua essenza più elevata. Si emozionava su un verso, si faceva trasportare da un quadro.
Senza dimenticare il teatro, che a tutti gli effetti voleva come ‘luogo dello sguardo', dove ciascuno potesse riconoscere la propria anima. Da assessore alla cultura a Sant'Elpidio a Mare, il rilancio della stagione teatrale era stata la missione principale. "Porterò la gente a vedere il vero teatro, non la tv sistemata sul palcoscenico" prometteva sicuro, con quel sacrale amore che riservava alla cultura autentica contro la povertà di contenuti dell'era moderna. Una delle scommesse vinte, portando in scena spettacoli di qualità senza perdere il pubblico.
Il teatro pieno era il suo trionfo, di cui godeva pienamente. Lo aspettava, passeggiando frenetico prima dell'inizio. Lo assaporava tra il primo e il secondo atto, quando non tratteneva una risata di fronte alla platea senza uno spazio vuoto. Infine si liberava all'epilogo, usciva, gli occhi che lampeggiavano soddisfazione, in bocca il solito, ‘micidiale'.
Amava essere amato, Santori. Intellettuale raffinatissimo, non conosceva però lo snobismo presuntuoso di chi si rivolge alle elite e ignora le masse. Al contrario, avrebbe desiderato il consenso universale, convinto che com'era che la cultura nasca tra la gente e lì debba rimanere, pur senza perdere l'ambizione di volare altissima.
Amava che si riconoscessero i suoi meriti. Egocentrico, senz'altro, ma trovate un genio che non lo sia. I giornali li leggeva, sempre, sorrideva ai commenti positivi, alle critiche non riusciva a rimanere indifferente. E si arrabbiava quando la stampa snobbava gli eventi che organizzava.
"Porto un premio Nobel a Sant'Elpidio a Mare e scrivete quattro righe" protestava deluso per il modesto trattamento riservato all'arrivo del Nobel per la letteratura Derek Walcott, poco più di un anno fa.
Puntava alto Santori, sempre, puntava ai grandi internazionali, ai migliori poeti, ai più elevati filosofi. Puntava a quell'Europa smarrita di cui cercava le radici, attraverso quel progetto geniale e difficile che era Europe. A volte non lo capivamo, a volte, forse, puntava troppo in alto, ed era difficile seguirlo, stargli dietro. Ma era comunque, la sua, una scommessa affascinante, quella di far prevalere l'intelligenza, il ragionamento, sul futile, sul superficiale. Invitava, ci invitava, a conoscerci, a scoprirci, a cercare la nostra identità, le nostre radici.
E lo faceva svelando il volto bello della cultura, non quello di polverosi, sbadiglianti convegni tra accademici, ma di sapere come cibo per diventare migliori. Un sapere che riusciva a rendere affascinante, un enorme contenitore di musica e poesia, filosofia e teatro.
E quella cultura voleva portarla dovunque, riempirvi ogni stanza. Da assessore lavorava per riempire spazi, far sì che si potesse organizzare cultura dovunque, non solo nei teatri ma nelle scuole, nelle chiese, nelle piazze, nei chiostri e nelle strade. Correva, Santori, e per primo contro il tempo perché voleva vivere troppo, esserci troppo, seguire tutto, non perdersi nulla, fino a dimenticarsi di sé stesso. E poi, tra le mille sfaccettature c'era il Santori semplice, amico tra la gente, che amava la buona cucina ed un bicchiere di vino, bianco, rigorosamente.
Ho messo la tua foto preferita, quando scrivevo di te spesso chiamavi ricordandomelo, con quel tocco di vanità che non ti mancava: "Perché non metti quella foto? E' più interessante, nell'altra ho una faccia..." Era all'interno di un libro di poesia che mi avevi prestato, si chiama ‘Leggere il Novecento', contiene anche alcuni tuoi versi.
E ogni volta aggiungevi: "A proposito, quel libro, se ti ricordi, dovresti ridarmelo. Quand'è che me lo riporti?" Non te lo riporterò, maledizione.
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30/08/2007
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