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Elezioni Presidenziali USA, eletto Barack Hussein Obama leader di tutti gli Americani.

Teramo | Eletto 44mo Presidente USA. Barack Hussein Obama e i suoi supporter entrano nella Storia degli Stati Uniti d’America. Grande lezione di democrazia per tutto il mondo. Ecco cosa scrive la stampa mondiale.

di Nicola Facciolini

Barack Hussein Obama alla Casa Bianca (Afp)

Oggi siamo tutti Americani ed esprimiano le nostre vivissime congratulazioni al Presidente Barack (in swahili, "benedetto") Hussein Obama, neo eletto 44mo Presidente degli Stati Uniti d'America, e al Popolo americano, baluardo della Democrazia e della Libertà sulla Terra. Con una grande lezione di democrazia per tutto il mondo. Lo hanno detto, annunciato e scritto in tanti in gara mediatica e politico-diplomatica di carattere mondiale.

Barack Hussein Obama entra così nella Storia degli Stati Uniti d'America con tutti i suoi amici supporters. Reali, olografici e "virtuali" grazie alla potente macchina della democrazia americana. Grazie anche a internet ed ai 650 milioni di dollari di offerte giunte da ogni dove per sostenere una massacrante campagna elettorale di 21 mesi per gli States. La vittoria del candidato Democratico USA porta per la prima volta un afroamericano alla Casa Bianca, travolgendo le barriere razziali. Ma, avvertono gli analisti, per Obama il difficile arriva adesso.

La benedizione di Papa Benedetto XVI, naturalmente, è di buon auspicio per una ricca, lunga e proficua presidenza USA a garanzia della pace e del benessere mondiale. La vittoria annunciata (ma non così scontata grazie al grande rivale McCain) di Barack Obama alle elezioni presidenziali americane occupa naturalmente le prime pagine dei giornali, anche se i commenti più meditati e le analisi più documentate le leggeremo probabilmente nei prossimi giorni.

Intanto, fa già riflettere una delle prime reazioni internazionali all'annuncio: la dichiarazione di Hamas secondo la quale il nuovo Presidente dovrà schierarsi con la causa palestinese. Come partenza ricattatoria e come avvisaglia del clima difficile che ci attende non è male, anche se Obama saprà certo essere indipendente dai condizionamenti di varia provenienza, a differenza di tanti altri leader europei. Alle 5 in punto (ora italiana, 5 novembre 2008) la Cnn rendeva ufficiale ciò che già da un'ora e mezza era apparso chiaro: Barack Obama ha vinto le elezioni e diventerà il 44mo presidente della storia degli Stati Uniti d'America.

Il primo presidente di colore, il primo presidente figlio di africano. A riprova della verità che l'America è la patria delle opportunità per tutti gli uomini e le donne che lo desiderano. Subito dopo John McCain ha telefonato al rivale facendogli i complimenti e alle 5,20 è apparso sul palco di Phoenix (Arizona), con a fianco la moglie e la candidata vice presidente Sarah Palin in lacrime, ammettendo la sconfitta, come annuncia il Corriere della Sera.

"Quella di Obama è stata una vittoria netta, quasi una vera valanga, pur se in quattro Stati chiave (Indiana, Virginia, Nord Carolina e Florida) è stata battaglia voto a voto. La svolta si è avuta intorno alle 3,30 (ora italiana) quando, prima Fox News (tv tradizionalimente vicina ai repubblicani) e poi la Cnn hanno assegnato l'Ohio e i suoi pesanti 20 voti elettorali al candidato democratico. L'Ohio era stato decisivo nel 2004 per il successo di George W. Bush. Subito dopo sono arrivate le assegnazioni di Iowa e New Mexico. A questo punto McCain avrebbe dovuto aggiudicarsi gli Stati della costa ovest, ma tutti i sondaggi della vigilia lo davano perdente. Il successo di Obama in Virginia è stata la mazzata finale alle ambizioni repubblicane e quando hanno chiuso gli Stati sulla costa del Pacifico, è stato solo una questione matematica: Obama ha superato di slancio la soglia magica di 270 voti elettorali, che gli spalanca la strada verso Washington e la Casa Bianca. Alla fine Barack si è aggiudicato anche Florida, Colorado, Nord Carolina e Indiana degli Stati una volta feudi repubblicani, rendendo più netto il successo".

McCain si è tolto una piccola soddisfazione aggiudicandosi il suo Stato dell'Arizona. Il "The New York Times" ha scritto: «OBAMA: cadono le barriere razziali, gli elettori accolgono la richiesta di cambiamento»: il quotidiano della Grande Mela, che si era pubblicamente schierato con il candidato Democratico, accoglie con soddisfazioni e a caratteri cubitali la vittoria del senatore dell'Illinois sulla sua edizione on-line.

«McCain sconfitto, l'eredità di Bush rifiutata», titola l'articolo principale, mentre per Obama «non è tempo di allori, il difficile viene adesso». Gli editoriali sono dedicati al «44esimo Presidente, Barack Hussein Obama», cresciuto «al di fuori della corrente del potere e della ricchezza americani»; Thomas Friedman - che titola il suo fondo «Finire il nostro lavoro» nota come il 4 novembre 2008 «la Guerra Civile americana sia finalmente terminata, con un afroamericano alla Casa Bianca».

Il "The Washington Post" titola: «Obama trionfa in un'elezione storica»: il candidato Democratico si assicura la presidenza «dopo aver portato un messaggio di cambiamento che ha avuto vasta eco nel Paese».

Anche in questo caso l'articolo principale consiglia cautela: «Dopo una vittoria dalle proporzioni storiche, Obama eredita problemi di proporzioni storiche», «Gli afroamericani regolano i conti con la Storia», titola l'editoriale, che sottolinea come «le proporzioni della vittoria indicano come la nazione possa essere nel bel mezzo di una rinascita che molti sono stati incapaci di riconoscere».

Il "The Wall Street Journal" annuncia: «Obama conquista una vittoria storica»: le vittorie fondamentali nell'Ohio, in Pennsylvania e Florida premiano il candidato Democratico in una «gara combattuta, chiudendo al strada della Casa Bianca a John McCain». Il Wsj si concentra sui motivi che hanno portato alla sconfitta del candidato Repubblicano, in particolare la crisi economica, considerata chiave per la vittoria di Obama perché ha «messo in grande rilievo le differenze» fra i sue candidati.

I due editoriali sono dedicati alla figura di Obama, con l'approdo di un afroamericano alla Casa Bianca - «un evento che non ha paragoni nella democrazia occidentale nonostante la condiscendenza europea nei confronti dell'America razzista» - e al fatto che «i conservatori non sono finiti»: «I liberali non dovrebbero essere troppo fiduciosi». "Con Obama cambiano gli orizzonti, per le maggioranze e le minoranze", scrive la storica Anna Foa.

"Aprendo il sito, mi appare una foto emozionante, con un bellissimo titolo, di nuovo in cammino, la foto di Martin Luther King affiancato da tre importanti rabbini, tra cui il grande Avraham Heschel, che marciano insieme per i diritti civili ad Arlington nel 1968, quarant'anni or sono. E' il modo con cui Guido Vitale ha voluto celebrare la vittoria di Barack Obama, primo presidente nero degli Stati Uniti, e insieme ricordare che c'è stato un momento nella storia, appena quarant'anni, in cui neri ed ebrei hanno lottato insieme negli Stati Uniti della segregazione razziale. Per anni, esponendosi a molti pericoli, i giovani attivisti ebrei avevano militato nel movimento dei diritti civili, avevano marciato e manifestato negli Stati segregazionisti, considerando che la loro identità ebraica trovasse in questa battaglia per l'uguaglianza di tutti gli esseri umani la sua naturale espressione, il suo compimento. Poi, dopo l'assassinio di Martin Luther King, dopo la fine della segregazione al Sud e lo scoppio delle rivolte nei ghetti neri del Nord, la distanza era divenuta enorme fra queste due minoranze di cui una, quella ebraica, era entrata a vele spiegate nella maggioranza, divenendo "bianca", e l'altra, quella nera, era rimasta "minoranza". Il fatto che oggi l'elezione di un nero alla presidenza degli Stati Uniti, la più importante carica politica del mondo, metta fine per sempre a questa condizione di minorità dei neri, cambia le cose per tutti, per i bianchi e per i neri, per gli ispanici e gli ebrei, per le maggioranze e le minoranze. E non le cambia solo negli Stati Uniti. Forse è vero che il voto degli ebrei americani non è stato statisticamente determinante per l'elezione di Obama. Ma lo è stato per gli ebrei che nella maggioranza lo hanno appoggiato, con un entusiasmo che ci ricorda il grande appoggio che essi hanno dato nel passato ad un altro grande presidente, Franklin Delano Roosevelt. E chi nel mondo ebraico ha temuto per la vittoria di Obama, ha guardato soprattutto agli anni delle diffidenze, delle incomprensioni, dell'identità da ogni parte riaffermata come un muro, e non a quella storia comune, a quella foto in cui il grande leader dei neri, Marin Luther King, a poche settimane dal suo assassinio, marcia al braccio dei rabbini verso il futuro.

"Il Giornale" invia al neo eletto due lettere-auspicio o lettere-programma, scritte quando ancora non si conosceva l'esito del voto. Maria Giovanna Maglie, proclamandosi cittadina ideale degli Stati Uniti, invita la nuova guida americana a non farsi deviare dai pacifisti piagnoni e a proseguire la giusta lotta per la libertà intrapresa dal suo predecessore. Alberto Pasolini Zanelli, con maggior understatement, non lancia appelli, ma ribadisce che all'erede di Bush sarà indispensabile una ripresa equilibrata e su vasta scala dell'iniziativa in Medio Oriente (soprattutto dopo aver promesso il ritiro delle truppe dall'Iraq entro breve termine), mentre l'incognita resta certo il rapporto con la Russia di Putin, variabile imprevedibile e pericolosa dello scenario mondiale. Molto attente anche le considerazioni di Mario Platero, che sul Sole 24 Ore ben individua i possibili freni alla tanto attesa "svolta" (il "change" di entrambi i candidati): freni politici, derivanti dal fatto che già la seconda presidenza Bush ha avviato e sostenuto il dialogo internazionale che ora si chiede al neo-eletto; freni tecnici, legati all'obiettiva difficoltà di risolvere le questioni umanitarie legate alle scelte della precedente amministrazione (esempio: stabilito che la prigione di Guantanamo Bay va smantellata - cosa che anche Bush ha preso in considerazione, nessun paese è oggi disposto ad accogliere i suoi attuali ospiti, pericolosi terroristi che nessuno desidera e che peraltro non possono certo essere liberati).

Gli inevitabili rallentamenti alla svolta USA deriveranno anche, secondo l'articolista del Sole, dalla debolezza strutturale che oggi il Paese evidenzia rispetto ai nuovi giganti emergenti sulla scena mondiale. Saranno l'incertezza e l'inquietudine verso la futura politica americana, sarà il desiderio di tirare per la giacca il nuovo eletto, ma nei giorni dell'addio una parte dell'opinione pubblica sembra quasi rivalutare la tanto (e non a torto) bistrattata presidenza Bush, cogliendo alla distanza improbabili effetti positivi nella sua politica dura e manichea.

Tra i laudatores temporis acti si distingue Gianni Baget Bozzo che in una lettera al direttore del Foglio si congratula con lui per la pubblicazione a piena pagina del poster di Bush, notando tra l'altro come la guerra in Iraq abbia allontanato dall'Occidente la pesante minaccia di Bin Laden e Co. Innegabile, ma non si può certo dire che il conflitto abbia contribuito a risolvere i nodi e ad allentare gli scontri est-ovest o Islam-Occidente aprendo orizzonti di pacificazione. Anche al di là delle elezioni americane, il Medio Oriente continua naturalmente a essere un tema principe sulle pagine dei quotidiani.

Il Sole 24 Ore e Il Riformista, si soffermano sull'esito positivo dell'incontro di Marsiglia volto a dare un assetto interno alla nuova Unione per il Mediterraneo, voluta da Sarkozy per i Paesi mediterranei e rimodellata per insistenza della Merkel come UE + Paesi del Mediterraneo (c'è infatti chi la chiama Euromed). I quarantatre Stati membri, di cui sedici fuori della Unione Europea, sono riusciti dopo varie diatribe sui rispettivi ruoli a darsi delle regole: la sede sarà a Barcellona; la segreteria generale spetterà all'Egitto mentre le cinque segreterie aggiunte andranno a Italia, Grecia, Malta, Israele e Autorità Palestinese; la Lega Araba avrà un posto sicuro e possibilità di intervento ma non di voto, essendo costituita anche di nazioni non mediterranee.

Dal primo affacciarsi dell'idea ci sono voluti tredici anni, ma questo è un buon inizio - sottolinea l'anonimo commento del Sole evidenziando la naturale interdipendenza Europa-Mediterraneo. E la vicenda israelo-palestinese è caduta nell'oblio? Quasi tutto tace in attesa delle elezioni palestinesi (a gennaio) e di quelle israeliane (a febbraio). L'unico giornale ad affrontare l'argomento è L'Osservatore Romano che narra e commenta le attese intorno al vertice convocato al Cairo da Mubarak per riportare la concordia tra le fazioni palestinesi: pare ci siano buone speranze per un accordo in vista della scadenza del mandato presidenziale di Abu Mazen: l'auspicio è che il possibile ritrovato accordo palestinese (al quale è tuttavia difficile credere sino in fondo) si accompagni (soprattutto entro Hamas) al riconoscimento inequivocabile di Israele, alla rinuncia al terrorismo, all'accettazione di trattative serie tra israeliani e palestinesi, e non si trasformi invece in un ricompattamento di forze in funzione anti-israeliana.

Tutto o molto ruota comunque intorno al rapporto tra Occidente e mondo islamico: in ambito politico come in ambito di identità religioso-culturale e di rapporto sociale. Ne è cosciente la visione prospettica della Curia vaticana che da oggi apre a Roma un importante forum sul dialogo tra Islam e mondo cattolico. Ce ne danno conto Avvenire, Il Corriere della Sera, Il Foglio e Liberal, sottolineando in vario modo aspetti e limiti di questo scambio comunque importante.

(Fonti: Corriere della sera; David Sorani; Anna Foa; Afp).

05/11/2008





        
  



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